Uno chalet tutto per me
C'è un piccolo chalet immerso nella natura e circondato dalle Alpi svizzere.
Lei, Elizabeth, è riuscita a prendere la sua decisione ed è partita per raggiungere questo luogo.
Ed ora vuole starsene in pace:
“Stamane mi son trascinata quassù dal fondovalle come una formica malata, e ho raggiunto a fatica il piccolo chalet sul fianco della montagna che non vedo dal primo agosto di guerra.”
Intorno a lei prati fioriti e boschi verdissimi.
Una meraviglia da gustare a poco a poco, giorno dopo giorno in tutta pace e tranquillità.
“Qui il silenzio è sbalorditivo. Gli uccelli quasi non si sentono. E neppure il vento, le foglie sono immobili, l'erba del prato si muove appena. I grilli si danno un gran daffare, e il suono dei campanacci delle mucche sui pascoli alti mi giunge portato dall'aria. Per il resto, tutto tace.
Davanti a me, solo uno smisurato silenzio inondato di sole.”
La guerra è finita portando con sé orrori e morte e lei ha bisogno di raccogliere le forze e riprendere a vivere ed è in mezzo alla natura che tutto questo può avvenire.
La solitudine non la spaventa, ma un giorno qualcuno si ferma davanti allo chalet, sono due donne inglesi che cercano un posto dove pernottare e lei è ben felice di accoglierle.
Si fermeranno per un po' di tempo: tre donne insieme, in una vallata silenziosa per condividere pensieri, bisogni e desideri.
'Uno chalet tutto per me' è di Elizabeth von Arnim
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Genius loci
Due donne, una di mezza età, sposata e madre di due figli, l'altra, una giovane donna.
È attraverso la natura, un bosco intricato per la prima e un giardino dai colori autunnali per l'altra, che le due donne entrano in contatto con se stesse, scoprendo e mettendo a fuoco aspetti e dolori che avevano dimenticato.
La donna di mezza età vive la sua prima estate da sola, perchè il marito è via per lavoro e si sente fortemente attratta dal bosco selvaggio che circonda la casa.
Ogni giorno imbocca il sentiero e si dirige verso il bosco, muovendosi spesso a fatica tra i folti rami che si aggrovigliano man mano procede nel suo cammino.
Osserva, curiosa, la vegetazione e, fermandosi ogni tanto, cerca di trovare l' ispirazione per l’arazzo che sta ricamando in solitudine, in camera sua.
Poi con il passare del tempo il richiamo del bosco si fa sempre più insistente, come se qualcosa, qualcuno la chiamasse da lontano.
Sono sensazioni che sente venire da un passato dimenticato, da desideri suoi lasciati addormentati dentro di lei, mai vissuti, sogni mai realizzati.
Una vita, la sua, lontana da se stessa, troppo lontana.
Si siede sui rami di una betulla, curvati dal tempo, e accarezza la superficie ruvida traendone un piacere che la meraviglia e la stupisce.
La giovane donna, la seconda protagonista del libro, sta tornando nella casa della madre, dopo tanto tempo e ancora da fuori vede i colori del giardino da lontano.
Siamo in autunno, un autunno pieno di sole e i fiori di sua madre:
"Le sue dalie e i suoi astri sembrano più grandi con i colori più sgargianti, i suoi cespugli più carichi di bacche e più accesi che altrove.
Masse di rosse gialle, foglie e d'oro brunito si stagliano sullo sfondo scuro del bosco di abeti come un susseguirsi di quinte in una féerie barocca."
Lo vede dalla strada e prova la stessa sensazione di sempre: quella di entrare in un territorio proibito.
Questa è la sensazione che aveva anche da bambina.
E così ora è lì davanti al cancello:
“sopraffatta da quei colori roventi... mia madre mi viene incontro di corsa... la porta sul retro dà sul giardino adiacente al nostro... mia madre ci appendeva i fiori a seccare e le erbe di cui faceva mazzi."
È il giardino il luogo che fa tornare alla mente ricordi di anni prima, ricordi per niente piacevoli che la riportano a momenti di tensione e profondo dolore vissuti con la madre da cui non si è mai sentita accettata per quello che era.
È soprattutto un ricordo, particolarmente inquietante, che la sconvolge in quel suo ritorno nel giardino della casa della sua infanzia.
