C’era una volta un piccolo naviglio
C’era una volta un piccolo naviglio
C’era una volta un piccolo naviglio
Che non sapeva, non sapeva navigar
E dopo una, due, tre, quattro settimane
E dopo una, due, tre, quat…
Qui, regolarmente, la voce della nonna si affievoliva, io la guardavo e vedevo i suoi occhi chiudersi lentamente e la sua testa ciondolare sulla spalla. Le tiravo un braccio e riprendeva
…tro settimane,
lui riprese, lui riprese a navigar.
La nonna mi rimboccava le coperte, mi dava il bacio della buona notte e finalmente poteva andare a dormire a casa sua che era poco lontano dalla nostra.
La stanza a pianterreno aveva un camino molto grande, un lungo tavolo di legno. Da qui si andava nella cucina, ricordo con tante pentole appese al muro, e una porta che dava sul cortile, un grande cortile pieno di cose, in fondo: le gabbie dei conigli, il pollaio; di lato: un orto e un po’ di fiori da portare , la domenica, al cimitero.
Certe sere d’inverno, da casa mia, andavo, dopo cena, dalla nonna; la stanza era illuminata dal camino; sulla destra il letto dove la zia Domenica, da anni inferma, riposava.
Io prendevo la mia seggiolina e mi sedevo vicino al fuoco, poi dalla porta entrava Barbara, il viso rotondo e gli occhi azzurri sorridenti, un lungo grembiule nero, arricciato, le arrivava fino ai piedi.
Aveva con sé una bottiglia verde scuro, piena di latte. Si sedeva anche lei vicino al fuoco.
Poi arrivava la nonna e si cominciava a ‘dire’ il rosario. Barbara rispondeva e intanto agitava lentamente la bottiglia di latte, avanti e indietro, per fare il burro.
In mezzo a loro mi sentivo contenta e tranquilla, quell’atmosfera molto particolare mi piaceva davvero.
Ogni tanto le pause si facevano più lunghe, a turno Barbara e la nonna si appisolavano e poi si riprendeva fino ai saluti della buona notte.
Io uscivo e saltellando su una gamba, felice, tornavo a casa.