I miei films preferiti

FILM

Born into brothel
Caramel
Il giardino di limoni
Il segreto di Esma
Irina Palm
Lila dice
Le Ricamatrici
Meduse
Quattro minuti
Racconti da Stoccolma
Ti do i miei occhi
Noi due sconosciuti
Water
Il destino nel nome
Un giorno perfetto
Il papà di Giovanna
Quando Otar è partito
Vicky Cristina Barcelona
Revolutionary road
Il matrimonio di Lorna
La vita segreta delle api
La felicità porta fortuna
L'ospite inatteso
La famiglia Savage
Ti amerò sempre
Stella
Uomini che odiano le donne
Louise Michel
Il canto di Paloma
Settimo cielo
Una soluzione razionale
Il nastro bianco
Welcome
A serious man
Il riccio
A single man
Julie&Julia
Bright star
A Dangerous Method
Carnage
Angele e Tony
Tomboy
Emotivi anonimi

REGISTA

Kauffman Ross
Nadine Labkri
Eran Riklis
Jasmila Zbanic
Sam Garbaski
Ziad Doueiri
Eleonore Faucher
Etgar Keret e Shira Geffen
Chris Kraus
Anders Nilssen
Iciar Bollain
Susanne Bier
Deepa Metha
Mira Nair
Ferzan Ozpetek
Pupi Avati
Julie Bertuccelli
Woody Allen
Sam Mendes
Jean- Pierre e Luc Dardenne
Gina Prince-Bythewood
Mike Leigh
Tom McCathy
Tamara Jenkins
Philippe Claudel
Sylvie Verheyde
Niels Arden Oplev
Benoît Delépine e Gustave de Kervern
Claudia Llosa
Andreas Dresen
Jorgen Bergmark
Michael Haneke
Philippe Lioret
Joel e Ethan Coen
Mona Achache
Tom Ford
Nora Ephron
Jane Campion
David Cronenberg
Roman Polanski
Alix Delaporte
Céline Sciamma
Jean-Pierre Améris

 
     
   

Born into brothel

 
Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' un bellissimo film – documentario.
Con la fotografa americana Zana Briski e il documentarista Kauffman Ross entriamo in uno dei quartieri dell' India più povera e degradata, pieno di violenza, droga e prostituzione.
Zana Briski fa un viaggio in India nel 1995, quello che più la interessa è di documentare la condizione femminile, gli infanticidi delle bambine, le morti legate alle doti, e le pire per le vedove.

Un amico la porta con sè in un quartiere a luci rosse di Calcutta. E' lì che la fotografa capisce il vero motivo del suo viaggio in India. Riesce ad affittare una stanza nel bordello e vive con le prostitute bambine, le madri e le nonne.
Qui la prostituzione si ‘passa' di madre in figlia, inesorabilmente, per poter vivere. Lei si muove nelle piccole stanze, nei vicoli maleodoranti e ferma con i suoi scatti i momenti della loro vita.
Nelle case e nei vicoli stretti incontra una moltitudine incredibile di bambini che fissano i loro occhi scuri nei suoi, bambini che si muovono furtivi tra la folla, che sbucano dai vicoli bui, che si arrangiano in mille modi per poter sopravvivere. Lei decide di regalare ad otto di loro una macchina fotografica ed inizia ad insegnare a fotografare, dando loro tutte le informazioni e gli insegnamenti necessari.

Il film inizia proprio con le prime lezioni pratiche ai bambini Assistiamo a poco a poco alla trasformazione di questi bambini attraverso l'apparecchio fotografico che nelle loro mani diventa un possibile strumento di riscatto da una situazione pesante e difficilmente modificabile. La fotografia diventa, per loro, un mezzo d'espressione e di emancipazione. Dalla stanza in cui i bambini imparano l'uso della macchina, alle prime prove tra le vie del quartiere fino alle vere uscite, tutti insieme in una gita, per loro, la prima.
Visitano strutture educative in cui mettono in mostra le loro prime fotografie e poi una vera e propria mostra fotografica, tutta per loro, in Europa. Uno di loro vince il concorso. Sono solo gli occhi dei bambini indiani, pieni di gioia, che ci catturano.
Per la prima volta il loro sguardo sul futuro sembra essere tranquillo e positivo.

Il film-documentario è del 2004 e nel 2005 vince il Premio Oscar come miglior documentario.

Torna all'indice


Caramel


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' l'impasto di miele, succo di limone e acqua bollente che nei paesi mediorientali le donne usano per la depilazione.
Ha un buon sapore ed è per questo che le tante donne protagoniste del film quando lo spalmano sulle gambe ne raccolgono le goccioline che tendono a cadere e le leccano dalle dita : è anche un dolce squisito.

Siamo a Beirut e conosciamo le donne del film in un salone di bellezza gestito da Layale Quotidianamente c'è chi passa per farsi i capelli, chi per fare una ceretta, o solo per un saluto.
Così cominciano la giornata Nisrine , una giovane musulmana che non è più vergine e vive nell'angoscia di dover confessare il suo segreto al fidanzato prima del matrimonio imminente, Rima che mal accetta di sentirsi attratta da altre donne, Jamale che vive molto male la sua menopausa, l'età che avanza con tutti i segni visibili agli altri e continua a far creder che nulla sia successo fingendosi ancora mestruata, Rose che ha dedicato tutta la sua vita alla sorella Lili che ha problemi, e quando si presenterà , per lei, l'ultima possibilità di vivere un amore, prenderà la decisione sbagliata.

Un mondo femminile variegato: donne insieme che parlano dei problemi di sempre, l'amore, il sesso, la maternità, gli anni che passano, tutto, con leggerezza e partecipazione emotiva sia alle piccole gioie che ai dolori di sempre.

Oriente ed occidente senza differenza alcuna. E' un film fatto delle piccole cose del quotidiano che , se partecipato e vissuto insieme diventa più leggero e più facile da vivere.
Commuovono, dolcemente, le scelte che le donne fanno per se e per gli altri, le tenerezze che sanno esprimere nei momenti più impensati, la voglia di trovare un sorriso anche la dove le lacrime vorrebbero farsi spazio. Layale, proprietaria del salone di bellezza, innamorata di Rabhi, un ricco uomo sposato che incontra in luoghi squallidi dopo tempi interminabili in attesa di una sua telefonata, è la stessa regista del film.

