I miei films preferiti |
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FILM Born into brothel |
REGISTA Kauffman Ross |
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Born into brothel |
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E' un bellissimo film – documentario. Un amico la porta con sè in un quartiere a luci rosse di Calcutta. E' lì che la fotografa capisce il vero motivo del suo viaggio in India. Riesce ad affittare una stanza nel bordello e vive con le prostitute bambine, le madri e le nonne. Il film inizia proprio con le prime lezioni pratiche ai bambini Assistiamo a poco a poco alla trasformazione di questi bambini attraverso l'apparecchio fotografico che nelle loro mani diventa un possibile strumento di riscatto da una situazione pesante e difficilmente modificabile. La fotografia diventa, per loro, un mezzo d'espressione e di emancipazione. Dalla stanza in cui i bambini imparano l'uso della macchina, alle prime prove tra le vie del quartiere fino alle vere uscite, tutti insieme in una gita, per loro, la prima. Il film-documentario è del 2004 e nel 2005 vince il Premio Oscar come miglior documentario. |
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Caramel |
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E' l'impasto di miele, succo di limone e acqua bollente che nei paesi mediorientali le donne usano per la depilazione. Siamo a Beirut e conosciamo le donne del film in un salone di bellezza gestito da Layale Quotidianamente c'è chi passa per farsi i capelli, chi per fare una ceretta, o solo per un saluto. Un mondo femminile variegato: donne insieme che parlano dei problemi di sempre, l'amore, il sesso, la maternità, gli anni che passano, tutto, con leggerezza e partecipazione emotiva sia alle piccole gioie che ai dolori di sempre. Oriente ed occidente senza differenza alcuna. E' un film fatto delle piccole cose del quotidiano che , se partecipato e vissuto insieme diventa più leggero e più facile da vivere. Nadine Labkri, libanese, vive a Parigi e questa è la sua opera prima |
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Il giardino di limoni |
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Il giardino di limoni fa parte di una proprietà terriera che appartiene a Salma, una donna palestinese quarantacinquenne dal carattere forte e deciso. E' aperta, sincera, orgogliosa e dolce, capace di conquistare, con i suoi modi gentili, le persone che la conoscono e le stanno intorno. Da quando è rimasta vedova ed i figli hanno lasciato la casa, vive sola dedicandosi al giardino di limoni che per anni ha coltivato con il padre.Il suo terreno è al confine tra la Cisgiordania e Israele e proprio lì vicino è andato ad abitare il ministro dell'interno israelita ,in una villetta che divide con la moglie. Arrivano esercito e servizi segreti, recinzioni di metallo, ma tutto questo non basta a dare tranquillità al ministro che si sente minacciato e in pericolo costante per la presenza del limoneto che potrebbe nascondere terroristi. Quegli alberi devono essere abbattuti. Per Salma quel terreno di famiglia rappresenta la vita e il suo passato e decide di ricorrere alle vie legali per contrastare la decisione del ministro. Ziad Daud è l'avvocato a cui si rivolge Salma, un giovane avvocato dai modi gentili e pieno di zelo e la questione viene portata alla Corte Suprema. Salma, nella sua battaglia legale non è sola, oltre all'avvocato le è vicina anche la moglie del ministro, conquistata dall'amore della donna per la sua terra, tra le due nasce un rapporto intenso di solidarietà e di complicità. Regista del film che ha conquistato il premio del pubblico all'ultimo festival di Berlino è Eran Riklis Il giardino di limoni, come dice in una intervista, ‘non è un film politico, non è politico in senso stretto, perché non impone nessun giudizio: parla però di gente intrappolata nei lacci della politica. Spero con questa storia di aver rotto alcuni stereotipi e di aver fornito nuovi spunti per riflettere". |
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Il segreto di Esma |
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Grbavica è un quartiere di Sarajevo: più di dieci anni fa, durante la guerra, l'area era sotto il controllo serbo-montenegrino e usata come un campo di violenze e torture. Qui si svolge la vita di Esma e di sua figlia Sara, giovane adolescente. Ci sono negozi, il normale movimento di un quartiere qualsiasi alla periferia di una città,ma, il recente passato è ancora difficile da cancellare,ci sono ruderi di case ,segni ben evidenti di quello che è stato Questi segni del passato sono soprattutto ancora dentro le persone che se li portano cuciti addosso sentendone ancora tutto il peso. Il rapporto tra Esma e Sara, all'inizio sembra proprio non avere nulla di diverso da quello di tutte le madri con una figlia adolescente, ma non è così. Esma come tante donne della sua terra è stata violentata La regista, Jasmila Zbanic è veramente straordinaria nel raccontare questa storia di grande amore tra madre e figlia descrivendoci emozioni e sentimenti forti, a tratti violenti, che sconvolgono le protagoniste. E' una storia emblematica di un intera generazione di vittime che con fatica cerca di trovare un equilibrio in un paese ancora scosso che cerca , a sua volta, lentamente di tornare a vivere, lasciandosi alle spalle tutte le atrocità della guerra. |
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Irina Palm |
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Maggie è una vedova inglese sessantenne, che conduce una vita tranquilla dopo la morte del marito. Ha un figlio sposato con un nipotino gravemente ammalato. E' un club per soli adulti e lei, all'inizio, non si rende proprio conto della richiesta che le viene fatta dal padrone, persona molto particolare con cui si stabilisce, fin dall'inizio, un'intesa. Ne è piacevolmente stupita . Il regista è Sam Garbaski e l'attrice protagonista è la cantante Marianne Faithfull, veramente brava in questa parte non facile . Il film ha avuto grande successo al festival di Berlino del 2007 |
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Lila dice |
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Kimo è un ragazzo di diciannove anni, magrebino , che vive con la madre, sola, in un quartiere degradato della periferia di Marsiglia. L'insegnante del liceo che frequenta è colpita dal suo modo di scrivere e consiglia alla madre di dare la possibilità al ragazzo di partecipare, con un suo scritto ad un concorso che gli permetterà di vincere una borsa di studio. E' l'occasione che Kimo aspettava per poter dare alla propria vita una svolta positiva. Un'incontro per strada, casuale e inaspettato, con Lila, un'angelo biondo di sedici anni che si ferma accanto a lui seduta sul motorino con i capelli biondi e gli occhi di un azzurro intenso, porta nella sua vita uno scompiglio totale. Gli altri, il mondo intorno non esiste più: solo loro due esistono in mezzo a quel sole estivo che scalda i brevi momenti rubati e passati insieme. Per Kimo, ora, non esiste che lei. Si allontana, a poco a poco, anche dagli amici che non riesce più a frequentare come un tempo e si scatenano, per questo, strane gelosie. Lui arriverà troppo tardi. Lila se ne è andata con la zia, è tornata nella sua terra, la Polonia con la sua ferita nel cuore. Lila dice è tratto dal romanzo originale di Kimo e il regista del film è il libanese Ziad Doueiri |
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Le Ricamatrici |
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E' il primo film di una giovane regista francese, Eleonore Faucher che tratteggia i profili di due donne, apparentemente molto diverse tra loro, una giovane ragazza di diciassette anni che scopre di essere incinta e di una signora, ricamatrice molto esperta . Le due vite si intrecciano in modo molto casuale e dal loro incontro nascerà un rapporto, tra le due, molto intenso e coinvolgente. La ragazza, Clair, ha una grande passione per il ricamo, crea composizioni su stoffe e tessuti ritagliandosi spazi solo per se, per imparare meglio quest'arte chiede l'aiuto della signora Mellichian , abile ricamatrice che lavora per le case di moda più prestigiose: i suoi lavori sono vere opere d'arte e di pazienza. Tutte e due stanno attraversando un momento di vita particolarmente delicato e difficile e questo le accomuna e le rende particolarmente sensibili e attente . Il silenzio della casa, i punti leggeri con l'ago su cui vengono infilate le perle sottili dalle mille sfumature, parole non dette, sguardi che si toccano, a tratti. E' un film pieno di grazia, dolce e leggero che ci accompagna punto dopo punto nelle storie di queste due donne che riescono, insieme, a costrure la trama di una nuova vita. Con ago e filo ricuciono gli strappi e con mano sempre più ferma e decisa arrivano al ricamo finale, un ricamo meraviglioso che hanno saputo realizzare insieme senza forzature ed in completa armonia.
