Maria continua il suo lavoro di sarta, il pomeriggio, quando Gino ritorna in ufficio . La stanza a pianterreno che da sulla strada diventa il suo laboratorio; il tavolo con il marmo grigio su cui preparare i modelli e tagliare abiti, cappotti, gonne e camicette, la macchina da cucire che viene spostata verso la porta a vetri per avere più luminosità. D'estate la porta era aperta e chi passava fermava la bicicletta al muro ed entrava per un saluto e per dare una mano con gli orli o con le varie rifiniture da fare : voci di donne che si raccontano e , in sottofondo, la macchina da cucire. Quando io entravo, spesso, le voci zittivano, per riprendere, poi concitate, quando tornavo in cortile a giocare. Alle mie orecchie, là fuori, sotto il portico ombroso, arrivavano frammenti di frasi che non sempre capivo…
Restavo così con mille domande sospese che tenevo per me.
A volte scostavo la tenda pesante e mi nascondevo lì dietro. Una di loro lasciava il proprio dolore e la stanza restava in silenzio. Teste abbassate sul lavoro interrotto a metà, gugliate di filo spezzate da mani nervose. Frasi già sentite, pianti già fatti, parole già dette. Il dolore trovava il suo posto, si sedeva vicino ad un altro .Io tornavo a giocare e le donne riprendevano i gesti di sempre e poi si salutavano . I lavori, non ancora finiti, venivano riposti,il tavolo sgombrato dalle fodere e dai tessuti, la macchina da cucire rimessa al posto di sempre, contro il muro,la stanza ripulita dai ritagli di tessuto e dai fili, tutto, prima di cena , quando Gino tornava dal lavoro e la stanza non doveva avere più traccia del passaggio delle donne né del lavoro fatto.