Nadine Labkri, libanese, vive a Parigi e questa è la sua opera prima

Torna all'indice


Il giardino di limoni


disponibile in DVD
Il giardino di limoni fa parte di una proprietà terriera che appartiene a Salma, una donna palestinese quarantacinquenne  dal carattere forte e deciso.
E' aperta, sincera, orgogliosa e dolce, capace di conquistare, con i suoi modi gentili, le persone che la conoscono e le stanno intorno.
Da quando è rimasta vedova ed  i figli hanno lasciato la casa, vive sola  dedicandosi al giardino di limoni che per anni ha coltivato con il padre.Il suo terreno  è al confine tra la Cisgiordania e Israele e proprio lì vicino è andato ad abitare il ministro dell'interno israelita ,in una villetta che divide con la moglie.
Arrivano esercito e servizi segreti, recinzioni di metallo, ma tutto questo non basta a dare tranquillità al
ministro che si sente minacciato e in pericolo costante per la presenza del limoneto che potrebbe nascondere terroristi.
Quegli alberi devono essere abbattuti.
Per Salma quel terreno di famiglia rappresenta la vita e il suo passato  e decide di ricorrere alle vie legali per contrastare la decisione del ministro.
Ziad Daud è l'avvocato a cui si rivolge Salma, un giovane avvocato dai modi gentili e pieno di zelo  e la questione viene portata alla Corte Suprema.
Salma, nella sua battaglia legale non è sola, oltre all'avvocato le è vicina anche la moglie del ministro, conquistata dall'amore della donna per la sua terra, tra le due  nasce un rapporto intenso di solidarietà e di complicità.

Regista del film che ha conquistato il premio del pubblico all'ultimo festival di Berlino è Eran Riklis
Il giardino di limoni, come dice in una intervista, ‘non è un film politico, non è politico in senso stretto, perché non impone nessun giudizio: parla però di gente intrappolata nei lacci della politica. Spero con questa storia di aver rotto alcuni stereotipi e di aver fornito nuovi spunti per riflettere".
Torna all'indice


Il segreto di Esma


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Grbavica è un quartiere di Sarajevo: più di dieci anni fa, durante la guerra, l'area era sotto il controllo serbo-montenegrino e usata come un campo di violenze e torture.

Qui si svolge la vita di Esma e di sua figlia Sara, giovane adolescente. Ci sono negozi, il normale movimento di un quartiere qualsiasi alla periferia di una città,ma, il recente passato è ancora difficile da cancellare,ci sono ruderi di case ,segni ben evidenti di quello che è stato

Questi segni del passato sono soprattutto ancora dentro le persone che se li portano cuciti addosso sentendone ancora tutto il peso.
Esma frequenta un gruppo di sostegno di donne: qui ricevono piccoli aiuti economici e possono parlare dei loro problemi liberamente, sono donne profondamente segnate, dentro, poco comunicano con le parole, i loro sguardi , le espressioni dei loro occhi, le pieghe che segnano il loro viso, i corpi che si muovono lentamente, questo le accomuna e questo colpisce noi che guardiamo.

Il rapporto tra Esma e Sara, all'inizio sembra proprio non avere nulla di diverso da quello di tutte le madri con una figlia adolescente, ma non è così.
Ci sono tra loro momenti molto intensi che , senza un evidente motivo preciso, si interrompono bruscamente quando tra le due iniziano rapporti più di ‘pelle'.
I tentativi di intimità più partecipata, gli abbracci , di Sara alla madre vengono da questa interrotti bruscamente. E lasciano Sara completamente spiazzata provocando il lei reazioni aggressive, quasi violente.
E' durante una discussione riguardo ad una gita scolastica che Esma e Sara hanno lo scontro più duro.
All'inizio la madre si rifiuta di pagare la retta adducendo problemi economici , ma davanti alle insistenze di Sara che le dimostra come presentando solo il certificato di morte in guerra del padre sia possibile avere la riduzione della retta, Esma si trova completamente con le spalle al muro.
Ora non ha davvero più argomenti da portare. Non riesce più a controllarsi , non è più possibile, per lei, mentire e butta addosso alla figlia il tremendo segreto che aveva custodito dentro di se per tutti quegli anni, un segreto che pesa dentro di lei come un macigno.
Esma rivela alla figlia che il padre, morto, non è un eroe di guerra

Esma come tante donne della sua terra è stata violentata

La regista, Jasmila Zbanic è veramente straordinaria nel raccontare questa storia di grande amore tra madre e figlia descrivendoci emozioni e sentimenti forti, a tratti violenti, che sconvolgono le protagoniste.

E' una storia emblematica di un intera generazione di vittime che con fatica cerca di trovare un equilibrio in un paese ancora scosso che cerca , a sua volta, lentamente di tornare a vivere, lasciandosi alle spalle tutte le atrocità della guerra.

Torna all'indice


Irina Palm


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Maggie è una vedova inglese sessantenne, che conduce una vita tranquilla dopo la morte del marito. Ha un figlio sposato con un nipotino gravemente ammalato.
Per poter essere curato il bambino avrebbe bisogno di una cura molto costosa che viene fatta in Australia, ma i genitori non hanno soldi a sufficienza e Maggie, molto preoccupata per il tempo che passa, senza che nessuno riesca a trovare una soluzione positiva decide di trovarsi un lavoro, pur con grandi difficoltà visto che non è più giovane.
Passeggiando per le strade del centro cittadino vede un annuncio che la incuriosisce e decide di provare.

E' un club per soli adulti e lei, all'inizio, non si rende proprio conto della richiesta che le viene fatta dal padrone, persona molto particolare con cui si stabilisce, fin dall'inizio, un'intesa.
Maggie esce e lascia quello strano posto in ombra, rischiarato da luci soffuse e riprende la sua vita.
Ma nulla succede e per poter risolvere i grossi problemi del nipotino che nel frattempo viene ricoverato di nuovo in ospedale per un peggioramento, decide di ritornare in quello strano posto.
Maggie, a detta del padrone del club ha mani molto belle, lisce e calde, lei se le guarda, forse non aveva mai guardato le sue mani e mai avrebbe pensato potessero piacere ad un uomo.

Ne è piacevolmente stupita .
Decide di provare il lavoro che le hanno proposto: avrà un box tutto suo ed una ragazza giovane, che da tempo svolge lo stesso lavoro, le darà tutte le istruzioni necessarie per farlo al meglio.
Un muro dividerà Maggie dai clienti che dovrà masturbare senza vedere. Lei cerca di convincersi che si tratta di un lavoro come un altro.
Porta un vasetto di fiori e delle foto da casa per abbellire la parete del suo box dove passerà molte ore della sua giornata.
In breve tempo Maggie è molto apprezzata dalla clientela e col nome d'arte di Irina Palm diventa la più richiesta "operatrice manuale" del ‘sex shop'.
Quando il figlio scopre la vera attività lavorativa della madre la obbliga a lasciare tutto, ma per Irina quello non è solo un lavoro, lì ha trovato amici con cui stare bene e sentirsi finalmente libera riuscendo a stringere rapporti veri e sinceri.

