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selina

 

Le sarebbe piaciuto chiamarla Selina
Nelle sere d'estate, come un respiro di vento leggero, morbido e profumato, dalle colline davanti a casa.
Selina, regina dei fiori.
Nelle macchie dalle diverse sfumature di verde, del giardino, pieno di voci d'uccelli.
Selina, tra i quadri di petali e foglie e ricami di pizzi, ad inventare canzoni.

E così la chiamò.

In quel mattino d'inverno, grigio di nebbia e muto di voci e nessuno poté vedere il suo sorriso di luce.
Riuscì a godersi attimo dopo attimo.
Calore di tiepidi abbracci, profumi di bimbo annusati, sapore di latte vanigliato.
La tenne per sé, solo per sé, seguendo il suo respiro leggero .
Aprì le finestre ed un tiepido sole entrò nella stanza e Selina strizzò gli occhi.
Occhi chiari, verdi di foglia, acquosi a rincorrere farfalle di carta sui muri.
Sbatter di ciglia e lei, lì in piedi, avrebbe voluto restare così, per sempre, così.

La casa era silenziosa ed avvolgente e le ore passavano regalandole la quiete sempre desiderata negli anni.
Abitava da poco quel posto ed ancora doveva impararne i rumori, ma si sentiva al sicuro lo stesso.
Era stata in case diverse negli anni , case , a cui si era adattata cucendosi addosso vestiti in cui sentirsi meno a disagio con gli altri.
Aveva sognato ad occhi aperti di fronte alla parete di boschi, ascoltando canzoni di donne, scostando le tende leggere per vedere sul pavimento di legno a losanghe, animarsi la notte.

Quella la prima casa per sé.

Il primo posto a misura dei suoi desideri, voglie leggere di musica, presto, al mattino.
Esperimenti con acidi strani per dare alle foto colori 'di un tempo', fino a notte , ascoltando la radio nell'angolo con la luce soffusa.
Aveva riso cucinando sughi di tonno agli amici.
Si era intristita ai racconti di donne nelle sere d'inverno, si era impigrita nel caldo del giorno, sul letto sfatto, a leggere storie che la facevano sentire diversa.
Scriveva ricordi sui fogli e anche il pianto leggero poteva rigare il suo viso.

Il quaderno era piccolo e nero, con gli angoli rossi.

Le pagine color avorio bordate d'azzurro.
Lei scriveva, scriveva, sempre per capire, solo capire.
Ma dimmi:" cosa sentivi? sono curiosa di te ".
Non amava parlare di sé, ma quel giorno la voce invitante aprì uno spiraglio e lasciò uscire le parole.

Il vuoto.

Un vuoto incolmabile, nero e pesante da portare nel cuore.
Il sogno tradito!
C'era aria di neve quel giorno a febbraio.
E la neve arrivò che era buio.
Leggera, lei la vedeva cadere dai vetri con le tende scostate della finestra ad angolo della strada.
Sul dondolo seguiva i fiocchi diventare sempre più pesanti, come lacrime di dolore.
Purtroppo, le sue, quella sera.
Sentiva ancora la voce di lui per la stanza.
Poche parole uscite da labbra tirate.
Lo sguardo lontano per non incontrare i suoi occhi.
Lei era andata di là per trovare rifugio e nascondersi un po'.
Il suo cuore impazzito faceva troppo rumore e lei voleva solo il silenzio.
Respirò a fondo e cercò solo di vedere la neve cadere
Chiuse gli occhi e dormì.
Ma il mattino la trovò con quel nuovo dolore nel cuore.
Lei avrebbe voluto strapparlo da se ,lasciarlo a qualcuno…

Le donne di casa sua erano sarte.
La stanza a pianterreno
che dava sulla strada
era sempre piena di voci di donne.
Il pomeriggio in ogni stagione.
D'estate la porta era aperta
e chi passava fermava la bicicletta al muro
ed entrava per un saluto.
Brusio di voci a volte sommesse,
risate chiassose di donne felici.
In sottofondo la macchina da cucire.
Quando lei entrava, spesso le voci zittivano,
per riprendere, poi concitate,
quando tornava in cortile a giocare.
Alle sue orecchie, là fuori,
sotto il suo portico ombroso,
arrivavano frammenti di frasi
che non sempre capiva…
Restava così con mille domande sospese
che teneva per sé.
A volte scostava la tenda pesante
e si nascondeva lì dietro.
Una di loro lasciava il proprio dolore
e la stanza restava in silenzio.
Teste abbassate sul lavoro interrotto a metà,
gugliate di filo spezzate da mani nervose.
Frasi già sentite, pianti già fatti, parole già dette.
Il dolore trovava il suo posto,
si sedeva vicino ad un altro.