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Meduse |
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Le vite di tre donne ,per uno strano gioco del destino, si incontrano in modo leggero, quasi fluttuante come il movimento delle meduse. Le tre donne sono : Kerem che si rompe una gamba proprio durante il suo banchetto di nozze ed è costretta a rinunciare alla sua luna di miele nel mar dei Carabi. |
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Quattro minuti |
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E' il secondo film del regista tedesco Chris Kraus . Siamo in un carcere femminile, le atmosfere sono cupe, ragazze giovani, ladre, truffatrici e assassine, piene di rabbia e di violenza, passano le giornate chiuse nelle celle. Un' anziana insegnante, Traude Krüger, cerca di coinvolgere le giovani ragazze insegnando loro a suonare il piano. Riesce a coinvolgere anche Jenni che ha 21 anni ed è stata condannata per omicidio. Sembra che la ragazza sia stata una bambina prodigio e sia dotata di un naturale talento e Trude tenta davvero l'impossibile: la ragazza è una ribelle e tende a distruggere tutto quello che la coinvolge e che sente come ‘intruso' al mondo che si è creata intorno negli anni. In modo accurato sceglie per lei un repertorio classico, ma Jenni fa di tutto per rovinare ogni cosa e interrompe la musica scelta dall'insegnante con rumorosi pezzi di hip hop: è questa la musica che lei ama e con la quale riesce ad esprimere tutta la rabbia che sente dentro di sè. Il rapporto tra le due donne è sempre più difficile, entrambe non hanno avuto una vita facile. La giovane è stata abusata dal padre e questa violenza l'ha segnata profondamente portandola a scegliere per sè una vita di eccessi e di violenza. L'anziana insegnante ha avuto in gioventù, ai tempi del nazismo, un amore omosessuale che il clima di riprovazione sociale e il timore della feroce repressione nazista le hanno negato portandola a chiudersi in una profonda rigidità emotiva che sembra, però, soffocarla. Sono entrambe donne profondamente ferite e ingabbiate che non riescono più ad uscire dalla stanza buia in cui si sono, nel tempo, chiuse da sole. Il loro rapporto è duro e difficile e l'ambiente circostante non le aiuta. Solo col tempo e con la musica qualcosa a poco a poco sembra cambiare. Ma non come ci aspetteremmo… i quattro minuti finali del film, da qui il titolo, sono di sicuro i più travolgenti |
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Racconti da Stoccolma |
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Ha ricevuto il premio Amnesty International al Festival di Berlino 2007 . E' a Stoccolma che vive una delle protagoniste del film, Leyla, in una famiglia molto numerosa originaria del mediooriente. Si tratta di un fatto vero ispirato da un rapporto di polizia. Il fatto sconvolge, ma ultimamente altri fatti simili sono successi, basta pensare al caso di Heena Saleem, immigrata pakistana che viveva con la sua famiglia in Valle Trompia, nel bresciano, la ragazza viene ammazzata dal padre e dagli zii, nel 2006. La seconda protagonista del film è Carina che lavora come giornalista per una televisione, stesso luogo di lavoro anche per il marito che fa l'operatore. La terza storia coinvolge la famiglia di Aran che deve subire minacce continue e nasce dall'intolleranza verso l'omosessualità, anche se questa è nascosta. I dati sulla violenza alle donne sono veramente allarmanti Prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra, ad uccidere le donne nel mondo, o a causarne l'invalidità permanente è la violenza subita dall'uomo. Partner, marito, fidanzato o padre che sia. Secondo alcuni dati forniti dal Consiglio d' Europa è la violenza familiare, in Europa e nel mondo, la prima causa di morte per le donne tra i 16 e 44 anni. In Russia in un anno sono morte tredicimila donne, il 75% uccise dal marito. Ogni quattro minuti una donna viene violentata in America e in Svezia. In Francia una donna muore ogni quattro giorni. In Spagna nel 2004 72 donne sono state uccise dal loro partner. Per non parlare dell'Italia |
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Ti do i miei occhi |
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E' ancora buio fuori, una giovane donna, Pilar, sveglia il suo bambino che ancora dorme, raccoglie la borsa ed esce di casa. E' agitata, piena di paura ma, per la prima volta, dopo tanto tempo, ha trovato il coraggio e la forza di chiudere dietro di sé la porta di casa e di lasciare Antonio, il marito violento che da anni la fa tremare di paura, soffocando ogni suo desiderio di ‘essere'. Questo è un film sulla violenza domestica, sul silenzio doloroso delle donne che per paura e per ‘amore‘ non trovano la forza di reagire e di dire basta per poter riprendersi una vita rubata fin dai primi anni del matrimonio. Il film è scritto e diretto da Iciar Bollain, una regista spagnola ed è la sua opera prima, molto premiata al Festival di San Sebastian nel 2003. Capire è necessario, giustificare inaccettabile. Ti do i miei occhi è un film che inquieta e segna nel profondo, impossibile dimenticare lo sguardo di Pilar, donna forte e fragile insieme, che, solo quando riesce finalmente a 'vedere' se stessa e il marito, per la prima volta, riesce anche a trovare la forza per liberarsi e tornare a vivere. |
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Noi due sconosciuti |
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Una coppia sposata da undici anni, due bambini piccoli, una vita serena da vivere. La morte del marito arriva così, all'improvviso e Audrey , stordita dal dolore riesce a continuare la sua vita solo irrigidendosi in una corazza. Gli altri continuano a vederla muoversi per le stanze, prendersi cura dei figli, organizzare il funerale del marito. Il marito aveva un rapporto molto stretto con Jerry, un amico d'infanzia, un rapporto che non si è mai interrotto nonostante la tossicodipendenza dell'amico. Anche Audrey ora è sola ed è a Jerry che pensa in questo momento, è Jerry che vuole accanto a se. I due, apparentemente tanto lontani e diversi, troveranno una strada comune da percorrere per riuscire a superare il dolore, per rielaborare il lutto che li ha lasciati completamenti vuoti dentro, per rientrare lentamente nella vita. ‘Accetta quello che c'è di buono' era la frase che il marito di Audrey usava nei momenti di crisi per sollevarla dallo sconforto. Jerry e Audrey, insieme, impareranno, pian piano, ad accettare ‘il buono' che può venire, giorno per giorno, ed è con questa sollecitazione fatta con tenerezza a se stessi che il film si chiude. Il film è diretto da Susanne Bier |
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Water |
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“Figlia. Ricordi di esserti sposata? Tuo marito è morto. Ora tu sei una vedova”. Così nel 1938 in India, così ancora oggi, secondo rituali indù molto rigidi. Da un censimento del 2001 risulta che, nell'immenso subcontinente, ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono negli ashram. Donne costrette alla segregazione nelle case delle vedove,emarginate dal resto del mondo, lontane dalla famiglia, dagli affetti, sole. Chuyia quando si sposa è una bambina, sicuramente per lei il matrimonio è stato solo una grande festa piena di colori e di gente, poi il marito molto vecchio si è ammalato e lei non lo ha più nemmeno visto fino alla sua morte. Entriamo con lei nella grande casa grigia piena di donne, bambine come lei, giovani ragazze, donne adulte e molte, vecchie ed ammalate. E' con questo pensiero che passa le giornate, una dopo l'altra, in attesa. Istruita dalle altre si adatta ai ritmi della sua nuova vita ed impara a conoscere le altre donne, storie di sofferenza, di sopraffazione, violenza , frammenti del passato raccontati nei momenti di difficoltà, quando il dolore si fa sentire con più forza. Sono immagini bellissime accompagnate da una musica suggestiva, così è tutto il film. Chuyia, riuscirà ad influire sul destino delle altre vedove, con la sua energia riuscirà a portare all'interno della casa prigione un po' di umanità. Ancora oggi la condizione delle vedove in India è rimasta pressoché la stessa. Il matrimonio viene deciso dai genitori degli sposi che contrattano sulla dote che la famiglia della sposa dovrà elargire a quella dello sposo. Spesso le stesse bambine rimangono in famiglia fino alla pubertà e poi si trasferiscono nella famiglia del marito, ma in molti casi nemmeno questo, la bambina lascia subito la scuola e viene mandata nella famiglia del marito |
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Il destino nel nome |
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Siamo in India e assistiamo ad un incidente ferroviario catastrofico. I soccorritori si muovono tra i corpi dei morti e dei pochi feriti sopravvissuti. E' Ashoke che riesce, così, quasi per miracolo, a salvarsi . Dopo molti mesi passati a letto per riprendersi prende la decisione di dare una svolta alla propria vita e di lasciare l'India per trovare lavoro negli Stati Uniti. E' un inverno particolarmente rigido a New York, per Ashima lo è ancora di più . L'appartamento che diventa la loro casa è piccolo, freddo e Ashima si muove lentamente avvolta nel suo
sahari
dai mille colori, si guarda intorno, c'è silenzio e, tutto lì fuori, le è sconosciuto. Ashima, la madre, la piccola donna che si muoveva nel suo
sahari
colorato, piena di paura, all'inizio, ora è una donna forte, felice dei suoi affetti, con un lavoro e tante sicurezze che mai avrebbe pensato di conquistare e il mondo che ha lasciato è nel suo cuore e nella voce dei suoi che sente al telefono. Il film è della regista indiana Mira Nair |
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Un giorno perfetto |
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Il film è tratto dal romanzo di Melania Mazzucco che io non ho letto e, per questo motivo, nel vederlo, non avevo aspettative particolari. La storia di Emma, la protagonista femminile, è purtroppo uguale a quella di tante altre donne. Finalmente è riuscita, a fatica, a separarsi dal marito dopo anni di violenza psicologica e fisica e con i due figli va a vivere a casa della madre. Il film ha un finale molto tragico, come spesso succede nella realtà di queste storie di violenza famigliare, solo che il marito sceglie la punizione più crudele per Emma. A noi, dal di fuori, resta addosso un' inquietudine tremenda che fa fatica ad andarsene. Il film è diretto da Ferzan Ozpetek |