Il regista è Sam Garbaski e l'attrice protagonista è la cantante Marianne Faithfull, veramente brava in questa parte non facile .

Il film ha avuto grande successo al festival di Berlino del 2007

Torna all'indice


Lila dice


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Kimo è un ragazzo di diciannove anni, magrebino , che vive con la madre, sola, in un quartiere degradato della periferia di Marsiglia.

L'insegnante del liceo che frequenta è colpita dal suo modo di scrivere e consiglia alla madre di dare la possibilità al ragazzo di partecipare, con un suo scritto ad un concorso che gli permetterà di vincere una borsa di studio. E' l'occasione che Kimo aspettava per poter dare alla propria vita una svolta positiva.
Le sue giornate passano sempre uguali con lo stesso gruppo di amici per le vie del quartiere e nei caffè, giornate noiose che non hanno mai sorprese e, in questo modo avrebbe la possibilità, forse, di realizzare il suo sogno: scrivere.

Un'incontro per strada, casuale e inaspettato, con Lila, un'angelo biondo di sedici anni che si ferma accanto a lui seduta sul motorino con i capelli biondi e gli occhi di un azzurro intenso, porta nella sua vita uno scompiglio totale.
Emozioni e sensazioni forti, violente, tutto in lui è pronto ad esplodere, dentro, fuori continua ad essere il ragazzo timido e discreto, di poche parole con lo sguardo sfuggente
Lila irrompe nella sua vita, dal primo momento dell'incontro lei sarà sempre dentro i suoi occhi e nella sua mente.
Un vestito corto e leggero a mezza coscia che il vento, in motorino, le solleva, i capelli lunghi scompigliati e uno sguardo per lui, solo per lui.

Gli altri, il mondo intorno non esiste più: solo loro due esistono in mezzo a quel sole estivo che scalda i brevi momenti rubati e passati insieme.
Kimo è diverso dagli altri ragazzi del quartiere, è timido e dolce, non ama mostrarsi e a Lila piace davvero ed a lui solo offre il proprio corpo da guardare, come se per lei fosse la cosa più naturale del mondo.
A lui e solo a lui parla dei suoi sogni, racconta immagini sensuali che la catturano di giorno e di notte.
E Kimo non riesce a pensare ad altro che a lei e decide, così, di comperare un quaderno su cui scrivere di Lila e le pagine cominciano a riempirsi.

Per Kimo, ora, non esiste che lei.

Si allontana, a poco a poco, anche dagli amici che non riesce più a frequentare come un tempo e si scatenano, per questo, strane gelosie.
Lila, un pomeriggio, viene violentata dagli amici di Kimo, in casa della zia con cui abita da quando i genitori sono morti.

Lui arriverà troppo tardi.

Lila se ne è andata con la zia, è tornata nella sua terra, la Polonia con la sua ferita nel cuore.
Kimo ora resta solo con il diario di Lila che ha trovato nelle cose dimenticate nella casa e con il suo amore inconfessato

Lila dice è tratto dal romanzo originale di Kimo e il regista del film è il libanese Ziad Doueiri

Torna all'indice


Le Ricamatrici


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' il primo film di una giovane regista francese, Eleonore Faucher che tratteggia i profili di due donne, apparentemente molto diverse tra loro, una giovane ragazza di diciassette anni che scopre di essere incinta e di una signora, ricamatrice molto esperta .

Le due vite si intrecciano in modo molto casuale e dal loro incontro nascerà un rapporto, tra le due, molto intenso e coinvolgente.

La ragazza, Clair, ha una grande passione per il ricamo, crea composizioni su stoffe e tessuti ritagliandosi spazi solo per se, per imparare meglio quest'arte chiede l'aiuto della signora Mellichian , abile ricamatrice che lavora per le case di moda più prestigiose: i suoi lavori sono vere opere d'arte e di pazienza.

Tutte e due stanno attraversando un momento di vita particolarmente delicato e difficile e questo le accomuna e le rende particolarmente sensibili e attente . Il silenzio della casa, i punti leggeri con l'ago su cui vengono infilate le perle sottili dalle mille sfumature, parole non dette, sguardi che si toccano, a tratti.

E' un film pieno di grazia, dolce e leggero che ci accompagna punto dopo punto nelle storie di queste due donne che riescono, insieme, a costrure la trama di una nuova vita. Con ago e filo ricuciono gli strappi e con mano sempre più ferma e decisa arrivano al ricamo finale, un ricamo meraviglioso che hanno saputo realizzare insieme senza forzature ed in completa armonia.

 

Torna all'indice


Meduse


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Le vite di tre donne ,per uno strano gioco del destino, si incontrano in modo leggero, quasi fluttuante come il movimento delle meduse. Le tre donne sono :  Kerem che si rompe una gamba proprio durante il suo banchetto di nozze ed è costretta a rinunciare alla sua luna di miele nel mar dei Carabi.
Batya che fa la cameriera in un gran ristorante ed incontra sulla spiaggia una bambina che affiora dalle onde con un salvagente in vita di cui non vorrà mai liberarsi e che la seguirà come fosse la sua ombra.Questo incontro la porterà a cambiare radicalmente la propria vita. Joy, una filippina che lavora come badante presso un'anziana signora molto severa che ha un rapporto molto difficile con la figlia, attrice teatrale.
Siamo a Tel-Aviv. Queste tre vite si incrociano in modo leggero e le scene si colorano di tinte pastello, e le atmosfere si fanno quasi rarefatte, in certi momenti.
Le scene diventano quadri dai colori tenui, il rumore del mare e il mare stesso visto come rifugio, gli occhi tristissimi di una bambina sola, il silenzio che avvolge senza spaventare  accogliendo storie di solitudini che non opprimono, ma lasciano chi guarda in uno stato di sospensione  dolce e malinconica.

E' un film molto poetico, tra sogno e realtà che sono senza confini e si confondono. Il passato, l' infanzia , i desideri più nascosti, tutto si fonde in modo leggero e sopra il tutto c'è il lento frangersi schiumoso di un mare solo da scoltare

Il film è l'opera prima di due registi israeliani Etgar Keret e Shira Geffen ed è distribuito dalla Sacher Film di Nanni Moretti.

Torna all'indice


Quattro minuti


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' il secondo film del regista tedesco Chris Kraus .

Siamo in un carcere femminile, le atmosfere sono cupe, ragazze giovani, ladre, truffatrici e assassine, piene di rabbia e di violenza, passano le giornate chiuse nelle celle.

Un' anziana insegnante, Traude Krüger, cerca di coinvolgere le giovani ragazze insegnando loro a suonare il piano.

Riesce a coinvolgere anche Jenni che ha 21 anni ed è stata condannata per omicidio.