Un fatto che aveva cercato di rimuovere completamente ora preme dentro di lei.
La madre si è sempre imposta senza lasciarle alcun spazio e lei ha sempre subito in silenzio.
Ora è lì, vecchia e bisognosa di aiuto, fragile come mai è stata in tutta la sua vita, e chiede aiuto e comprensione.
Due racconti in cui conosciamo queste due donne, raccolti in un piccolissimo libro di una scrittrice olandese che io non conoscevo:
Hella Haasse e 'Genius loci' è il titolo. |
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Per un erbario
Un piccolo e curioso libretto che parla di fiori, ma non si limita a descriverli così, semplicemente, li illustra, li racconta, ce li fa vedere inseriti nei loro ambienti diversi, li narra nei ricordi personali.
Tutto in modo molto partecipato e vivo perchè a farlo è lei, Colette, che ama i fiori, i profumi intensi ed i colori, che la invitano a descrizioni particolareggiate e poetiche.
Nel 1947 l'editore di Losanna Mermod fa una proposta a Colette informandola che regolarmente le invierà dei bouquet di fiori e su questi la invita a scrivere, di volta in volta, piccoli ‘ritratti’ e descrizioni minuziose.
La raccolta di questi scritti, pubblicata l'anno successivo, compone il testo del libro, 'Per un erbario', uno degli ultimi scritti di Colette, non a caso proprio dedicato ai fiori.
I testi che lo compongono riguardano, la gardenia e il glicine, la rosa, le orchidee, la camelia rossa ed altri fiori da lei tanto amati.
Com'è solita fare non si limita a semplici descrizioni, ma ogni fiore è appeso al filo del ricordo e la porta nei luoghi della sua infanzia, nella grande casa di Saint Sauveur en Puisaye in mezzo alla campagna della Borgogna in cui è vissuta con la madre Sido.
Molto poetico è il ‘monologo’ che dedica alla gardenia:
“Le sei, appena… Comincio a svegliarmi, e ho il risveglio lento. Mi attardo a proclamare la certezza e la lucidità che assicurano il mio regno, dalla notte chiusa all'alba ancora nera e leggermente ferita a est da una piaga bruna e purpurea.
Dormo, in pieno giorno, come dorme ciò che è bianco e ricco di un odore segreto. Per noialtre fioriture bianche, incaricate di turbare la creatura umana, il centro del giorno è una perfidia che non finisce d'infastidirci...
Sicura come sono di non avere rivali, tranne lo confesso, una rivale, davanti a cui talvolta faccio peggio che confessare, abdico...
La mia rivale ineffabile non deve far altro che apparire, e per quanto io sia una gardenia divento debole, mi prosterno davanti alla tuberosa.
Non mi dimostra nessuna gratitudine...
Così ne approfitta per insinuare che invecchio male e che dal terzo giorno del mio sboccio, somiglio a un guanto di ballo caduto molto in basso.”
'Per un erbario' di Colette |
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La donna mancina
Una giovane donna, Marianne, ha trent'anni, capelli castani e:
“occhi grigi che anche quando non guardava nessuno talvolta si riempivano di luce, senza che per questo il suo viso avesse a mutare...
In un tardo pomeriggio d'inverno era seduta alla luce gialla che veniva da fuori, davanti alla finestra del vasto soggiorno”
Non vive sola, ha un figlio piccolo ed un marito che spesso è lontano per lavoro.
Più tardi, in quello stesso giorno, è lui che andrà a prendere alla stazione.
Quello stesso giorno, iniziato normalmente, gli dirà :
“Mi è venuta una strana idea, anzi non proprio un' idea, una specie di... illuminazione... che tu te ne vada via da me, che tu mi lasci sola.
Sì, è questo, va via Bruno.
Lasciami sola.”
La porta di casa si chiude, il mattino dopo, dietro di lui.
Lei rimane alla finestra a guardarlo e poi si prepara per accompagnare il figlio a scuola, Bruno potrà vederlo e stare con lui quando vorrà.
Quando la donna ritorna, la casa è silenziosa, decide di riprendere il lavoro lasciato tempo prima e si mette in contatto con l'editore per il quale traduceva testi.