Lei era sola.
Lui era già uscito.
Si era vestita ed era andata al lavoro senza l'ombrello per sentire la neve sul viso.
Cominciò a piangere:
"vedi, a distanza di anni, il dolore è lo stesso…è ancora qui dentro…giù in fondo e fa male…quasi lo stesso male di allora".
Ed i giorni seguenti ?
I giorni seguenti ho incontrato la mia rabbia furiosa, quella ho vissuto.
Violenta e selvaggia di un animale ferito.
Il sogno tradito cammina tenendo per mano il passato e ti conduce per sentieri già percorsi quando ancora non capivi e tutto restava confuso.
Rivivi così il dolore di allora e ti perdi negli strati pesanti dei ricordi che ritornano a galla.
Non ti è possibile più riordinare i pensieri.

Tutto si mischia e perdi i confini.

Cerchi di nuotare tra le acque inquiete, ma resti sommersa e senza fiato.
Vuota di tutto.
Solo la notte riporta la quiete e, al mattino, vorresti restare così.
Lì ferma e non aprire nemmeno gli scuri.
Nel buio e nel silenzio.

La quiete.

Come un tenue raggio di sole che filtra da una fessura e disegna la stanza senza voci: voglia di quiete.
"Lasciami qui, voglio far riposare i pensieri …".
Lenzuola bianche di vela e scivolare sulle onde tranquille insieme a te, ricordo perduto tra il pianto.
Ti ripesco con il sorriso negli occhi e resto con te per un po'.
La ragazza dagli occhi di foglia pedala per le strade con il vento nei capelli e ancora non sa che oltre la porta, dopo aver salito le scale, incontrerà i suoi occhi, alzando la testa.
Dolce ricordo dall'accento straniero.
Aveva accettato l'invito di Maria ed ora eccola lì, in quella stanza nuova, per lei.
Chi abitava, con i suoi, quella casa, stava telefonando, rannicchiato sul tappeto e lei cercava gesti che potessero sembrare naturali, guardando, distratta, gli oggetti sui mobili.
Poi aveva sentito la sua voce e capì che era bene così.
Erano andati via insieme scendendo le scale di corsa e, arrivati in città, Maria aveva cucinato per loro.
Il pomeriggio si era aperto ai sorrisi e alla voglia di sentirsi felice, di nuovo felice.

E la sera si era vestita con i colori che amava.

Le donne di casa sua cucivano vestiti
per i giorni di festa ed i tessuti,
nelle loro mani, prendevano forme sinuose.
Le sete leggere dai mille colori
scivolavano sul lungo tavolo di legno scuro
e le voci concitate ripetevano
la lista delle sfumature dei fili da comprare,
con nastri e fettucce intonati ai disegni.

C'era aria di festa.

Così si sentì lei , quella sera, invitata a una festa, per lei, solo per lei.
Il respiro leggero e la musica dolce di donne riempiva, di nuovo, la stanza, per giorni, in silenzio.
Si guardava allo specchio e si sentiva contenta di quello che aveva in quel preciso momento.
E quel che aveva perduto?
Era là.
Ogni sera lo vedeva girare per casa con lo sguardo sempre più inquieto, spiare i suoi movimenti.
Il mondo di lui, l'altro, sapeva di colla e di cuoio battuto a piccoli colpi nella stanza di lato dalle tende arancione.
Testa bassa a creare piccole forme da portare al collo, in estate, per le piazze illuminate dal sole.
Si perdeva per ore a leggere libri che amava raccontandoli a lei che guardava quel viso e quegli occhi pieni di luce.
Di sera, per le strade del centro, con lo scialle frangiato, pedalava con lui, cantando canzoni, per tornare al mattino, con la luce del giorno.
Strana intesa, la loro, incomprensibile ai più.
Con lui, indossava vestiti leggeri, che lasciavano intravedere parti di se, segrete anche a lei, sconosciute, che incontrava, provando, sempre, un nuovo stupore.
Ogni tanto, lui , partiva per giorni, ma lei sapeva che niente sarebbe cambiato, per loro.
Un filo sottile li univa e lei non sentiva il distacco.
Non pensava ad allora da tantissimo tempo.
Un burattino di legno vestito di stracci era sempre appeso in un angolo, a muro, in ogni casa che aveva abitato.

Anche ora era là.

Il primo regalo suo per lei.
Un cartoncino sgualcito dal tempo, scritto in rosso, una foto presa di nascosto, da lei, in una sera piovosa tra la luce soffusa.
Questo era quello che restava di lui, sparso per casa, mischiato ad altri ricordi.
La voce si era persa da tempo, ma il ricordo non era sbiadito, era lì, e poteva rivivere ancora ogni momento di allora con gli occhi aperti al soffitto.
Quando era stanca si fermava con lui per un po', a bere alla fontana nella piazza dalle cupole verdi.
Di notte, di giorno…quando voleva trovare un angolo quieto in cui fare riposare il suo cuore.
Come un piccolo pozzo in giardino, sotto il nespolo in fiore, per trovare un po' di frescura.
Come un lento volo d'uccelli nelle sere d'estate.
Un invito appena bisbigliato, leggero e invitante, ad incontrare le emozioni di allora.
E lei rispondeva felice e lasciava spazio ai ricordi come quadri di petali e foglie che mantenevano intatti, negli anni, i colori per una strana magia.