Sembra che la ragazza sia stata una bambina prodigio e sia dotata di un naturale talento e Trude tenta davvero l'impossibile: la ragazza è una ribelle e tende a distruggere tutto quello che la coinvolge e che sente come ‘intruso' al mondo che si è creata intorno negli anni.

In modo accurato sceglie per lei un repertorio classico, ma Jenni fa di tutto per rovinare ogni cosa e interrompe la musica scelta dall'insegnante con rumorosi pezzi di hip hop: è questa la musica che lei ama e con la quale riesce ad esprimere tutta la rabbia che sente dentro di sè.

Il rapporto tra le due donne è sempre più difficile, entrambe non hanno avuto una vita facile.

La giovane è stata abusata dal padre e questa violenza l'ha segnata profondamente portandola a scegliere per sè una vita di eccessi e di violenza.

L'anziana insegnante ha avuto in gioventù, ai tempi del nazismo, un amore omosessuale che il clima di riprovazione sociale e il timore della feroce repressione nazista le hanno negato portandola a chiudersi in una profonda rigidità emotiva che sembra, però, soffocarla.

Sono entrambe donne profondamente ferite e ingabbiate che non riescono più ad uscire dalla stanza buia in cui si sono, nel tempo, chiuse da sole.

Il loro rapporto è duro e difficile e l'ambiente circostante non le aiuta.

Solo col tempo e con la musica qualcosa a poco a poco sembra cambiare.

Ma non come ci aspetteremmo… i quattro minuti finali del film, da qui il titolo, sono di sicuro i più travolgenti

Torna all'indice


Racconti da Stoccolma


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Ha ricevuto il premio Amnesty International al Festival di Berlino 2007 .
E' un film sulla violenza alle donne, la violenza nascosta, chiusa tra le pareti domestiche che proteggono e difendono da sguardi indiscreti.
E' la violenza più crudele e distruttiva perché non ha occhi e non ha voce , c'è tra le persone per bene che ti abitano accanto, nei posti di lavoro, c'è ovunque.

E' a Stoccolma che vive una delle protagoniste del film, Leyla, in una famiglia molto numerosa originaria del mediooriente.
La ragazza, come le altre sorelle e fratelli vive normalmente, frequenta il liceo, ha molte amicizie, è perfettamente integrata nel sociale.
Ma basta il sospetto, terribile per il padre, che ha cercato di educare i figli con rigidi principi morali, che Leyla abbia un ragazzo, per fare precipitare la situazione che sfocerà in un dramma atroce e davvero inconcepibile.

Si tratta di un fatto vero ispirato da un rapporto di polizia. Il fatto sconvolge, ma ultimamente altri fatti simili sono successi, basta pensare al caso di Heena Saleem, immigrata pakistana che viveva con la sua famiglia in Valle Trompia, nel bresciano, la ragazza viene ammazzata dal padre e dagli zii, nel 2006.
Sua unica colpa: voler amare un ragazzo bresciano e vivere la sua vita.

La seconda protagonista del film è Carina che lavora come giornalista per una televisione, stesso luogo di lavoro anche per il marito che fa l'operatore.
A Carina va il premio per un reportage di guerra , lei alla premiazione si dimentica di ringraziare lui per la collaborazione e continua la sua serata brindando con i colleghi.Lui la osserva da lontano e sorride, ma è a casa che la sua violenza si scatenerà senza limiti.

La terza storia coinvolge la famiglia di Aran che deve subire minacce continue e nasce dall'intolleranza verso l'omosessualità, anche se questa è nascosta.
Anders Nilssen è il regista che con questo film ci mostra altre verità sulla Svezia da noi pensata come nazione di massima democrazia dove lo stato si occupa per bene di tutto l

I dati sulla violenza alle donne sono veramente allarmanti

Prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra, ad uccidere le donne nel mondo, o a causarne l'invalidità permanente è la violenza subita dall'uomo.
Partner, marito, fidanzato o padre che sia. Secondo alcuni dati forniti dal Consiglio d' Europa è la violenza familiare, in Europa e nel mondo, la prima causa di morte per le donne tra i 16 e 44 anni.
In Russia in un anno sono morte tredicimila donne, il 75% uccise dal marito. Ogni quattro minuti una donna viene violentata in America e in Svezia. In Francia una donna muore ogni quattro giorni. In Spagna nel 2004 72 donne sono state uccise dal loro partner. Per non parlare dell'Italia
Torna all'indice


Ti do i miei occhi


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' ancora buio fuori, una giovane donna, Pilar, sveglia il suo bambino che ancora dorme, raccoglie la borsa ed esce di casa.
Solo fuori, sull'autobus si accorge che, per la fretta, si è dimenticata di mettersi le scarpe e porta ancora le pantofole.

E' agitata, piena di paura ma, per la prima volta, dopo tanto tempo, ha trovato il coraggio e la forza di chiudere dietro di sé la porta di casa e di lasciare Antonio, il marito violento che da anni la fa tremare di paura, soffocando ogni suo desiderio di ‘essere'.
E' una donna annientata, annichilita che non ha potuto fare altro che soffocare ogni suo bisogno di vivere.

Questo è un film sulla violenza domestica, sul silenzio doloroso delle donne che per paura e per ‘amore‘ non trovano la forza di reagire e di dire basta per poter riprendersi una vita rubata fin dai primi anni del matrimonio.

Il film è scritto e diretto da Iciar Bollain, una regista spagnola ed è la sua opera prima, molto premiata al Festival di San Sebastian nel 2003.
La stessa regista scrive che nel girare il film la sua più grande preoccupazione era che fosse chiara la differenza che passa tra capire e giustificare chi è violento.

Capire è necessario, giustificare inaccettabile.

Ti do i miei occhi è un film che inquieta e segna nel profondo, impossibile dimenticare lo sguardo di Pilar, donna forte e fragile insieme, che, solo quando riesce finalmente a 'vedere' se stessa e il marito, per la prima volta, riesce anche a trovare la forza per liberarsi e tornare a vivere.

Torna all'indice


Noi due sconosciuti


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Una coppia sposata da undici anni, due bambini piccoli, una vita serena da vivere.
Il marito esce a prendere il gelato per tutti e non farà più ritorno a casa. Viene ammazzato davanti alla gelateria perché ha cercato di difendere una donna che veniva aggredita da un uomo.

La morte del marito arriva così, all'improvviso e Audrey , stordita dal dolore riesce a continuare la sua vita solo irrigidendosi in una corazza. Gli altri continuano a vederla muoversi per le stanze, prendersi cura dei figli, organizzare il funerale del marito.
I suoi occhi, continuamente ripresi dalla regista in primi piano, parlano per lei, lì vediamo rappresentata la sua confusione totale, la sua devastazione interiore, la sua mancanza di appigli a cui poter aggrapparsi nel momento più difficile della sua vita interrotta in modo così drammatico.