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Il papà di Giovanna |
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Un papà e la giovane figlia diciassettenne camminano per strada, stanno tornando dal liceo dove lui insegna e lei studia. Camminano in mezzo alla gente parlando tra loro, un ragazzo li sfiora ed il papà si rivolge alla figlia dicendo che sta diventando davvero carina, anche quel ragazzo se n'è accorto e si è girato a guardarla. Lei scuote la testa e si gira, vede solo il ragazzo che continua per la sua strada. Il padre, per lei ha un amore sconfinato, vorrebbe essere tutto per avvolgerla in un abbraccio protettivo costante,con lei ha un rapporto esclusivo ed il suo unico desiderio è di renderla felice e per questo è disposto a tutto anche a costo di mentirle, a differenza della madre che mantiene un atteggiamento distaccato e non approva il comportamento del marito. A scuola Giovanna ha fatto amicizia con una compagna che, per la prima volta, si affeziona a lei e passano molto tempo insieme. Giovanna, per gelosia, uccide la sua unica e grande amica. Siamo nel 1938 e Giovanna rimarrà rinchiusa in questa struttura fino alla fine della seconda guerra mondiale, regredendo a poco a poco, ad uno stadio infantile. La moglie, da questo momento prende le distanze da loro e dal dolore e non vorrà più sapere nulla della figlia. Il film ci racconta una tragedia molto dolorosa, ma appena sussurrata. Il film è di Pupi Avati |
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Quando Otar è partito |
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Siamo a Tbilisi, capitale della Georgia post-sovietica. La nonna Eka ama la Francia, tutti parlano il francese, Eka lo ha insegnato ai figli e alla nipote, i libri della collezione del nonno che custodiscono, sono preziosi volumi francesi rilegati in pelle e chiusi nella loro biblioteca. La Francia diventa la terra dei desideri per la nonna e per la nipote Ada ed è Parigi che l'unico maschio della famiglia, Otar, figlio di Eka è emigrato da tempo. Le tre donne e soprattutto Eka, la vecchia madre, vivono in attesa di una lettera per avere sue notizie e i pochi soldi che riesce a mandare. Solo in quei rari momenti la donna si illumina e riprende a sognare. Anche per Ada, la giovane nipote, la vita non è facile, è laureata, ma a nulla sono serviti gli studi fatti negli anni, un lavoro è difficile da trovare e quando lo trovi sei sottopagata e sfruttata. A casa, tra loro, le tre donne ritrovano un minimo di armonia e noi le vediamo vivere insieme teneramente. Le vediamo anche litigare e poi ridere felici insieme. Ripensare al passato, nella dolcezza della campagna georgiana, dove la dacia della nonna ha bisogno della cura di tutte loro. La notizia della morte di Otar che le informa dell'incidente avvenuto nel cantiere arriva a sconvolgere la vita della sorella e della giovane figlia che non sanno proprio come dirlo alla madre che da tempo è ammalata di cuore e ne morirebbe. Arriva però il giorno in cui la madre, di nascosto da tutte e due, inizia a preparare, da sola, il passaporto e tutti i documenti necessari per partire alla ricerca del figlio. Le tre donne partono insieme per Parigi, ma è da sola che Eka scoprirà la tremenda verità sul figlio. Lei non farà ritorno a casa. . Il film è della regista Julie Bertuccelli E' stata assistente di Otar Iosseliani. E il film è un omaggio al regista georgiano. Ha vinto svariati premi, come il Prix Marguerite Duras e il primo premio alla Semaine de la Critique di Cannes 2003. |
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Vicky Cristina Barcelona |
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Barcellona è sullo sfondo, o meglio, squarci di una Barcellona estiva e luminosa, dove, seguendo lunghi vicoli ombrosi, si arriva in piccole piazze piene di verde dalle varie tonalità, con le pennellate di colore date dai fiori sulle facciate delle case dai toni accesi del rosso e del giallo. Siamo immersi nella bellezza di paesaggi e di opere d'arte e siamo spesso rapiti dal suono struggente di una chitarra acustica. E' qui che passeranno due mesi di vacanza Vicky e Cristina, due amiche americane, ospiti nella casa di una coppia di amici di famiglia. Vicky è fidanzata e prossima al matrimonio, il suo è un lungo fidanzamento, tranquillo e senza problemi, è già sicura di come andrà la sua vita, tutto è programmato sia per quanto riguarda il lavoro che l'amore. Cristina, per il momento sa solo quello che non vuole ed è pronta a ricevere quello che vorrà arrivare, una passione amorosa capace di sconvolgerle la vita è il suo più grande desiderio più volte palesato anche all'amica. Una sera, mentre stanno cenando in un piccolo ristorante, vengono avvicinate da un giovane pittore davvero affascinante, Juan Antonio che le invita a passare un fine settimana a Ovedo, partirebbero con lui subito, con un piccolo aereo, potranno cenare e visitare il piccolo paese e poi fare l'amore tutti e tre insieme. Perché no?,si dice . I tre escono dal ristorante e alla fine riescono a convincere anche Vicky che supera a fatica le proprie resistenze iniziali Il loro è stato un rapporto molto tormentato e passionale e sono proprio la passionalità estrema , la rabbia e la follia di questo nuova figura femminile a creare nuove situazioni imprevedibili. "Vicky Cristina Barcelona'' è di Woddy Allen |
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Revolutionary road |
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Siamo in Connecticut a metà degli anni cinquanta, Franck e April sono una giovane coppia della media classe borghese con due figli, hanno una casa , in Revolutionary road, una villetta bianca su due piani con giardino, in un elegante quartiere , sono belli, sofisticati, intelligenti e per queste caratteristiche sono ammirati e invidiati dai loro vicini di casa. ‘…siete una coppia fantastica, lo dicono tutti.' Sono una tipica e, apparentemente felice, famiglia americana che vive in un tipico quartiere residenziale lindo e pulito con le aiuole fiorite, la ghiaia bianca e ben curata che delinea le proprietà. Tutti e due recitano la parte della coppia perfetta e sono tesi a non deludere le aspettative del mondo che li circonda, amicizie formali con cui passano noiose serate bevendo e fumando. Anche le sue aspirazioni giovanili legate al teatro e al desiderio di recitare e fare l'attrice si sono ormai spente e la sua vita si trascina giorno dopo giorno sempre uguale. E' April che , cerca di dare una svolta alla loro vita per uscire dalla monotonia che li sta schiacciando e distruggendo, parlando al marito di un sogno a cui sta pensando da tempo: chiudere con tutto e reinventarsi una nuova vita, in Francia, a Parigi. A rafforzare la loro convinzione è invece l'entusiasmo che divide con loro il figlio psicolabile di un vicino. È un film profondamente malinconico e drammatico in cui avvertiamo fin dall'inizio che l'angoscia esistenziale dei due protagonisti non troverà pace, nessuna speranza di un cambiamento è possibile per i due. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Richard Yates del 1961 ed il regista è Sam Mendes |
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Il matrimonio di Lorna |
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Il film si apre con un inquadratura sulle mani di Lorna che è davanti ad uno sportello bancario e sta contando dei soldi. Ed è lui, Claudy, il giovane marito, che ha completa fiducia in lei, tanto da consegnarle i soldi del suo sussidio di disoccupazione, Claudy vuole smetterla con la droga e per questo non vuole maneggiare soldi, vuole chiudersi in casa e Lorna porterà le chiavi con sé. E' molto determinato in questa sua decisione. Fabio ha trovato un russo che vorrebbe ottenere la cittadinanza belga con un matrimonio e per questo ora Lorna dovrebbe divorziare da Claudy. I tempi per il divorzio sono lunghi ed il malavitoso ha già preso una decisione sbrigativa: ammazzare con un overdose Claudy, niente di più naturale e semplice per lui, quel ragazzo è solo un tossico! D'ora in poi il suo silenzio ci accompagnerà fino alla fine del film in cui ci troveremo, come in un sogno, in un paesaggio completamente diverso. E' sola con se stessa. Solo qui, in uno spazio al di fuori dal mondo reale, Lorna rompe il silenzio che le è servito per staccarsi completamente da un mondo che non sentiva più come suo, un mondo crudele e disumano in cui aveva rischiato di venire risucchiata, e comincia a parlare accarezzandosi il ventre. Il film è dei fratelli Jean- Pierre e Luc Dardenne |
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La vita segreta delle api |