Ed ora è di nuovo lì davanti alla finestra, seduta al tavolo con la macchina da scrivere pronta, prepara la suddivisione del testo da tradurre ed inizia a scrivere:
“Finora gli uomini mi hanno tutti resa più debole.
Mio marito diceva di me: Michèle è forte.
In realtà vuole che io sia forte per ciò che non interessa a lui: per i figli, per la casa, per le tasse.
Ma in quello che a me balena come possibile lavoro, in quello mi distrugge.
Dice: 'mia moglie è una sognatrice'.
Se si chiama sognare voler essere ciò che si è allora voglio essere una sognatrice.”
Marianne entra in questa nuova fase della sua vita insieme al figlio e con un lavoro che l'appassiona.
Peter Handke ha scritto questo libro nel 1976, io l'avevo letto molti anni fa e nel cercare tutt'altro mi è capitato tra le mani e l'ho riletto in poche ore.
La prima volta l'avevo richiuso con una forte sensazione di sospensione e smarrimento addosso.
Questa volta sono entrata, attraverso la sua scrittura così 'essenziale' e precisa, con più partecipazione alla storia di Marianne che attraversa i sentieri pieni di tutte le sfumature diverse dell'animo femminile: la malinconia, la paura, l'insicurezza, per cercare il suo territorio, nuovo, ma suo e solo suo.
C'è il coraggio di questa donna che è stanca e non sopporta più che siano gli altri a spiegarle com'è fatta.
Vuole scoprirlo da sola, com'è e chi è veramente, per poter vivere a misura sua, anche attraverso la solitudine necessaria in un momento come quello che sta vivendo.
Non è semplice né facile il suo cammino e spesso le lacrime le rigano il volto, ma il suo è un pianto "senza rumore e senza moto".
E così, alla fine, la ritrovo in un giorno chiaro, seduta in terrazza sul dondolo, dietro a lei, rispecchiate nella vetrata, si agitano le cime degli abeti, lei si dondola dolcemente alzando le braccia in alto.
Ha un vestito leggero, senza coperta sulle ginocchia.
'La donna mancina' è di Peter Handke |
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Una spola di filo blu
Una vecchia casa con un grande portico sul davanti,
qui hanno vissuto intere generazioni ed ogni stanza conserva una traccia del passato.
Ora la abitano Red e sua moglie Abby che hanno quattro figli, una normale famiglia americana.
Siamo a Baltimora.
Loro sono anziani ed il tempo che passa comincia a lasciare i primi segni.
Il tempo:
"che quando si è bambini passa lentamente, e invece da adulti accelera sempre più...
... Siamo giovani per una parte così minima delle nostre vite, eppure abbiamo l'impressione di rimanere giovani in eterno. Poi siamo vecchi per anni e anni, ma a quel punto ormai il tempo vola più rapidamente."
Ora Red ha problemi d'udito e non sopporta l'apparrecchio acustico e Abby ha, ogni tanto, dei vuoti di memoria e quando mal sopporta gli atteggiamenti di Red ha trovato un modo tutto suo per allontanarsi da lì, chiude gli occhi, e subito si ritrova a quel giorno:
"uno splendido pomeriggio tutto giallo e verde con un po' di arietta".
E lei si accorge che quel ragazzo è davvero perfetto.
"E appena ci pensava, quel ragazzo dagli occhi limpidi e dal volto tranquillo emergeva dalle rughe e dalle pieghe di Red, dalle palpebre grinzose e dalla guance scavate, dai due profondi crepacci che racchiudevano la sua bocca come parentesi e dalla sua ottusità generale, dalla sua testardaggine, dalla sua irritante convinzione che la semplice logica bastasse a risolvere tutti i problemi della vita, e in quel momento si sentiva indicibilmente fortunata ad averlo incontrato".
Ora i quattro figli vivono lontani e la famiglia si ritrova per lunghi periodi estivi, tutti insieme: i nipoti ai quali Abby cerca di trasmettere piccole tradizioni, i generi e le nuore tra cui Nora, la nuora battista, 'una donna bellissima che non sapeva di esserlo', i cani e il grande portico in cui si riuniscono.
E il filo blu si srotola lentamente dal rocchetto fino a toccare le vite di tutti e, piano piano, li conosciamo nelle loro piccole follie, imperfezioni, nei loro difetti, nelle loro manie, nelle loro doti, conosciamo i segreti, i desideri e tutto si svolge davanti ai nostri occhi.