Il marito aveva un rapporto molto stretto con Jerry, un amico d'infanzia, un rapporto che non si è mai interrotto nonostante la tossicodipendenza dell'amico.
In lui Jerry ha sempre trovato un punto di riferimento, negli anni, una sicurezza necessaria e fondamentale per la sua vita quotidianamente sprecata nella dipendenza da droghe, vissuta sempre ai margini, nell'autodistruzione totale.
Sono i momenti passati con l'amico a riportarlo a galla se pur per poche ore ed il solo fatto di sentirlo vicino e attento è importante e vitale per lui.
Ora, la notizia della sua morte, che lo sveglia dal torpore di un pomeriggio buio come tanti altri, lo trascina nella realtà più angosciante.

Anche Audrey ora è sola ed è a Jerry che pensa in questo momento, è Jerry che vuole accanto a se.
E' irrazionale questo suo bisogno, in realtà ha sempre avuto problemi ad accettare questa amicizia così importante del marito, ma sente che è arrivato il momento e, senza Jerry, tutto per lei sarebbe più difficile da affrontare.

I due, apparentemente tanto lontani e diversi, troveranno una strada comune da percorrere per riuscire a superare il dolore, per rielaborare il lutto che li ha lasciati completamenti vuoti dentro, per rientrare lentamente nella vita.
Passando attraverso una profonda e drammatica rottura con il loro passato.

‘Accetta quello che c'è di buono' era la frase che il marito di Audrey usava nei momenti di crisi per sollevarla dallo sconforto.

Jerry e Audrey, insieme, impareranno, pian piano, ad accettare ‘il buono' che può venire, giorno per giorno, ed è con questa sollecitazione fatta con tenerezza a se stessi che il film si chiude.

Il film è diretto da Susanne Bier

Torna all'indice


Water


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

“Figlia. Ricordi di esserti sposata? Tuo marito è morto. Ora tu sei una vedova”.
Così dice il padre alla bambina, Chuyia.
Lei è molto piccola, ha solo otto anni ed ora ha tre possibili scelte davanti: bruciare sul rogo insieme al marito, sposare il fratello minore del defunto o chiudersi in un ashram e vivere di prostituzione e elemosina.

Così nel 1938 in India, così ancora oggi, secondo rituali indù molto rigidi. Da un censimento del 2001 risulta che, nell'immenso subcontinente, ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono negli ashram. Donne costrette alla segregazione nelle case delle vedove,emarginate dal resto del mondo, lontane dalla famiglia, dagli affetti, sole.

Chuyia quando si sposa è una bambina, sicuramente per lei il matrimonio è stato solo una grande festa piena di colori e di gente, poi il marito molto vecchio si è ammalato e lei non lo ha più nemmeno visto fino alla sua morte.
A questo punto il padre l'ha caricata su di un carretto per portarla nella casa delle vedove, lei si gira in cerca degli occhi della madre che non vede, il suo cammino è segnato.

Entriamo con lei nella grande casa grigia piena di donne, bambine come lei, giovani ragazze, donne adulte e molte, vecchie ed ammalate.
Lei ha uno sguardo dolce e fiducioso, sua madre verrà molto presto a riprenderla, questa è la sua convinzione, lei una casa ce l'ha e sua madre la vorrà di sicuro con se.

E' con questo pensiero che passa le giornate, una dopo l'altra, in attesa.

Istruita dalle altre si adatta ai ritmi della sua nuova vita ed impara a conoscere le altre donne, storie di sofferenza, di sopraffazione, violenza , frammenti del passato raccontati nei momenti di difficoltà, quando il dolore si fa sentire con più forza.
Lei ascolta, ricorda e trova l'occasione, sempre, per realizzare piccoli sogni sentiti nei racconti riuscendo a portare spiragli sottili di magia in un luogo che tende ad opprimere e ad annientare ogni pur piccolo desiderio appena sussurrato anche a se stesse.
E' in questi momenti magici che si ridestano, nelle donne, energie infantili che le fanno sorridere e, anche solo per un momento, riassaporare la vita, in esplosioni di euforia.

Sono immagini bellissime accompagnate da una musica suggestiva, così è tutto il film.

Chuyia, riuscirà ad influire sul destino delle altre vedove, con la sua energia riuscirà a portare all'interno della casa prigione un po' di umanità.
La regista indiana Deepa Metha con questo film di denuncia è stata più volte minacciata di morte dagli estremisti indù ed ha incontrato tantissime difficoltà, le riprese del film iniziate nel 2000 a Varanasi, sono state interrotte a causa delle ripetute sommosse dei gruppi di estrema destra induisti che accusavano Deepa Mehta di offendere la religione e di denigrarne i contenuti sacri. Il film è stato ultimato solo nel 2005, dopo che regista e intero cast sono stati costretti a lasciare prima Varanasi e poi l'India, per le continue minacce subite, e a girare in gran segreto in Sri Lanka, dove è stato ricostruito il set bruciato a Varanasi.

Ancora oggi la condizione delle vedove in India è rimasta pressoché la stessa. Il matrimonio viene deciso dai genitori degli sposi che contrattano sulla dote che la famiglia della sposa dovrà elargire a quella dello sposo.
Bambine in tenera età vengono date in moglie per alleviare i genitori da un peso troppo oneroso.
Per le famiglie più povere si tratta di una bocca in meno da sfamare e poco importa a tutti se così viene rubata l'infanzia e la vita alle bambine.

Spesso le stesse bambine rimangono in famiglia fino alla pubertà e poi si trasferiscono nella famiglia del marito, ma in molti casi nemmeno questo, la bambina lascia subito la scuola e viene mandata nella famiglia del marito
Torna all'indice


Il destino nel nome


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Siamo in India e assistiamo ad un incidente ferroviario catastrofico. I soccorritori si muovono tra i corpi dei morti e dei pochi feriti sopravvissuti.
In lontananza le pagine di un libro si muovono al vento: è un libro di Gogol, lo scrittore russo, ed è così che uno dei soccorritori trova il corpo di un giovane ragazzo

E' Ashoke che riesce, così, quasi per miracolo, a salvarsi . Dopo molti mesi passati a letto per riprendersi prende la decisione di dare una svolta alla propria vita e di lasciare l'India per trovare lavoro negli Stati Uniti.
Ritorna a Calcutta solo quando decide di sposarsi. Farà il solito matrimonio combinato dai genitori com'è nella tradizione bengalese.
Gli viene presentata Ashima, tra loro solo sguardi e molta paura nel cuore. Il matrimonio e poi la partenza per New York.