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Qualche anno fa, come lettura estiva, un'amica mi aveva consigliato un libro di Sue Monk Kidd, una scrittrice nata in una cittadina della Georgia, dal titolo, La vita segreta delle api, che mi aveva fin da subito incuriosito. Mi ero così ritrovata in una piccola comunità di donne nere, August, June e May nell'America del sud, tre sorelle apicultrici, che producevano il miglior miele in circolazione e vivevano in una enorme casa dipinta di rosa, in mezzo ai campi, circondata dal ronzio delle api in una calda estate appiccicosa e profumata di miele. Il libro apre ogni capitolo con piccole citazioni riguardanti la vita delle api perché come ripete August, la sorella più anziana: “la gente spesso non ha idea di quanto sia complessa l'esistenza all'interno di un'arnia. Le api hanno una vita segreta di cui non si sa nulla”. Sono entrata così, a poco a poco, nel mondo di questi piccoli insetti, ai più sconosciuto, per scoprire le profonde analogie tra i comportamenti di ogni singolo elemento di questa piccola e operosa comunità, in cui la regina è la forza unificatrice e la presenza del maschio è veramente marginale, con la comunità delle tre sorelle operose e delle altre donne che ruotano intorno a loro. Siamo nel 1964, l'anno in cui il presidente degli Stati Uniti, Johnson , aveva firmato l'Atto sui Diritti Civili che metteva fine, sulla carta, alla discriminazione nei confronti della gente di colore. La protagonista è Lily, ragazzina di quasi quattordici anni che abita con il padre, uomo manesco, violento e prepotente con cui non riesce ad avere nessun rapporto, nella piccola fattoria dove vivono coltivando pesche. E' accudita da Rosaleen, la donna nera che, alla morte tragica della madre, si è presa cura di lei. E' la madre che Lily cerca nei pochi ricordi che le restano, negli oggetti suoi che è riuscita a nascondere agli occhi del padre, oggetti che tiene tra le mani e riguarda nelle notti insonni quando, perseguitata dal senso di colpa lacerante di essere stata lei la causa della sua morte, si sente agitata e non riesce a dormire. Qui le due ragazze arrivano sfinite e trovano la casa rosa abitata dalle tre sorelle che le accolgono e si prendono cura di loro. Un piccolo mondo accogliente dove il tempo è scandito dalla magia della natura. August darà a Lily tutte le informazioni necessarie per diventare a sua volta una brava apicultrice, stando al suo fianco e insegnandole tutti i segreti della vita delle api e spingendola ad una osservazione attenta di questi piccoli insetti così come di se stessa e delle persone che la circondano, questo perché per August: ”… il mondo è un grande alveare …e lì c'è molto da imparare.” Ora, Lily per affrontare il delicato e doloroso passaggio dall'infanzia all'età adulta ha intorno a sé tante madri: ”Ho più madri io che qualsiasi ragazza in circolazione", che le sono vicine e condividono e sostengono il suo cammino e la sua ricerca e questa è la sua vera e grande ricchezza. Con loro impara a capire che: “… rallegrare il cuore di qualcuno…insomma, questo sì che conta davvero. Il problema, con la gente, è che sa quel che è importante, ma non lo sceglie.” Imparerà col tempo a perdonarsi, imparerà anche a scegliere per se stessa e per il suo bene e quello delle persone che la amano e desiderano per lei una vita piena, autentica e libera dalle paure e dalle angosce che l'hanno tenuta prigioniera fino ad allora. Lei non è più sola e, come avviene negli alveari in cui “…una comunità priva di regina è una comunità assai triste e malinconica, a volte si sente addirittura una sorte di lamentoso gemito. Lasciata a se stessa la colonia muore.. Ma se si introduce una nuova regina, si assiste a un cambiamento prodigioso “, così sta avvenendo anche nella vita di Lily. Regista del film è Gina Prince-Bythewood e tra le bravissime interpreti di questo film di solidarietà e affetto tra donne, una delle tre sorelle della grande casa rosa, è la musicista e cantautrice Alicia Keys, che ci regala pezzi molto belli. |
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La felicità porta fortuna |
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In una Londra straordinariamente soleggiata e senza giornate piovose, incontriamo Poppy, con i suoi vestiti variopinti dagli abbinamenti di colore improponibili, i suoi rumorosi e numerosi braccialetti, i suoi sorrisi contagiosi, le sue buffe smorfie e l'andatura dinoccolata resa precaria dagli stivali col tacco, che non lascia mai. E' una ragazza esuberante, eccessiva nei suoi comportamenti e sempre allegra. Le prime scene del film non mi hanno entusiasmato: troppo di tutto, troppa esuberanza, troppa allegria. Ma, scena dopo scena, mi sono avvicinata a lei superando il primo impatto negativo e mi sono lasciata catturare perché Poppy è uno spirito libero che sorride alla vita, sempre, non è superficiale e frivola, semplicemente lei ha il suo 'centro' e può permettersi di essere in quel modo, senza finzione e senza recite per apparire, lei è così, con se stessa e con gli altri, le amiche con cui ha rapporti molto intensi e le persone che non conosce, ma che vorrebbe conoscere, se e quando queste glielo permettono. Il film, non ha una vera e propria trama, scorre leggero e le scene rincorrono Poppy nei suoi spostamenti da casa alla scuola ,alla discoteca, ai suoi salti sulla pedana elastica, alle lezioni di flamenco,alle lezioni di guida, lei, con la sua gioia di vivere e di mettersi costantemente in gioco. Poppy è una giovane trentenne, maestra, che divide l'appartamento con Zoe, anche lei insegnante in una scuola elementare. E' piena di vita, entusiasta del suo lavoro con i bambini che affronta con creatività e passione, gioca con loro e riesce a coinvolgerli molto facilmente perché ama i bambini e si diverte davvero creando situazioni stimolanti e coinvolgenti. E non si può non amare facendoci conquistare dal suo sorriso fino alla scena finale del film in cui ci culliamo piacevolmente insieme a lei e all'amica Zoe su una barchetta che scivola leggera sul fiume, c'è serenità tra loro e l'amica si rivolge a lei dicendo: “Non puoi rendere felici tutti” e Poppy candidamente risponde “sì, ma che male c'è a provarci, a portare il sorriso nel mondo”. Accompagna la frase con il suo solito sorriso e continuano a remare guardandosi negli occhi . Il film è scritto e diretto da Mike Leigh |
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L'ospite inatteso |
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Così, proprio per caso, ed in modo davvero inusuale, inaspettato e imprevedibile, nasce l'amicizia tra Walter e Tarek. Due persone completamente diverse: Walter è un professore universitario di economia sessantenne, americano e vedovo da alcuni anni, che conduce una vita monotona, con un lavoro ormai diventato ripetitivo e privo di stimoli; Tarek è un giovane immigrato siriano che convive con Zainab, una ragazza senegalese incontrata in America e come lui clandestina. Walter vive solo, in una bella casa in cui tutto sembra essersi fermato quando la moglie, pianista e concertista, è morta. Si sente inutile, chiuso nei ricordi del passato, senza più legami e interessi capaci di coinvolgerlo emotivamente. Tarek ama la musica e vive di musica suonando i tamburi africani in un gruppo jazz.
Due mondi, i loro, completamente diversi. Il loro incontro segnerà positivamente la vita di Walter determinandone la svolta ed il cambiamento e per Tarek significherà la fine del suo sogno americano. Water accetta di malavoglia il trasferimento a New York, in sostituzione di una collega, per la presentazione di un saggio ad una conferenza ed è proprio da questo viaggio che avranno inizio per lui una serie di avvenimenti che, in breve tempo, lo faranno sentire diverso e più ricettivo nei confronti della vita e delle occasioni che si possono presentare inaspettatamente. A New York scopre che il suo appartamento è occupato da una coppia, lei è Zainab e lui è Tarek. Da questo momento assistiamo alla graduale trasformazione del compassato e metodico professore che, scoprendo, a poco a poco, il mondo di Tarek, si arricchisce di vita e di nuovo entusiasmo. I due, profondamente diversi, riescono a trovare un terreno d'incontro. Tarek non ha il permesso di soggiorno e viene fermato dalla polizia, arrestato e condotto in un centro di detenzione. Anche questo nuovo incontro per Walter sarà molto importante, Mouna è infatti una donna molto dolce, sensibile e attenta, disposta a tutto per aiutare il figlio. Mouna è vedova, il marito, giornalista, è morto, in Siria, dopo molti anni passati in carcere per i suoi articoli considerati scomodi dal potere. E' un film dai toni pacati che ci parla di accoglienza, comprensione, partecipazione e amore tra persone profondamente diverse per provenienza e cultura, pieno di umanità e di rispetto per l'altro. E' una bella storia di incontri, voluti dal caso, e diventati importanti per il naturale bisogno di autenticità, umanità e amore dei quattro personaggi che la animano. L'ospite inatteso è di Tom McCathy |
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La famiglia Savage |
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E' un film coinvolgente che con delicatezza ci porta nei luoghi malinconici e tristi dove i vecchi trovano l'ultimo rifugio, prima di spegnersi per sempre e ci accompagna nei sentimenti contrastanti che le persone coinvolte provano momento dopo momento. Così, all'improvviso, come spesso accade, la situazione precipita e le decisioni da prendere devono essere veloci e tempestive, accompagnate dalle emozioni forti che si scatenano insieme ai sentimenti più contrastanti, al senso d'impotenza, al passato che riemerge creando ancora lo scompiglio interiore di allora e portando con sé lo smarrimento totale che lascia con lo sguardo perso nel vuoto. Nel film Wendy e Joe non si vedono da tempo, ognuno preso dalla propria vita, lei è drammaturga nell'East Village e lui è professore di teatro, li accomuna un'infanzia difficile, che li ha segnati nel profondo, con un padre autoritario e violento. E' un film semplice, diretto e vero della regista Tamara Jenkins. |
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Ti amerò sempre |
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Philippe Claudel, giovane scrittore francese, diventa per la prima volta regista, con questa storia scritta da lui e proprio per questo ci regala immagini così intense ed emozionanti per la sua capacità di cogliere ogni variazione emotiva, anche la più impercettibile, degli sguardi, dei movimenti delle labbra, delle espressioni minime del viso di Juliette, protagonista del film, e di Lea. Le due sorelle, di cui Juliette è la maggiore, sono state molto unite da piccole ed il loro è stato un rapporto molto intenso. E' difficile per le due incontrarsi anche se i ricordi che riaffiorano man mano riportano alla luce momenti passati pieni di affettività. Le tensioni, a lungo trattenute nel corpo si allentano ed il suo sguardo a poco a poco si addolcisce ed il viso si distende. Entriamo nel suo dolore cogliendone tutte le sfumature che si disegnano sul suo viso su cui il regista si sofferma con primi piani lenti di incredibile intensità. E siamo vicini a questa piccola donna che con grande forza interiore riesce a rinascere dopo un evento tragico. |
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Stella |