C'è tutto ciò che la vita ci fa conoscere nel suo svolgersi.
Le delusioni, i risentimenti, le emozioni forti che certe volte spaventano, le gioie improvvise, i momenti difficili nel loro scorrere lento.
La vita che ci sorride e la vita che ci lascia sfiniti e senza forze.
Così tutto scorre in modo leggero e calibrato perchè a scrivere la storia è Anne Tyler.
Che sa raccontare sempre con dolcezza e molta ironia, riuscendo sempre a commuovere, facendoci spesso ridere e pensare.
Ed io continuo a sentirla come una vecchia parente che vive lontano, ancora con la frangia ed i capelli raccolti intorno al viso magro dagli occhi sempre vivi, pieni di luce e splendenti, così come l'ho conosciuta, leggendo i suoi romanzi, molti anni fa.
"Una spola di filo blu" di Anne Tyler |
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La donna è un'isola
“... chi sa leggere sa anche cucinare...
E poi la sera, da sola a letto, non è affatto male mettersi a sfogliare libri di ricette in lingua originale... Cucinare è un po’ farsi una cultura. Io non memorizzo mai una ricetta, seguo scrupolosamente le istruzioni. Affronto ogni piatto, anche quelli più noiosi che richiedono più tempo, ascoltando musica. Se cucino pollo al limone con le olive, il disco adatto è Sahra di Khaled... Dvorak o Liszt sono perfetti quando preparo le diós palasinta, che sono simili alle crêpe con un ripieno a base di noci...”
Di ricette ce ne sono molte, ben quarantasette ricette di cucina, tutte in appendice.
E non è finita, ci stupisce, l'autrice, anche con la spiegazione di come si fanno le calze di lana ai ferri.
Ma prima si deve entrare nella storia .
Piove e intorno i paesaggi islandesi si susseguono filtrati dalla leggera foschia.
La giovane donna che guida la sua automobile non è sola, accanto a lei c'è un ragazzino con lo sguardo fisso al vetro: ha problemi d'udito e di linguaggio.
E' il figlio che un'amica le ha affidato per tutto il periodo in cui sarà ricoverata in ospedale.
Lei, che non ha mai avuto figli perchè non si ritiene capace di essere madre, è molto preoccupata, non sa proprio come gestire il rapporto con lui.
Ha deciso comunque di partire: si è appena separata e vuole una nuova vita per sé, altrove.
Ricominciare tutto daccapo.
Il cambiamento è un tema molto caro a questa autrice.
L'ho conosciuta con il suo primo libro (Rosa Candida) con il quale mi aveva accompagnato in un vecchio monastero ai confini del mondo, custode di antichi roseti.
Lì, chi voleva il cambiamento della propria vita era Lobby un giovane ragazzo che aveva abbandonato la casa e il paese dei suoi per inventarsi una vita diversa.
Qui è questa giovane donna insicura, che di sé sa ancora molto poco, piena di paure, ma che durante questo viaggio avrà la possibilità di stupirsi continuamente di sé.
C'è l'Islanda dolce e a tratti aspra, paesaggi contrastanti come i suoi stati d'animo mutevoli.
A poco a poco lei prende coscienza di sé:
“È allora, precisamente in quel momento, che per la prima volta mi rendo davvero conto di quello che sono. Sono una donna al centro di un disegno, un disegno finemente intessuto, fatto di sentimenti e di tempo. E le cose che mi stanno capitando, e che hanno un impatto profondo sulla mia vita, sono talmente tante che sembra non si limitino ad avvenire semplicemente una dopo l’altra, ma piuttosto che accadano su diversi piani di pensieri, di sogni e di stati d’animo contemporaneamente: momenti inscritti all’interno di altri momenti”.
Ora comincia ad amare i nuovi aspetti suoi che va scoprendo e che questo viaggio con accanto un ragazzino, prima sconosciuto, porta piano piano alla luce.
'La donna è un’isola' di Audur Ava Ólafsdóttir. |
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Un'estate da sola
Entriamo subito in un giardino pieno di colori e di profumi intensi: le rose traboccano, i nasturzi si aggrovigliano, quasi, le ipomee azzurre, bianche e rosa si arrampicano indisturbate sui tronchi e tutto è leggermente accarezzato dalla lieve brezza della sera.