E' un inverno particolarmente rigido a New York, per Ashima lo è ancora di più . L'appartamento che diventa la loro casa è piccolo, freddo e Ashima si muove lentamente avvolta nel suo sahari dai mille colori, si guarda intorno, c'è silenzio e, tutto lì fuori, le è sconosciuto.
La madre, il padre, i fratelli, tutto il suo mondo colorato è in India, qui c'è una strada di negozi,la vede dalla finestra, gente che non conosce, si avvolge nel sahari, che non la ripara dal freddo, e scende a fare il suo primo incontro con la città in cui d'ora in avanti dovrà imparare a vivere con il marito.
Giorno per giorno tutto è una sorpresa, una piacevolissima sorpresa, che riesce a scaldare interiormente la giovane donna che scopre il marito a poco a poco. Lui è particolarmente dolce e amorevole, attento e premuroso e lei se ne innamora davvero. I due cominciano a conoscersi e a scoprire con delicatezza le gioie e le difficoltà di una vita insieme tutta da inventare, condividendo la condizione di esuli con altre famiglie di indiani, in una terra straniera, immensa come l'America. La loro vita comincia a scorrere fino alla nascita del primo figlio.
La tradizione indiana vuole che sia la nonna, che vive in India, a dare il nome al nuovo nato e che, per questo, si prenda tutto il tempo necessario, anche anni. Ma per portare il bambino a casa dall'ospedale si trovano costretti a scegliere un nome temporaneo. Gogol è il nome scelto dal padre.
I due avranno in seguito un'altra figlia, Sara, e la storia di questa famiglia bengalese-americana con i colori e gli odori dell'India negli occhi e nel cuore si apre con le sue difficoltà di adattamento, i momenti di gioia e di dolore.

Ashima, la madre, la piccola donna che si muoveva nel suo sahari colorato, piena di paura, all'inizio, ora è una donna forte, felice dei suoi affetti, con un lavoro e tante sicurezze che mai avrebbe pensato di conquistare e il mondo che ha lasciato è nel suo cuore e nella voce dei suoi che sente al telefono.
L'India ci appare con l'intensità dei suoi colori quando alla morte del padre di Ashima tutta la famiglia si reca nel paese d'origine per il funerale. Per i genitori è un ritorno emozionante e per i due figli una scoperta che li destabilizza in alcune loro sicurezze.
L'impatto è fortissimo ed i due fratelli reagiscono a questo in modo diverso. Le scelte successive dei due, al loro ritorno negli Stati Uniti, sono piene di difficoltà e sofferenza. E' Gogol, in modo particolare, che attraverso la ribellione iniziale, e particolarmente toccato dalla improvvisa morte del padre, arriverà al recupero delle tradizioni culturali della sua famiglia e della sua terra d'origine.
Ashima dopo il dolore destabilizzante per la morte del marito decide di seguire la sua strada, iniziata e poi interrotta molti anni prima nella sua terra.

Il film è della regista indiana Mira Nair

Torna all'indice


Un giorno perfetto


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Il film è tratto dal romanzo di Melania Mazzucco che io non ho letto e, per questo motivo, nel vederlo, non avevo aspettative particolari.
E' un film sulla violenza in famiglia.
Siamo in piena notte, rumore di spari, una volante della polizia fa irruzione in una palazzina, entra in un appartamento e quello che si vede è agghiacciante.
Il film racconta la giornata precedente a questo fatto. Tutto si svolge nell'arco di una giornata e le vite dei personaggi, tesi nella ricerca disperata di amore, si sfiorano e si intrecciano in un crescendo di tensioni molto forti .
E' un giorno perfetto in cui per molti si arriverà ad una svolta decisiva per la propria vita e per altri si arriverà ad una tragedia.

La storia di Emma, la protagonista femminile, è purtroppo uguale a quella di tante altre donne. Finalmente è riuscita, a fatica, a separarsi dal marito dopo anni di violenza psicologica e fisica e con i due figli va a vivere a casa della madre.
Ha diversi lavoretti che le permettono di mantenere la famiglia. Il primo passo per non soccombere le è stato possibile, ma questo non basta, il marito non le da tregua, non riesce ad accettare l'abbandono, non le permette di rifarsi una vita senza di lui, la segue in continuazione facendole telefonate aggressive e obbligandola ad incontri pieni di violenza.
C'è un'atmosfera angosciante dall'inizio alla fine del film, non solo per la storia dei due protagonisti, ma anche le altre figure che si muovono con storie parallele si portano addosso situazioni personali molto pesanti.

Il film ha un finale molto tragico, come spesso succede nella realtà di queste storie di violenza famigliare, solo che il marito sceglie la punizione più crudele per Emma. A noi, dal di fuori, resta addosso un' inquietudine tremenda che fa fatica ad andarsene.

Il film è diretto da Ferzan Ozpetek

 


Il papà di Giovanna


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Un papà e la giovane figlia diciassettenne camminano per strada, stanno tornando dal liceo dove lui insegna e lei studia.

Camminano in mezzo alla gente parlando tra loro, un ragazzo li sfiora ed il papà si rivolge alla figlia dicendo che sta diventando davvero carina, anche quel ragazzo se n'è accorto e si è girato a guardarla. Lei scuote la testa e si gira, vede solo il ragazzo che continua per la sua strada.
Il papà è molto tenero e protettivo e per la figlia vorrebbe una vita serena e piene delle cose che le ragazze della sua età hanno.
Giovanna è diversa, lo è fin da quando era piccola, taciturna, insicura, schiva e solitaria, con scoppi d'ira improvvisi. Le è sempre stato difficile avere amicizie.

Il padre, per lei ha un amore sconfinato, vorrebbe essere tutto per avvolgerla in un abbraccio protettivo costante,con lei ha un rapporto esclusivo ed il suo unico desiderio è di renderla felice e per questo è disposto a tutto anche a costo di mentirle, a differenza della madre che mantiene un atteggiamento distaccato e non approva il comportamento del marito.
Delia, la madre è una donna molto bella ed è tenuta fuori da questo rapporto esclusivo dei due.

A scuola Giovanna ha fatto amicizia con una compagna che, per la prima volta, si affeziona a lei e passano molto tempo insieme.
Con lei frequenta anche gli altri compagni e viene invitata ad una festa di compleanno dove potrà incontrare quel compagno di scuola che le piace tanto.
Dalla frenesia dei preparativi si passa alla tragedia che sconvolge l'intera famiglia e getta il padre nella incredulità, prima, e nella disperazione totale, poi.

Giovanna, per gelosia, uccide la sua unica e grande amica.
Processata viene ritenuta mentalmente instabile, evita il carcere, ma viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico a Reggio Emilia.

Siamo nel 1938 e Giovanna rimarrà rinchiusa in questa struttura fino alla fine della seconda guerra mondiale, regredendo a poco a poco, ad uno stadio infantile.
Unica persona che si prenderà cura di lei sarà il padre che da Bologna, dove la famiglia vive, si trasferirà a Reggio.