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Anni '70, periferia francese, Stella, ragazzina di undici anni, vive con i suoi genitori che gestiscono un bar ritrovo di ubriaconi, emarginati e senza fissa dimora che occupano le stanze annesse al locale. Gente che urla, litiga, gioca a carte e si stordisce ogni sera, senza regole da seguire, nel caos totale. Viene iscritta, per caso, ad una scuola nel centro parigino e qui inizia la sua avventura. Sua compagna di banco è Gladys, figlia di ebrei argentini, molto brava in tutte le materie, le due diventano molto amiche e a poco a poco Stella entra con lei in un mondo nuovo dove la gente vive e si muove in modo diverso da tutti quelli che lei conosce. E' il momento del cambiamento, per lei. Si appassiona alla lettura, è coinvolta da ciò che scopre leggendo e un nuovo mondo, completamente nuovo, si apre davanti a lei. Il film, della giovane regista Sylvie Verheyde, è una storia autobiografica. La censura italiana in prima istanza ha vietato il film ai minori di quattordici anni per un episodio di attenzioni particolari di un cliente del bar nei confronti di Stella Lodoli consiglia la visione del film soprattutto agli studenti. ROMA - Stella ha undici anni, "l' age bête" dicono i francesi, quel tempo di metamorfosi dolorosa in cui le ossa e i pensieri si allungano e tutto sembra incomprensibile. È ancora una bambina e non è più una bambina, la protagonista di questo bel film di Sylvie Vertheyde presentato all' ultimo Festival di Venezia e che da domani sarà nelle sale di tutta Italia. E speriamo che lo vedano in molti, anche se non ci sono attori famosi, anche se non ha nulla di violentemente spettacolare, perché Stella ha una qualità rara, sa entrare in quella zona misteriosa della fine dell' infanzia che quasi nessuno ha osato raccontare. È il tempo delle mele acerbe che precede di un soffio l' epoca delle comitive, delle mode condivise, dei linguaggi cifrati e compresi solo dalla tribù: questa è la breve e decisiva era della sofferta solitudine, in cui tutto scorre vertiginosamente e nulla ancora ha trovato la sua forma. Siamo negli anni Settanta, e Stella viene da una famiglia popolare, da due genitori belli e un po' dannati che gestiscono un bar nella banlieue parigina, un localaccio con i suoi clienti fissi che scompaiono accoppati dalla cirrosi epatica e dal disordine esistenziale. È l' altra faccia dei prestigiosi caffè intellettuali di Saint Germain: qui ci si ritrova per giocare a carte, flipper, calcio balilla, per bere come spugne, per intrallazzare con femmine procaci e disponibili, per consumare le serate nello stordimento. È un luogo vorace e caotico, intriso di violenza, dove tutti urlano, dove nessuno ascolta nessuno. Padre e madre, due esseri infelici, pronti a tradirsi ogni momento, non hanno la pazienza per ascoltare la loro bambina, per seguirla nella sua trasformazione. Ma per lei c' è un altro ambiente, la nuova scuola media, tormento e possibilità, pressa e catapulta. È una scuola più centrale, dove i professori pretendono molto e stangano ancora di più: per la maggior parte sono donne e uomini insensibili, un po' frustrati, e non hanno alcuna voglia di soffermarsi sull' anima incerta dei loro studenti. Non sembra un luogo felice, anche qui Stella subisce umiliazioni e soprusi, eppure questa ragazzina simile a un palloncino sempre pronto a volare via nel cielo piccolo dei suoi pensieri, istintivamente comprende che solo la scuola potrà salvarla. Questo è un film che andrebbe fatto vedere a tutti i ragazzi delle periferie italiane, quelli ai quali provo a insegnare qualcosa ogni mattina e che soprattutto devo convincere in ogni modo a non abbandonare aule e libri, perché se mollano è la fine, per loro fuori ci sarà solo desolazione e miseria, anche se sono convinti del contrario. È una difficile opera di persuasione: loro guardano la televisione, le pubblicità, credono che la scuola li separi dal mondo reale, da quelle illusioni fasulle. A loro lo studio sembra una perdita di tempo, sognano denaro, oggetti preziosi, una felicità regalata dal gatto e dalla volpe. Dovrò assolutamente portarli a vedere questo film, la storia complessa eppure semplice di Stella. Con innata saggezza, lei comprende la pena dei genitori e la chance che la scuola le offre, anche attraverso il percorso misterioso del caso. La compagna di banco legge i romanzi di Balzac e della Duras, nomi che per Stella non significano niente: eppure Stella non chiude la porta, anzi, incuriosita e intimorita entra in una libreria e compra il suo primo romanzo. Da quel momento per lei qualcosa cambia, come è cambiato per me tanti anni fa e ancora oggi per qualche studente che non si arrende alla prepotenza della realtà. Comincia a leggere, a riflettere, trova un altro mondo ancora, dove regnano intelligenza e bellezza, sentimenti grandi e pensieri profondi, e partendo da lì trova il modo per reagire al degrado familiare e al disagio della sua età. E alla fine sarà promossa, perché i suoi professori in fondo non sono le carogne che a volte sembrano, e sarà più felice, perché ora sa qual è la sua strada. Nessuno mai regala niente, ma ogni ragazzo può farcela se per un poco chiude le orecchie ai richiami melliflui delle sirene assassine, se prende in mano un libro, se per un' ora sceglie la solitudine, se si fida delle parole dei veri maestri. - MARCO LODOLI |
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Uomini che odiano le donne |
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Di questo film non avevo volutamente letto nulla, sapevo che era un trhiller tratto dalla trilogia Millenium di Stieg Larsson, autore di gialli molto famoso in Svezia e molto letto anche in Europa e purtroppo morto prematuramente a soli 50 anni. Viene allontanato dal lavoro e riceve una richiesta particolare da un componente del clan dei Vanger, Henrik, ricco industriale che da anni è ossessionato dall'idea che la scomparsa della nipote Hariett, avvenuta 40 anni prima, sia da ricondursi ad uno dei membri della sua numerosa, ricca e potente famiglia. A Maikel viene proposto di dedicarsi a tempo pieno alla ricerca di notizie al riguardo e lui accetta. Maikel avrà un appartamento per sé e da subito gli vengono portate tutte le fotografie di Hariett, i suoi diari, i libri più letti e lui entrerà in quel mondo per cercare di conoscere e capire. Conosciamo la protagonista femminile della storia: Lisbeth Salander , è un hacker incaricata dalla compagnia per cui lavora di indagare su di lui. Maikel riesce a convincerla a lavorare con lui e con il suo aiuto riuscirà a portare a termine l'operazione riuscendo a portare finalmente alla luce segreti tenuti nascosti per anni dai componenti della famiglia. Il dolore devastante che come la protagonista del film attanaglia molte donne vittime di violenza, se riescono a sopravvivere alla violenza stessa. Il regista Niels Arden Oplev in una intervista dice: “Volevo fare un film con emozioni forti, personaggi forti e una storia controversa e intrigante. Questi elementi sono già il mio marchio di fabbrica, e nel libro c'erano tutti. Volevo che scenografie e immagini contribuissero a farne un film speciale, importante. E volevo che ci fossero tutti i dettagli e le sfumature del libro di Larsson – le vecchie foto attraverso cui rivive il personaggio di Harriet, i vecchi filmati di repertorio dell'incidente sul ponte, la memoria fotografica di Lisbeth. |
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Louise Michel |
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E' stata una doppia sorpresa per me vedere questo film, strano, un po' folle e con momenti davvero esilaranti, perché, oltre al piacere in sé, mi ha dato modo di sapere dell'esistenza di una donna che non conoscevo. Louise e Michel sono i protagonisti a cui i registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern danno il nome e cognome di una anarchica francese, nata nel 1830, paladina dei diritti delle donne ed impegnata politicamente per tutta la sua vita. Il film, che prende spunto da un fatto realmente accaduto, ci porta in una fabbrica tessile francese, una fabbrica di donne,dove lavora Louise. Il padrone, il giorno prima del fine settimana e della pausa lavorativa, regala a tutte un camice nuovo con il nome di ciascuna in rilievo. Che fare? Le operaie si trovano intorno ad un tavolo per decidere, insieme, il da farsi, valutano alcune ipotesi, ma scelgono quella lanciata da Louise: trovare un killer, e lei sa dove, e ammazzare il padrone. E' una storia al limite del surreale, Louise e Michel sono accomunati da un passato complicato e da una vita da sbandati, a cui tutto va storto, e destinati irrimediabilmente alla sconfitta. Lei ha conosciuto il carcere, allora si chiamava Jean Pierre, vestiva panni maschili e lui ha avuto un adolescenza molto difficile, si chiamava Cathy ed era una ragazzina corpulenta. Ed io mi sono sentita vicina a queste persone così singolari e fragili nelle loro assurdità che si incontrano, si conoscono e decidono di proseguire insieme, non più sole, il loro cammino sulla terra. |
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Il canto di Paloma |
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"Dobbiamo cantare per dimenticare, per cancellare le nostra paure“ Queste parole si sono sempre dette madre e figlia e così, hanno sempre fatto, perché per loro il canto è un modo per esprimere tutte le emozioni trattenute e per esorcizzare le paure antiche che la vecchia madre ha trasmesso alla figlia con il latte che ha succhiato dal seno: il latte del dolore. La madre, come moltissime altre donne peruviane, soprattutto indie, è stata violentata, quando già era incinta, e i terroristi le hanno anche ammazzato il marito. Il film inizia con il triste canto della madre sdraiata nel suo letto mentre Fausta, la giovane figlia la assiste con amore. Canta tutto il dolore della sua vita. Poi chiude gli occhi e muore. E' un bellissimo film di denuncia, questo, della regista Claudia Llosa che in un intervista afferma: “Molti psichiatri e psicanalisti riconoscono gli effetti della malattia ma non possono utilizzare i loro mezzi e strumenti per approcciare chi ne è affetto e quindi per entrarvi in contatto e poter sperare in una guarigione si deve ricorrere all'immaginario mitico… c'è un'effettiva possibilità di riprendersi dalle ferite? Si può ricominciare a vivere anche dopo aver vissuto/assistito a terribili violenze? La risposta che infine mi sono data è che sì, si può ‘guarire”. E con il percorso personale di Fausta il suo messaggio di speranza ci arriva sicuramente. |