E' una festa di profumi e colori.
Lei, Elizabeth, insieme al marito, dopo cena, si siede in mezzo alla natura e si rivolge a lui (l'uomo di rabbia, come lei lo definisce) per comunicargli la sua decisione:
“Sento il bisogno di rimanere da sola, per una volta, l'intera estate.
Voglio restare da sola... Voglio impigrirmi perché la mia anima abbia il tempo e l'agio di crescere... Trascorrerò i mesi sui prati e nei boschi... Sarò felice, nessuno verrà a disturbarmi... Dove c'è silenzio, ho scoperto, c'è la pace".
La risposta che riceve è:
«Attenta a non bagnarti i piedi»
Il suo è un bisogno molto forte di isolarsi, non vedere nessuno ed immergersi completamente nella natura, nei prati e nei boschi.
E se anche dovesse piovere si rifugerà nella pineta in cui troverà riparo e nei giorni di sole si distenderà sulla brughiera, completamente sola e nel silenzio pieno solo dei rumori del vento tra i rami e il canto degli uccelli.
E così sarà e potrà godersi in tutta tranquillità l'usignolo sul carpino alle prime luci di un alba luminosa con l'aria pura e fresca.
Con sè porterà solo dei libri perche lei non conosce :
“oggetti d'amore che immancabilmente ti ricambino come i libri e un giardino.” E certe volte:
“sebbene i campi e i fiori abbiano molto da insegnare, non sempre mi trovo dell'umore giusto per apprendere e a volte i miei occhi sono incapaci di vedere cose che in altre occasioni sono decisamente ovvie... e allora leggo...”
E lì i libri daranno il meglio di sé e si mostreranno in tutta la loro bellezza.
Intorno a lei i campi gialli dei lupini immersi nel sole caldo e avrà solo il piacere di osservare lo spettacolo che la circonda:
“il pendio di una collina ricoperta di tale biondo splendore proiettata nell'azzurro del cielo mi comunica una felicità tanto intensa da sfociare nel dolore. I fiori raccolti in spighe dritte, vigorose, assomigliano ai giacinti, ma il colore intenso possiede una divina luminosità che un giacinto giallo non potrà mai uguagliare.”
E scrive, anche, perchè solo così può fermare ogni momento vissuto che altrimenti non sarebbe condiviso.
Le capita troppo spesso, infatti di essere considerata una 'fanatica' per questo suo modo intenso di vivere la natura ed è anche sicura che se mai decidesse di invitare uno dei tanti amici in quel luogo, non si godrebbe lo spettacolo come lei fa, ma sarebbe solo attento “ai troppi sobbalzi della strada” e nulla apprezzerebbe del luogo che tanto lei ama.
E così molto meglio un'estate da sola da godersi completamente come lei sa fare.
'Un' estate da sola' di Elizabeth von Arnim |
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Colori e anni
Margy Kaffka è una scrittrice ungherese, purtroppo morta molto giovane, a soli 38 anni nel 1918, uccisa dalla spagnola, ma nella sua breve vita è riuscita a scrivere 19 romanzi molto apprezzati al tempo.
Amava scrivere e giovanissima aveva pensato di mandare qualche suo scritto ad uno zio materno, poeta e scrittore.
La risposta ricevuta dopo poco tempo:
"Sì, carini, c'è del talento, ma perché una donna deve scrivere? Sarebbe un peccato che una ragazza di buona famiglia trascurasse il mestolo, sarebbe un peccato persino se facesse l'insegnante"
Non solo per questa risposta, il talento c'era sicuramente e la scrittura era la strada da seguire, ma anche per questo, credo, lei ha continuato a farlo.
E proprio delle donne, ricche, povere, borghesi, nobili, Margit Kaffka scrive nei suoi romanzi; della condizione di sottomissione in cui tutte venivano tenute, all'epoca, nel rispetto delle rigide convenzioni sociali. Per questo è ritenuta la prima scrittrice a dare un' impronta femminista a tutte le sue opere.
Il mondo femminile nelle infinite sfaccettature e sfumature viene poeticamente descritto da lei che riesce ad esprimere quanto di estremamente vitale c'è nell'animo femminile: le passioni e le aspirazioni tenute nascoste e protette, i desideri e i sogni.