La moglie, da questo momento prende le distanze da loro e dal dolore e non vorrà più sapere nulla della figlia.
Tenterà di rifarsi una vita trovando un lavoro e legandosi ad un vicino di casa da cui si era sempre sentita attratta e che si è sempre preso cura della famiglia.
In questo è complice lo stesso marito che, come Giovanna, da tempo, aveva intuito il legame tra i due, si mette, così, da parte, volutamente, dedicando tutta la sua vita alla figlia.

Il film ci racconta una tragedia molto dolorosa, ma appena sussurrata.
Tutto è avvolto in un atmosfera dai colori quasi seppiati, con squarci aperti su un periodo storico tormentato che vede i personaggi muoversi quasi storditi dagli eventi che non riescono a controllare.
Ci emoziona perché la narrazione è sempre discreta e mai forzata.

Il film è di Pupi Avati

Torna all'indice


Quando Otar è partito


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Siamo a Tbilisi, capitale della Georgia post-sovietica.
Tre donne, di tre diverse generazioni che hanno vissuto il comunismo, visto il suo crollo, provato la voglia di lasciare tutto ed andarsene lontano.
Vivono insieme dividendo la stessa casa, grande, ma cadente: spesso manca l' acqua e la luce va e viene in continuazione.
Loro ormai sono abituate a tutto e pur con mille difficoltà riescono ad adattarsi a tutte le situazioni che si presentano quotidianamente, in questo momento di grandi trasformazioni del Paese, cercando di sostenersi a vicenda.

La nonna Eka ama la Francia, tutti parlano il francese, Eka lo ha insegnato ai figli e alla nipote, i libri della collezione del nonno che custodiscono, sono preziosi volumi francesi rilegati in pelle e chiusi nella loro biblioteca.
Sono le uniche cose di valore rimaste nell'appartamento, ormai poco arredato e disadorno, perché molti oggetti e mobili sono già stati barattati per poter acquistare cibo e cose necessarie per vivere.

La Francia diventa la terra dei desideri per la nonna e per la nipote Ada ed è Parigi che l'unico maschio della famiglia, Otar, figlio di Eka è emigrato da tempo.
Lui in patria era diventato medico, ma, con la nuova situazione sociale e politica, ha deciso di abbandonare tutto. A Parigi è uno dei tanti clandestini e lavora come manovale.

Le tre donne e soprattutto Eka, la vecchia madre, vivono in attesa di una lettera per avere sue notizie e i pochi soldi che riesce a mandare. Solo in quei rari momenti la donna si illumina e riprende a sognare.
Solo così riesce a superare i disagi quotidiani suoi e della figlia Marina che vive di baratto raccogliendo in giro quel poco che è rimasto per venderlo nei mercatini di fortuna che si allestiscono lungo le vie cittadine.

Anche per Ada, la giovane nipote, la vita non è facile, è laureata, ma a nulla sono serviti gli studi fatti negli anni, un lavoro è difficile da trovare e quando lo trovi sei sottopagata e sfruttata. A casa, tra loro, le tre donne ritrovano un minimo di armonia e noi le vediamo vivere insieme teneramente.
Ci sono momenti di intimità tra Eka e la figlia Marina molto dolci, sono i momenti della cura in cui Marina riesce ad avere con la madre il contatto fisico che negli anni le è sempre stato difficile avere.

Le vediamo anche litigare e poi ridere felici insieme. Ripensare al passato, nella dolcezza della campagna georgiana, dove la dacia della nonna ha bisogno della cura di tutte loro.

La notizia della morte di Otar che le informa dell'incidente avvenuto nel cantiere arriva a sconvolgere la vita della sorella e della giovane figlia che non sanno proprio come dirlo alla madre che da tempo è ammalata di cuore e ne morirebbe.
Vivono momenti di sospensione continuando a portare avanti la finzione, inventando e scrivendo loro stesse lettere da recapitare alla madre.

Arriva però il giorno in cui la madre, di nascosto da tutte e due, inizia a preparare, da sola, il passaporto e tutti i documenti necessari per partire alla ricerca del figlio.
Vende oggetti e, per recuperare i soldi necessari, anche i libri francesi custoditi gelosamente e con cura per tutti quegli anni.

Le tre donne partono insieme per Parigi, ma è da sola che Eka scoprirà la tremenda verità sul figlio.
Da sola nella città che ha sempre amato, una città che l'accoglie con giornate piovose dove tutto è grigio e pieno di traffico, e rumore assordante.
Ed è lei alla fine a decidere: Otar non è morto, è partito per l'America ed è con questa sua verità nel cuore che all'areoporto guarderà con dolcezza la giovane nipote Ada tra i vetri della porta scorrevole che si chiude.

Lei non farà ritorno a casa. .

Il film è della regista Julie Bertuccelli

E' stata assistente di Otar Iosseliani. E il film è un omaggio al regista georgiano. Ha vinto svariati premi, come il Prix Marguerite Duras e il primo premio alla Semaine de la Critique di Cannes 2003.

Torna all'indice


Vicky Cristina Barcelona


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Barcellona è sullo sfondo, o meglio, squarci di una Barcellona estiva e luminosa, dove, seguendo lunghi vicoli ombrosi, si arriva in piccole piazze piene di verde dalle varie tonalità, con le pennellate di colore date dai fiori sulle facciate delle case dai toni accesi del rosso e del giallo.

Siamo immersi nella bellezza di paesaggi e di opere d'arte e siamo spesso rapiti dal suono struggente di una chitarra acustica. E' qui che passeranno due mesi di vacanza Vicky e Cristina, due amiche americane, ospiti nella casa di una coppia di amici di famiglia.
Vicky approfitterà del momento per fare una ricerca sulla cultura catalana su cui sta lavorando per un master e Cristina, reduce da una storia d'amore finita, cercherà di godersi la vacanza.
Le due, pur essendo amiche da lungo tempo, sono molto diverse su tutto.

Vicky è fidanzata e prossima al matrimonio, il suo è un lungo fidanzamento, tranquillo e senza problemi, è già sicura di come andrà la sua vita, tutto è programmato sia per quanto riguarda il lavoro che l'amore.
Difficilmente si lascia andare alle emozioni, è sicura, determinata e senza tentennamenti.

Cristina, per il momento sa solo quello che non vuole ed è pronta a ricevere quello che vorrà arrivare, una passione amorosa capace di sconvolgerle la vita è il suo più grande desiderio più volte palesato anche all'amica.
Scrive poesie, si sente attratta dall'arte in tutte le sue espressioni, ma non riesce a trovare un suo posto, il suo talento nascosto, e per questo è ancora alla ricerca.