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Settimo cielo |
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Lei, la protagonista del film, Inge, ha più di sessant'anni e divide la vita con Werner che di anni ne ha parecchi di più. Il loro è un rapporto di profondo affetto, amore, rispetto e comprensione. Si accorge, fin dal loro primo incontro che lui la guarda in modo diverso e si accorge anche del piacere che prova ad essere guardata, di nuovo, in quel modo. Poi lei scappa. Come se all'improvviso tutte le emozioni provate fossero troppo forti da gestire: la paura prende il sopravvento. Tutto diventa difficile, complicato e alla fine drammatico. Il film è molto ben raccontato dal regista regista tedesco Andreas Dresen ed è commentato solo dai rumori della vita reale, avvolto, in certi momenti, dai silenzi della solitudine e dal senso di sofferenza che ci accompagnano ad un finale raccontato con grande realismo. “Volevo raccontare una storia d'amore come se i protagonisti fossero giovani, perché mi sembrava che l'argomento non fosse mai stato trattato al cinema. - commenta il regista in una intervista - Credo di non aver mai raccontato una storia in maniera tanto minimalista. Ci sono pochissimi fronzoli e quasi nulla di superfluo, sia riguardo all'estetica e il contenuto sia per quanto riguarda la drammaturgia.” E proprio per questo, secondo me, il film riesce a coinvolgerci così profondamente. |
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Una soluzione razionale |
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Siamo in Svezia. Erland e May sono sposati da molti anni, con figli adulti che vivono per conto proprio, lui lavora in una cartiera locale e lei, pianista, insegna musica nella piccola scuola della cittadina in cui risiedono. Lo fanno con molta partecipazione e coinvolgimento: la loro è una coppia ‘solida', si amano ed insieme dividono il tempo libero, molto serenamente, così si svolge la loro vita, tra la cartiera, la scuola, le gite in mare con gli amici, i momenti tranquilli nella bella casa che hanno ristrutturato ed arredato con amore. Alla cartiera Erland lavora con Sven Erik,una persona fragile che in passato ha avuto problemi, i due hanno rafforzato la loro amicizia dopo un tentativo di suicidio di Sven Erik, tentativo non riuscito proprio grazie all'intervento dell'amico. Una soluzione c'è ed è la soluzione razionale che Erland propone alla moglie, all'amico ed a Karin. Il film, veramente ben costruito e molto piacevole, è l'opera prima del regista svedese Jorgen Bergmark che ci cala nelle atmosfere conflittuali, soprattutto interiori, con grande capacità introspettiva: primi piani intensi su cui si dipinge, di volta in volta, l'emozione che la persona vive interiormente. Non ci possono essere scorciatoie in una simile situazione, la direzione da seguire è una sola ed è quella che sente e che muove le sue decisioni così come ha sempre fatto nella sua vita. |
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Il nastro bianco |
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Entriamo in una piccola comunità al nord della Germania, siamo nel 1913, proprio alla vigilia della prima guerra mondiale. Siamo subito avvolti da una sottile tensione che man mano andrà crescendo, catturandoci fino alla fine. Il bianco e nero delle scene aggiunge drammaticità e senso di oppressione alla storia che ci cattura. Il luogo è austero così come gli interni delle abitazioni, le donne camminano a testa bassa, i bambini sembrano solo impauriti, primi piani sui loro visi bianchi e lisci, figure sottili, scure e ordinate, nulla è fuoriposto in loro. Le donne rigide e silenziose subiscono, senza nulla osare, fare o dire, la violenza dei mariti sui figli, nel quotidiano, e la violenza psicologica, verbale e fisica su loro stesse. Non c'è spazio né per la ribellione né per la fuga e nell'animo si sviluppa e trova ampi spazi la crudeltà. Il film è di Michael Haneke |
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Welcome |
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Siamo a Calais in una giornata invernale grigia e fredda, una giornata uguale a tante, in cui arrivano di continuo, enormi tir su cui trovano nascondiglio, stipati tra le merci,gruppi di clandestini, stremati, impauriti, infreddoliti e affamati, accolti dai volontari che offrono loro un pasto caldo e coperte, di nascosto, perché in Francia come altrove , aiutare i clandestini, gli irregolari, è reato. Lui è determinato, vuole andare a Londra,dalla spiaggia vede la costa inglese, gli sembra di poterla toccare, lì c'è Mina, la ragazza che ama e che lo aspetta da tempo. Dopo tentativi andati a vuoto che ci fanno toccare con mano la drammaticità della situazione quotidiana che gli irregolari sono costretti a vivere, Bilal decide che ha solo una possibilità per realizzare il suo sogno, attraversare a nuoto la manica. Per questo inizia a frequentare una piscina: deve imparare a nuotare bene, deve allenarsi il più possibile. Qui incontra Simon, un istruttore di nuoto cinquantenne che lo segue nelle giornate in piscina, c'è molto da fare. Fin da subito l'atteggiamento del ragazzo lo colpisce, è molto determinato e deciso. Invita Bilal ed un amico per una pizza a casa sua. Nasce un amicizia, un rapporto sincero e intenso: Simon conosce i sogni del ragazzo curdo, i sentimenti forti per la ragazza che ama, ed il vero motivo che lo ha spinto a frequentare la piscina. Lui, Simon, quando la moglie se n'è andata non è stato nemmeno capace di rincorrerla al di là della strada e fermarla. Ed ora decide che lui sarà al fianco del ragazzo in questa impresa, lo ospita in casa scatenando le reazioni dei vicini del condominio in cui abita che vivono dietro le loro porte chiuse con davanti lo zerbino classico con la scritta Welcome a caratteri cubitali. Il regista francese Philippe Lioret, all'uscita del suo film, in una intervista ha dichiarato: “Se volete aiutare una persona che non ha i documenti, potete essere denunciati per aiuto a una persona in situazione irregolare…. In quale paese viviamo? Ho l'impressione che siamo nel 1943, con un ebreo nascosto in cantina”. Le sue parole hanno scatenato molte e diverse reazioni . Sulle sue dichiarazioni è intervenuto anche il ministro dell'immigrazione e dell'identità nazionale, Eric Besson, giudicandole insopportabili. Curzio Maltese nella recensione fatta a Welcome su Repubblica del 10-12-09 scrive: ”Non è un film di buoni e cattivi. È un film di uomini e donne soli, gente comune e migranti, poliziotti e vicini di casa, burocrati e commercianti, né buoni né cattivi, ma deboli e piccoli di fronte a un sistema che ha deciso di usare le paure e l'alibi della sicurezza come nuova forma di controllo autoritario della società e degli individui.” Ed è con queste parole che mi piace finire il mio commento ad un film che mi ha emozionato ed al quale è impossibile rimanere indifferenti. |
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A Serious man |
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“ Accogli tutto ciò che accade con serenità” Questa la citazione iniziale del film, un film che mi ha lasciato disarmata così come disarmato, attonito, incredulo, spaventato e annichilito, rimane Larry, il protagonista, che impronta tutta la sua vita alla realizzazione di uno scopo ben preciso: diventare ed essere un mensch, un uomo serio, secondo la tradizione ebraica. Siamo alla fine degli anni sessanta, in una cittadina del Minnesota,in una piccola comunità ebraica: un quartiere di piccole case di legno, tutte uguali con un quadrato di giardino sul davanti. Il figlio Danny frequenta, con cattivi risultati, la scuola ebraica e usa mariyuana, la figlia gli ruba soldi per rifarsi il naso, il fratello non ha un lavoro ed ha grossi problemi di socializzazione, un vicino violento si appropria di parte della sua proprietà, un suo studente coreano gli offre mazzette, che lui cerca invano di rifiutare, per ottenere la promozione, il consiglio di istituto della sua scuola che dovrebbe decidere se farlo diventare di ruolo, riceve quotidianamente lettere anonime che mettono in discussione la sua reprensibilità: nulla gli viene risparmiato. Anzi, proprio quando Larry crede e pensa di avere già troppi fardelli sulle spalle qualcosa di ancora più grave lo aspetta. Muore d'infarto, davanti a lui l'avvocato che segue le sue questioni legali ed ha un grosso incidente in macchina e nello stesso momento anche l'uomo di sua moglie ne ha uno e perde la vita. “Io non ho fatto niente” continua a ripetersi Larry e, ricordandosi una frase che un conoscente a cui ha trovato il coraggio di confidarsi, in un momento di sconforto più grande degli altri, gli ripete: “ Siamo ebrei, quando le cose vanno male abbiamo il pozzo della conoscenza a cui attingere”,
Larry è dai rabbini che decide di andare, per trovare lì le risposte e gli aiuti che gli servono per affrontare le difficoltà che lo stanno schiacciando. Ma “ Dio non è tenuto a darle - si sente rispondere - … per favore, accetti il mistero.” E nel suo vagare di rabbino in rabbino alla ricerca di risposte, a lui rimarrà un'unica e sola certezza: nulla di tutto ciò che avviene ha un senso, e questa e solo questa è l'amara verità. Il film è di Joel e Ethan Coen. |
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Il riccio |