Un mondo interno che deve trovare il modo di potersi manifestare.
Nel suo romanzo 'Colori e anni', scritto nel 1912, la protagonista è Magda, una donna di cinquant'anni, considerata all'epoca ormai vecchia, che riflette sulla sua vita, in modo attento, preciso e nel rispetto dell'autenticità, perchè questo deve a se stessa.
Ripensa al suo primo matrimonio e alla vedovanza e al successivo matrimonio da cui ha avuto tre figlie e lei diventerà madre attenta e consapevole e proprio a loro insegnerà l'importanza dell'indipendenza economica che si raggiunge attraverso lo studio e il rispetto, sempre, di se stesse.
Magda, ormai anziana è seduta sotto al suo portico ed in lontananza sente il leggero scampanio che dalla chiesa si diffonde nell'aria, lei è lì e ripensa alla sua vita, agli anni passati:
"La mia vita è trascorsa qui, tutti mi conoscono e mi tengono da conto: non ho bisogno di ricominciare da capo a spiegare chi sono e con che diritto vivo...
Soltanto ora ho trovato il tempo per occuparmi di tante cose. Alla lettura, fino a oggi, mi ero dedicata molto poco e in maniera assai disordinata, mentre adesso, nel gran silenzio che regna intorno a me, leggo di più e riesco anche a concentrarmi molto meglio"
E Magda si sorprende così, ogni tanto, a sfogliare e rigirare il suo passato:
"come se avessi tra le mani un ignoto e variopinto libro illustrato; e solo di tanto in tanto, all'improvviso, mi torna in mente che quella lì, un tempo,ero proprio io... I giardini dell'infanzia possono essere così spaziosi.”
Ma si rammarica di come la memoria non riesce a trattenere che in minima parte:
" le ricchezze dell'infanzia: singole scene, minuscoli episodi, e tutti questi fatti hanno già assunto anch'essi una forma diversa a seconda di come ci sono tornati in mente nel frattempo e del modo in cui a volte, nel corso degli anni, li abbiamo evocati."
Gli oggetti sono vivi nei suoi ricordi e ripensa a come, già allora, lei si perdeva a fantasticare su questi oggetti e le piaceva trascorrere il tempo a immaginare:
“quante mani di donna avessero sfiorato, fin da un passato ormai remoto, lo stinto velluto color ruggine delle tovaglie, chi sedesse una volta sulle seggiole dagli alti e rigidi schienali intagliati o sulla decrepita ottomana dal materasso sfondato.
Ricordi, aneddoti, vecchie cianfrusaglie – tutte queste cose riescono a cementare con tale forza i legami all'interno di una famiglia da infonderci la sensazione di non essere altro che una prosecuzione di altre vite già trascorse; e riescono anche a conferirci un grande senso di sicurezza."
C'è una dolcezza infinita in tutte le pagine e non a caso, ho pensato, Margy Kaffka è arrivata vicino a me in questo periodo ed io l'ho accolta e mi sono fermata con lei.
'Colori e anni' è di Margy Kaffka
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Il caffè delle donne
Una tazza di caffè fumante da cui si sprigiona un' aroma molto intenso. Si è ottenuto facendo bollire in un piccolo tegame di rame, acqua e zucchero.
Una volta che l'acqua ha raggiunto il primo bollore, si toglie dal fuoco il tegame e si aggiunge la polvere di caffè con il cardamomo.
Si rimette di nuovo il tegame sul fuoco basso e si porta a bollore per tre volte.
Si lascia depositare e alla fine si versa nella tazzina senza manico.
“ Il caffè deve essere severo, puro e veritiero. Come la vita”
È a 13 anni che Qamar viene ammessa al rito del caffè insieme alle altre donne della casa e a quelle del vicinato. Sono lì, tutte riunite, i mariti sono al lavoro ed i figli sono a scuola.
Il profumo si sparge in tutta la stanza, forte e intenso ed ora verrà stabilito a chi alla fine del caffè, verranno letti i fondi rimasti nella piccola tazza da un'ospite speciale considerata una specie di maga.
Le parole pronunciate saranno trattenute dentro al cuore e custodite nel tempo.
Profumi, intimità e un pizzico di magia.
Nella grande casa dei nonni, in Giordania, Qamar passa le sue estati. E' di origine mussulmana.