Quell'anno, lei, in estate partì con Miriana.

Per la prima volta, se si girava, non incontrava il viso di lui e sgranocchiava nocciole sul sedile, dietro, della macchina blu.
Aveva chiuso la porta di casa con il cuore un po' inquieto.
Lo zaino era pieno di cose preparate nei giorni quando tornava dal lavoro.
Per la prima volta lui non seguiva i suoi passi.

Ed andava lontano.

Era lei e solo lei padrona dei gesti e non riuscì nemmeno a dormire sulla sabbia, di sera, aspettando il domani.
Le strade bianche di sole passavano nei suoi occhi pieni di sonno e di voglia di arrivare.
Era stanca e felice come una bambina che si aspetta sorprese dal giorno.

Le donne di casa sua cucivano
fiori di seta sugli abiti da sposa .
Ed il tulle leggero dei veli
scivolava tra le dita nodose
insieme ai loro sogni realizzati solo a metà.
Occhi attenti ai punti di filo sottile,
sguardi abbassati sui momenti di vita
sfuggiti ai ricordi.
Voglie lasciate volare nelle sere d'estate
e mai più ritrovate.

Lei, in quelle sere d'estate, riprendeva il suo sogno e lo teneva con sé.
Il rumore del mare cullava il suo sonno.
Capelli umidi di salsedine.
Il sole già caldo del primo mattino, la trovava ancora addormentata tra le dune di sabbia.

Il giorno era pigro.

Mangiava un panino al bar della strada aspettando la sera.
Era tornata al lavoro a settembre.
Casa sua lui l'aveva riempita di fiori.
Lei richiuse la porta ed andò, per un po', da Lucia portando con sé quel poco che poteva servirle.
Quella porta, chiusa, dietro di sé, rimase così per un po'.

Poi, lui, si convinse a lasciarla per lei sola, fino a che non avesse trovato una nuova casa da abitare.
Tutto avvenne così…il momento era quello.
Non senza dolore, ma era giusto così.
Dolore negli occhi dei suoi, dietro quel tavolo di cucina, persi, storditi.
Sguardi lasciati sospesi senza un perché che avesse confini precisi.
Occhi abbassati per tenere a freno un' emozione improvvisa.
Ed uscire lasciandoli soli con le loro domande taciute e mai più fatte negli anni a venire.
Un sogno, anche il loro, tradito e buttato nell'aria a perdersi insieme ad altri mai confessati.
Sogni traditi, amori delusi, emozioni taciute, abbracci mai fatti, frasi mai dette…

Le donne di casa sua cucivano
le loro emozioni negli orli dei vestiti

Testa bassa e gugliate nervose.
Fili spezzati.
Sotto i punti fitti e tirati
nascondevano la delusione,
la rabbia, la paura, il risentimento.

Riponevano i lavori non ancora finiti,
prima di cena, quando i mariti
tornavano dal lavoro.

Le voci zittivano e la porta
si chiudeva sulla stanza
che non doveva avere più
traccia del loro passaggio.
Nell'aria restava solo
un delicato profumo di cipria.

A casa, non vista, si toglieva il vestito, troppo stretto per lei, chiudeva gli scuri e restava , da sola ad ascoltare il rumore del cuore
Si muoveva per le stanze, inquieta.
Poteva seguire i suoi desideri, anche i più nascosti, negli anni, ma il suo sguardo si cercava negli specchi di casa e non riusciva a fermarsi in quegli occhi sfuggenti più di un momento.

Gli occhi attenti di oggi avrebbero saputo guardare giù in fondo senza sfuggire spaventati e avrebbero saputo rimandarle un po' di calore, quello di cui avrebbe avuto bisogno.
Si cambiava vestiti per ogni occasione dipingendosi il viso e cucendoci sopra sorrisi forzati.
Sembrava padrona del mondo e si muoveva sicura fino a sembrare insolente.
Giorno dopo giorno, così.
E arrivava alla sera svuotata e piena di nulla.
Ma la strada era quella, era segnata così e lei non trovava sentieri diversi.
Patchworks di pensieri, i suoi.
Tutto questo era lei, faceva parte del suo mondo.
Solo Selina era un sogno.
Come un respiro di vento leggero, morbido e profumato dalle colline davanti a casa.

 

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