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Tre persone, apparentemente molto diverse tra loro, in un momento particolare della loro vita, si incontrano, si vedono, fin dal primo sguardo e, insieme, percorrono un tratto di vita molto intenso e coinvolgente. Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell'alta borghesia, all'ingresso, la portineria dove vive Renè, la portinaia trascurata, sciatta, un po' grassa, dai modi bruschi, schiva e poco incline alla socializzazione, che svolge il suo lavoro molto diligentemente. Così appare alle persone che incontra quotidianamente e che, distrattamente, le rivolgono un saluto. Uno degli appartamenti dello stabile è occupato dalla famiglia di Paloma, una ragazzina di undici anni molto attenta e intelligente che vive con il padre, ministro, presente, ma occupato e preoccupato solo del proprio lavoro, la madre intellettuale depressa, in analisi da anni che si riempie di antidepressivi e parla con le proprie piante riempiendole di cure e di attenzioni che non rivolge alla figlia, ed una sorella. “La destinazione finale è la boccia dei pesci. Una cosa è certa: io lì non ci vado. Il mio Everest è fare un film che mostri che la vita è assurda". E Paloma decide che il giorno del suo dodicesimo compleanno sarà l'ultimo della sua breve vita e sarà lei stessa a porvi fine. Per il momento e fino ad allora la vediamo muoversi tra le stanze di casa con una cinepresa sempre in mano per riprendere e commentare la vita quotidiana delle persone che la circondano e fermare nelle immagini tutto ciò che le rende la vita intollerabile dando un senso alla sua decisione. Nello stabile arriva un nuovo inquilino, Ozu, giapponese, molto elegante e raffinato, gentile e educato, vedovo e solo. Renè non è una persona qualunque, non è quella che appare, e Paloma intuisce, fin da subito che lei è come un riccio che è pungente e goffo, fuori, ma dentro è estremamente elegante. “Lei mi fa pensare ad un riccio, una vera fortezza, ma ho l'impressione che all'interno sia raffinata come quelle bestioline falsamente isolenti.” In casa sua c'è una porta sempre chiusa, lì dietro, le pareti sono tappezzate di libri, moltissimi libri, uno sull'altro, un piccolo tavolinetto nell'angolo ed una lampada. E Paloma che è alla ricerca per se stessa di un posto così perché sa quanto sia vitale avere un nascondiglio segreto in cui poter ‘essere', riparato da occhi indiscreti, sicuro, tranquillo, in cui trovare il silenzio di cui si ha bisogno continua a ripetere a Renè: “tu hai trovato il miglior nascondiglio“. Anche Ozu, fin dal primo incontro con Renè ha intuito la ricchezza nascosta e segreta di questa donna brusca e schiva, e lei si è lasciata accarezzare dallo sguardo dell'uomo, senza ritirare il suo. Fin da subito la sensazione precisa di un anima simile e la voglia improvvisa di lasciare uno spiraglio aperto per facilitare la conoscenza e la vicinanza dell'altro. E qualcosa di inaspettato per queste tre persone, così diverse tra loro, per età e cultura, ma così simili nel sentire, accade davvero. Paloma è in mezzo a loro, li osserva, li ascolta, li vede vivere, respira il rispetto, la discrezione e l'ascolto per l'altro e capisce che la vita è più complessa di quando lei crede e non è poi solo così assurda e tremenda come può sembrare. La conclusione del film è tragica e inaspettata, mi ha colto di sorpresa, sono uscita dall'atmosfera discreta e intima in cui mi ero lasciata trasportare nelle vite di queste tre persone particolari accompagnata dal commento pacato della ‘saggia' Paloma . Regia di Mona Achache |
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A single man |
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Non conoscevo Tom Ford, ne come stilista, ne come regista, visto che A single man è la sua opera prima, fino alla sera in cui nel programma di Fabio Fazio ho potuto seguire la sua intervista. Liberamente tratto dal romanzo, anni Sessanta, dello scrittore Christopher Isherwood, che il regista dice di aver letto quando aveva vent'anni rimanendo profondamente colpito “per la sua onestà e per la semplicità della storia”, il film ci porta nella vita di George,professore di origine inglese, da anni trasferito oltreoceano, che, improvvisamente, in un incidente, perde il compagno Jim, l'amore della sua vita, un amore forte che aveva regalato ad entrambi momenti molto intensi di pienezza e ci accompagna dentro il dolore lancinante e il senso di vuoto e di solitudine in cui George si sente sprofondare. George, quando riceve la notizia per telefono, è seduto in poltrona, a casa sua, e sta leggendo, gli occhi, dietro gli occhiali, si velano appena, non ha altre reazioni e ringrazia anche quando lo informano che il funerale è solo per i parenti e la sua presenza non è contemplata. Seguiamo George in questa sua giornata particolare in cui il dolore viene gridato una volta sola, con l'amica di una vita, Charlotte, poi le azioni quotidiane si ripetono uguali, da fuori, nulla sembra diverso dal solito. Dentro, per lui, la vita è finita, nulla può più avere un senso. Siamo negli anni '60 e tutto è perfettamente disegnato con maestria, attenzione, sensibilità e discrezione estrema. Così Tom Ford risponde, in una intervista, a chi gli domanda come sia riuscito ad ottenere un risultato così perfetto nelle atmosfere del film e nella storia dove nulla è mai gratuito. |
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Julie & Julia |
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Julie, una giovane donna trentenne, felicemente sposata, ma fortemente insoddisfatta di se perché non riesce a fare della sua passione per la scrittura una professione, si trova, ad un certo punto della sua vita, davanti ad una prova finale che deve sostenere: cucinare un' anatra e, prima ancora, disossare un'anatra, cosa ancora più complicata. Tutto va per il meglio e Julie, per la prima volta nella sua vita, riesce a portare a termine qualcosa, un progetto che si era stabilita. Tutto era successo esattamente un anno prima. Da un suo momento di scontentezza e disorientamento, l'idea del marito: aprire un blog su cui scrivere quotidianamente. Dalla sua passione per la scrittura, da una sua difficoltà reale, dal piacere che prova a cucinare nella sua cucina dopo una giornata di lavoro, nasce l'idea. Tempo prima, dalla casa della madre, Julie si era portata un libro di cucina tra i più conosciuti ed apprezzati , un libro scritto da Julia Child dal titolo Imparare l'arte della cucina francese , scritto negli anni cinquanta, unico e particolare, nato dall'amore di Julia per il cibo. Durante una lunga permanenza in Francia per il lavoro del marito, Julia scopre la cucina francese e si illumina al solo pensiero dei piatti francesi. La terra e la cucina francese la rendono raggiante e piena di felicità per ogni cosa che scopre. Julie, molti anni dopo, attraverso il libro di Julia, decide di realizzare 524 ricette in 365 giorni scrivendone, poi, ogni giorno sul suo blog. Un anno della sua vita impiegato nella realizzazione di questo progetto. Ogni giorno, dopo il lavoro in ufficio, la spesa al mercato e poi in cucina prova a realizzare le ricette di Julia seguendo passo passo i suoi suggerimenti alla lettera. In breve il suo blog diventa seguitissimo e lei si sente completamente coinvolta in questa avventura che diventa la sua ragione di vita. Julia aveva imparato a cucinare perché amava il cibo e il marito e poi aveva trovato la gioia, anche lei, ora, finalmente ha trovato la gioia e la realizzazione di un sogno, scrivere un libro di cucina tratto dal suo lavoro di una anno intero sul blog. Nora Ephron ha tratto questo film proprio dal libro di Julie Powell realizzando un divertente intreccio di vite di queste due donne che da un loro momento di disorientamento sono state entrambe piacevolmente salvate dal cibo. |
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Bright Star |
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La cruna di un ago, in primo piano, un filo bianco che entra veloce, l'ago tende il filo e trapassa il tessuto che scivola leggero tra le mani di una giovane donna che cuce tranquilla davanti alla finestra da cui si vede uno squarcio della campagna inglese che circonda la casa in cui vive con la madre e i due fratelli più piccoli. Fanny ha l'espressione serena, quasi beata, di chi sta facendo qualcosa che le piace veramente, che la soddisfa e la rende completamente soddisfatta di se. Il cucito è la sua passione. Ama i tessuti che fa scivolare tra le mani e questi le suggeriscono i modelli da realizzare. Le tende leggere alle finestre di casa svolazzano al vento tiepido di primavera e fuori la natura si colora, il paesaggio è stupendo, alberi carichi di fiori profumati, campi tempestati di turchese e di viola dei giacinti selvatici sembrano tappeti uniformi su cui distendersi e sognare. E poi l' estate che esplode. Vicini di casa di Fanny sono il giovane poeta John Keats ed un suo amico che nella loro stanza lavorano altrettanto pazientemente unendo le parole, una ad una, come in una danza leggera e ne fanno versi che si rincorrono nella stanza fino alla trasformazione finale in versi compiuti e pieni di emozioni palpabili. Lei è Bright Star, la fulgida stella a cui il poeta dedica versi profondi e il film è la loro storia d'amore, un amore intenso, vero, disperato e tormentato, raccontato con molta cura per i sentimenti e le emozioni forti e nuove per entrambi i protagonisti. Siamo all'inizio dell' ottocento e per una ragazza di buona famiglia come Fanny non c'è la possibilità di realizzare completamente la propria storia d' amore con John, che ancora non è un poeta famoso ed ha una situazione economica molto precaria . Ha 23 anni e la sua è una famiglia numerosa, lui, il primo di cinque figli. I due hanno pochi momenti insieme, assistiamo alla passione vissuta nella propria camera da una Fanny consumata e disperata per la lontananza di colui che più ama al mondo. E poi la fine tragica. Nervosamente si cuce un abito nero e così vestita a lutto cammina, sola, nella campagna grigia d'inverno recitando ad alta voce le parole scritte, per lei, da John, l'amore della sua vita, per sempre. La regia è di Jane Campion |
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A Dangerous Method |