Durante gli altri mesi dell'anno lei vive a Milano con i suoi, ha 30 anni ed è impiegata in un ufficio, ha anche un fidanzato con cui si trova molto bene. La sua vita si divide tra l'oriente e l'occidente.
È una maternità interrotta che sparpaglia la vita di Qamar “In tanti piccoli spicchi sul pavimento” e la sua vita cambia.
Decide di ritornare ad Amman per ritrovare le sue radici e ricomporre la sua vita.
Si è insieme a lei da bambina completamente inserita nel mondo arabo con i nonni e i suoi parenti, si è con lei da ragazzina quando comincia a scontrarsi con questo mondo che le sembra troppo stretto, si è con lei da adulta, giovane donna, che cerca di riconciliarsi alle sue origini circondata dai cori delle donne che le sono vicine.
Lei che è il risultato di più identità ora, in questo momento della sua vita così particolare e difficile, deve solo darsi il tempo necessario per cercare di unirle tra loro.
Il libro 'Il caffè delle donne' è di Widad Tamimi
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Via delle camelie
Un fagottino viene abbandonato in via delle camelie davanti al cancello di un giardino, avvolta c'è una bambina:
"... e il vigilante mi trovò la mattina dopo. I signori di quella casa volevano tenermi, ma lì per lì non sapevano che fare: se prendermi o affidarmi alle monache. Li conquistai con il mio modo di ridere, e dato che erano anziani e non avevano figli mi raccolsero.
Una vicina disse che forse mio padre era un delinquente e che prendersi una creatura sconosciuta era una bella responsabilità.
Il signore lasciò le donne a chiacchierare, mi tirò su, sporca com'ero e con il biglietto ancora appuntato sul petto, e mi portò a vedere i fiori…".
Sarà cresciuta da queste due persone anziane che si prendono cura di lei. Fin da subito si renderanno conto che Cecilia, questo il suo nome, non è per niente una bambina facile, anzi.
Man mano cresce sarà spesso ammalata, tenterà piccole fughe, sarà continuamente alla ricerca disperata di qualcosa che non ha mai avuto, a cui nemmeno riesce a dare un nome preciso.
Dentro di lei solo una profonda inquietudine che a momenti si trasforma in vera disperazione.
Cresciuta, abbandonerà subito la casa che l'ha ospitata per anni, così, senza una meta precisa comincerà a vagare per Barcellona conoscendo ragazzi strani e innamorandosi spesso di uomini che non le portano nè tranquillità nè gioia.
Lì fuori, da sola, sente il freddo, la fame, la paura e il vuoto, un senso di vuoto che l'avvolge e che si espande fino a sentirsene lacerata.
Sembrano essere i fiori, i giardini, i pizzi, i velluti che Cecilia sceglie per adornarsi, gli oggetti di casa a cui presta attenzione, l'unico modo per trovare confini che non riesce ancora a definire con precisione. Le sono utili, molto utili per allontanarsi dalla sua realtà interiore che sembra schiacciarla, a momenti.
Lei vaga continuamente alla ricerca di qualcosa di troppo indefinito, anche dentro di sé. Di un amore che mai ha conosciuto, l'amore per se stessa, a lei sembrava che:
"… l'amore fosse la differenza che c'è in tutto quello che è uguale..."
E la sua ricerca continua.
Poi... è l'intenso e dolciastro profumo dei tigli in fiore che la riporta alla sua infanzia, così in modo inaspettato:
“ Nel giardino ci fu una piroetta di rami e foglie, e da molto lontano mi arrivò un'ondata di ricordi: la ruota panoramica, i razzi, gli aghi di pino e le palline di vetro a strisce più dense e più chiare che rotolavano per un sentiero di pietre e polvere”
Non è un libretto consolante come il titolo, 'Via delle Camelie', mi aveva fatto supporre, chissà perchè; la continua ricerca, l'andare verso, il bisogno di attenzione vera, questo mi ha avvicinato sempre più a Cecilia attraverso la scrittura di Mercè Rodoreda che non conoscevo proprio.
E' una scrittrice spagnola di lingua catalana, la più letta e tradotta, paragonata per il suo stile a Virginia Woolf.
Il suo libro 'Via delle camelie' pubblicato nel 1966 me l'ha fatta conoscere. |
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