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Delusa, profondamente delusa, così mi sono sentita dopo aver visto il film di David Cronenberg. Delusa perché in effetti mi aspettavo qualcosa di più o, forse meglio, mi aspettavo altro. Sabina arriva a Zurigo, nell'ospedale psichiatrico dove Jung lavora, accompagnata dai genitori, ha 19 anni e il resoconto che Jung fa della prima visita evidenzia tutta la sofferenza in cui lei si era isolata mostrando un atteggiamento che oggi potrebbe essere diagnosticato come psicotico, con forte tendenza all'anoressia: è malata, molto seriamente. La strada dalla malattia alla guarigione di Sabina nel film è trattata superficialmente, troppo, rispetto a quanto risulta dagli studi sulla sua vita e dal suo contributo allo sviluppo e all'affermazione della psicoanalisi nei primi anni del ‘900, preferendo, il regista, marcare l'accento sugli aspetti più “torbidi” della passione intercorsa tra Sabina e il dottor Jung e questo è uno dei motivi per cui mi sono sentita spiazzata, durante tutta la proiezione. La figura di Sabina ne esce sminuita, non c'è alcun rispetto per lei e pur essendo di fatto la figura centrale, sembra rimanere sullo sfondo, valorizzata solamente nei momenti drammatici in cui si esprime tutta la sua emotività, passionalità e determinazione nel contrapporsi ai dubbi, alle meschinità, all'ipocrisia dell'agire di Jung, facendo passare in secondo piano l'importanza che ha avuto nella comprensione di aspetti della sessualità umana a completamento della nascente teoria psicoanalitica. Il film termina con un colloquio tra i due quando Sabine, sposata ad un medico russo, è incinta e lui le confessa il disorientamento e la crisi nella quale è sprofondato dopo la rottura con Freud e il distacco da lei. Lo sguardo di Jung che guarda la carrozza di Sabina che si allontana chiude l'ultima scena. Dalla storia della sua vita. in realtà, si sa che Sabina, dopo quel colloquio, torna in Russia, appena uscita da una lunga guerra civile seguita alla rivoluzione bolscevica del ‘917 con la costituzione dell'Unione Sovietica, e inizia la sua nuova vita, entra nella società russa di psicanalisi dove svolge attività terapeutica e seminari nella nascente Società Psicoanalitica Moscovita . Apre il primo asilo (l'Asilo Bianco) ad indirizzo psicoanalitico che rappresenta il suo tentativo di sperimentare "un'altra educazione" per creare "altri bambini". L'inizio è entusiasmante e gratificato da numerosi successi e riconoscimenti, ma, pochi anni dopo, con l'avvento di Stalin, il progetto di far crescere bambini educati all'esercizio della libertà, della solidarietà e all'aperta espressione della creatività entra in conflitto con la rigidità, il dogmatismo del regime e l'Asilo Bianco viene chiuso. Sabina continuerà ad operare in Unione Sovietica trovando la morte per mano degli invasori nazisti nel 1942 a causa delle sue origini ebree. Ma questo nel film manca. È invece molto ben raccontato nel film “Prendimi l'anima” di Roberto Faenza, a mio parere, sicuramente più completo e che io, a differenza di questo, ho amato molto perché molto rispettoso di Sabina: una donna che con fermezza e dignità fu capace di mantenere fede a se stessa. La regia è di David Cronenberg |
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| Carnage |
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Inquadratura aperta su un parco cittadino incorniciata da due enormi piante secolari, in fondo un gruppo di ragazzini adolescenti discute, poi uno di loro si allontana dal gruppo con un bastone in mano, ritorna sui suoi passi, si riavvicina agli altri e ne colpisce uno in pieno viso. Classi sociali diverse: avvocato e consulente finanziaria i genitori di Zac, venditore di articoli per la casa e ‘scrittrice' quelli di Etan, la casa che li ospita è quella di questi ultimi: uno spazioso appartamento che avremo modo di visitare nel corso del film. Da questo momento, fino alla fine del film ha inizio il lento gioco al massacro verbale tra i quattro protagonisti. Poi la cinepresa ritorna per strada, ci ritroviamo nel parco da cui siamo partiti e qui la sorpresa finale per tutti noi è.... una splendida giornata di sole e… Attori eccezionali : Kate Winslet e Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly, per un' interpretazione altrettanto eccezionale, ci regalano un film particolarmente coinvolgente. la regia è di Roman Polanski |
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Angele e Tony |
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Mi piacciono i film che ti fanno entrare nella storia narrata rispettando i tempi, le emozioni, i film che ti accompagnano rispettosi nelle vite degli altri senza forzature. Angele è molto carina, ma il suo viso, indurito dalle difficoltà di una vita difficile che l'ha portata a difendersi da tutto e da tutti, rimane teso, senza mai un accenno di sorriso fino alla parte finale del film. Siamo in un piccolo villaggio di pescatori in Normandia e qui Angele conosce Tony che lavora al porto dove, con la madre, rimasta vedova da poco, ed un fratello più giovane, manda avanti la piccola azienda paterna. Insieme svolgono il loro lavoro con difficoltà tra lotte con la polizia e rivendicazioni sindacali. Ma così non è e di questo si renderà conto a poco a poco. Il loro primo incontro finisce ancora sul nascere lasciandola di nuovo persa e completamente in balia degli eventi che non riesce a contrastare, di nuovo via sulla strada pedalando nervosa in cerca di possibili soluzioni ad un problema che sembra proprio non averne, tanto si sente impreparata a gestirlo con quel niente che ha a disposizione. Tony riesce a vederla nella sua interezza cogliendo dietro la durezza del suo porsi al mondo, l'estrema dolce fragilità di chi desidera solo essere vista e amata per quello che è e può dare il film è di Alix Delaporte |
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Tomboy |
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Tomboy ( Maschiaccio ) Céline Sciamma, giovane regista francese, con sguardo attento ed a tratti pieno di poesia ci fa entrare a poco, a poco nel delicato momento di passaggio dall'infanzia all' adolescenza di Laure, quasi undicenne. Abitano nel nuovo appartamento di una palazzina che si affaccia su uno spiazzo ampio, territorio di gioco di tutti i bambini del quartiere. Laure e Jeanne sono in sintonia perfetta, capaci di leggersi dentro e capirsi senza bisogno di parole, insieme inventano giochi, Jeanne, infila il suo tutù ed improvvisa passi di danza leziosi muovendosi armonicamente nella stanza con i lunghi capelli che ondeggiano, Laure la osserva, facendo finta di ignorarla, mollemente distesa sul divano. Figura esile, capelli cortissimi su un viso quasi sempre imbronciato, calzoncini rossi e scarpe da ginnastica, così ama vestirsi. Dalla finestra di casa vede i suoi coetanei che in gruppo passano il pomeriggio giocando e decide di unirsi al gruppo, scende in mezzo a loro ed incontra subito una ragazzina coetanea con cui socializza. Da questo momento per Lisa, la nuova amica , e per tutti gli altri del gruppo, decide di presentarsi per come vorrebbe essere: Mickael . Che problema c'è, dopo i primi tentennamenti si butta nella mischia e gioca a pallone con gli altri ragazzini senza alcuna difficoltà, si muove con disinvoltura ed è sicura di sè, a torso nudo, imitando le normali gestualità degli altri maschietti che gridano, sputano per terra e si danno calci e spintoni: tutto le è naturale. Così, come maschietto noi cominciamo a vederla muoversi nei suoi momenti esterni, con i nuovi amici da cui si sente completamente accettata . Non c'è alcuna differenza, questo sembra dirsi Laure guardandosi allo specchio una volta a casa nel suo ambiente quotidiano. Il suo ‘gioco‘ quindi può continuare anche se, con il passare dei giorni le diversità reali cominciano a crearle qualche problema e per questo è costretta a ricorrere a piccoli stratagemmi che le permettono di continuare ad essere per tutti Mickael. Ma Mickael è diverso dagli altri ragazzini ed è Lisa che se ne accorge ed è proprio per questo che Mickael le piace tanto ed insieme passano lunghi pomeriggi nel bosco. le piace tanto ed ama passare momenti da soli nel bosco. Gioco, reale bisogno interiore? Mickael riesce a custodire il suo segreto con la complicità di Jeanne che non chiede nulla pur avendo capito. Ma per poco, la scuola sta per cominciare e qualcosa succede, è inevitabile. Nulla è scontato, per noi che abbiamo seguito la storia tratteggiata con grande delicatezza, c'è la quotidianità vissuta da una famiglia, in tutti i suoi momenti, ci sono gli sguardi ed i silenzi, c'è una presa di posizione netta e precisa da parte della madre a cui partecipiamo fino agli ultimi momenti del film con l'immagine, nuova per noi, di Laure con un' abitino blu, che si sente ed è anche per chi la vede, un po' goffa ed impacciata nel muoversi. I suoi occhi, però, sono vivi e attenti ed hanno un guizzo ironico nel momento in cui Lisa le chiede come si chiama, e lei guardandola risponde: ‘Io mi chiamo Laure'. Il film è di Céline Sciamma |
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Emotivi anonimi |
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Appena terminato questo piacevolissimo film verrebbe voglia di gridare: "Emotivi anonimi unitevi" perché insieme a chi conosce e vive quotidianamente le stesse identiche emozioni e paure è più facile la comprensione e si può smettere la finzione che ha scandito le proprie giornate per assicurarsi uno ‘spicchio’ di normalità agli occhi degli altri. Angelique e Jean-Renè sono completamente e totalmente felici, per la prima volta nella loro vita quando, nell’ultima scena corrono liberi, tenendosi per mano, lungo la strada che si snoda nell’ampia campagna francese che li porterà a vivere, finalmente, una vita insieme. L’inizio della loro storia, però, è stato tragico e non avrebbe potuto essere diverso visto che entrambi hanno grossi problemi emotivi e vivono con difficoltà ogni momento della vita. I due si piacciono subito pur recitando entrambi una parte che li salva dai troppi disagi emotivi e Angelique viene assunta come responsabile delle vendite, cosa difficile perché il laboratorio è in crisi e rischia la chiusura, i cioccolatini prodotti sono dozzinali e non hanno di sicuro niente di particolare per distinguersi dai tanti in commercio. Per tutti questi problemi che limitano il suo vivere, da tempo frequenta un gruppo di emotivi anonimi dove, con altre persone come lei cerca di trovare soluzioni. Che fatica! E’ un susseguirsi di fughe, ricerca di nascondigli in cui rifugiarsi, tentativi mal riusciti di avvicinamento… ma si amano davvero e per tutti e due questo è il primo rapporto importante che potrebbe davvero salvare e cambiare la loro vita. E il sorriso che illumina i visi di Angelique e Jean-Renè è per la prima volta, di vera felicità e la loro corsa è voglia di correre incontro alla vita, insieme. |
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