Una sera, mentre stanno cenando in un piccolo ristorante, vengono avvicinate da un giovane pittore davvero affascinante, Juan Antonio che le invita a passare un fine settimana a Ovedo, partirebbero con lui subito, con un piccolo aereo, potranno cenare e visitare il piccolo paese e poi fare l'amore tutti e tre insieme.
La proposta lascia davvero sconcertata Vicky che rifiuta immediatamente, mentre Cristina, che aveva da prima notato il giovane Juan Antonio, in una galleria d'arte, è da subito molto interessata alla proposta.

Perché no?,si dice .

I tre escono dal ristorante e alla fine riescono a convincere anche Vicky che supera a fatica le proprie resistenze iniziali
Da questo momento con il loro arrivo nella piccola cittadina di Ovedo si sviluppano situazioni davvero particolari e curiose che continueranno ad intrigarci soprattutto nella seconda parte del film con l' entrata in scena di Maria Elena, donna sanguigna e follemente gelosa, ex moglie di Juan Antonio.

Il loro è stato un rapporto molto tormentato e passionale e sono proprio la passionalità estrema , la rabbia e la follia di questo nuova figura femminile a creare nuove situazioni imprevedibili.
Il calore e il colore della città catalana riusciranno ad avvolgere non solo i quattro personaggi della storia di cui cominceremo a conoscere il vero mondo interiore nelle più diverse sfaccettature, ignote anche a loro prima del momento, ma anche noi che riusciamo a provare la stessa leggerezza per tutto il film che scorre in modo dolce e piacevole dall'inizio alla fine.

"Vicky Cristina Barcelona'' è di Woddy Allen

Torna all'indice


Revolutionary road


presente in DVD su IBS

Siamo in Connecticut a metà degli anni cinquanta, Franck e April sono una giovane coppia della media classe borghese con due figli, hanno una casa , in Revolutionary road, una villetta bianca su due piani con giardino, in un elegante quartiere , sono belli, sofisticati, intelligenti e per queste caratteristiche sono ammirati e invidiati dai loro vicini di casa.

‘…siete una coppia fantastica, lo dicono tutti.'

Sono una tipica e, apparentemente felice, famiglia americana che vive in un tipico quartiere residenziale lindo e pulito con le aiuole fiorite, la ghiaia bianca e ben curata che delinea le proprietà.
Franck ha un impiego in una ditta importante a Manhattan, in cui anche suo padre aveva lavorato, a mezz'ora di treno da casa, nessuno dei progetti che aveva in testa da giovane quando era studente, si è ancora realizzato.
April è una bella ed elegante mamma di due splendidi bambini che ha abbandonato i suoi sogni giovanili legati al teatro.

Tutti e due recitano la parte della coppia perfetta e sono tesi a non deludere le aspettative del mondo che li circonda, amicizie formali con cui passano noiose serate bevendo e fumando.
La loro è una vita routinaria che con il tempo ha finito con logorare il rapporto, recitare quotidianamente una sicurezza e una perfezione che sentono di non avere ha finito con esasperare soprattutto April che si sente costantemente infelice, inappagata, insoddisfatta di sè e di quello che ha, senza un suo posto nel mondo e non riesce a colmare, in alcun modo, il vuoto che sente dentro.

Anche le sue aspirazioni giovanili legate al teatro e al desiderio di recitare e fare l'attrice si sono ormai spente e la sua vita si trascina giorno dopo giorno sempre uguale.
Tra i due, tra le mura di casa, solo lunghi silenzi e noia.
E' in una serata uguale a tante altre che tra i due scoppia un violento litigio e la rabbia repressa da tempo esplode e porta la coppia a riflettere sul loro rapporto e sulla loro vita insieme.

E' April che , cerca di dare una svolta alla loro vita per uscire dalla monotonia che li sta schiacciando e distruggendo, parlando al marito di un sogno a cui sta pensando da tempo: chiudere con tutto e reinventarsi una nuova vita, in Francia, a Parigi.
Ne ha sentito parlare tanto dal marito che l'ha conosciuta in tempo di guerra ed è lì che lei vorrebbe andare. Quando è sola ha tutto il tempo per pensarci e fare progetti per se e per Franck.
Lei avrebbe la possibilità di trovarsi un lavoro e per il marito ci sarebbe tutto il tempo necessario per cercare la propria strada e realizzare qualcosa in cui credere seguendo solo le proprie inclinazioni.
Quest'idea romantica di una fuga da tutto sembra riaccendere la passione tra i due.
Anche Franck si sente coinvolto in questa nuova ed esaltante progettualità e segue la moglie nel sogno di un futuro diverso e migliore.
Condividono il loro progetto con gli amici che ovviamente disapprovano e questo fatto li convince sempre più che la loro scelta è veramente importante.

A rafforzare la loro convinzione è invece l'entusiasmo che divide con loro il figlio psicolabile di un vicino.
Ma la realtà irrompe prepotentemente nel sogno e l'euforia che si era alimentata tra i due lascia il posto all'ennesima delusione frustrante dove ‘il vuoto disperato‘ torna ad avvolgerli senza alcuna possibilità d'uscita.

È un film profondamente malinconico e drammatico in cui avvertiamo fin dall'inizio che l'angoscia esistenziale dei due protagonisti non troverà pace, nessuna speranza di un cambiamento è possibile per i due.
‘…Forse non te la senti, tutto sommato, di lasciare il buon vecchio vuoto disperato ci vuole un gran fegato per vedere la disperazione'.
Sono le parole del ragazzo psicolabile, unico personaggio lucido del film, che colpiscono in modo devastante April portandola ad un epigono tragico .

Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Richard Yates del 1961 ed il regista è Sam Mendes

Torna all'indice


Il matrimonio di Lorna


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Il film si apre con un inquadratura sulle mani di Lorna che è davanti ad uno sportello bancario e sta contando dei soldi.
Lei è una giovane ragazza albanese che vive in Belgio. Qui ha trovato lavoro in una lavanderia.
Lorna ha un fidanzato, anche lui albanese , che però lavora in Germania. I soldi sono una cosa importantissima per loro che hanno un sogno da realizzare: aprire un piccolo bar e noi per tutto il film vedremo spesso Lorna contare soldi, nasconderli in armadietti sul lavoro, fare conti, trovare nascondigli segreti, riceverli dalle mani di altri, custodire i soldi di chi si fida di lei, dell'unica persona che si fida completamente di lei.
Lorna, per garantirsi la cittadinanza belga, si è sposata con un tossicodipendente in cambio di denaro, questo passo le è stato possibile con l'aiuto di un gruppo malavitoso .

Ed è lui, Claudy, il giovane marito, che ha completa fiducia in lei, tanto da consegnarle i soldi del suo sussidio di disoccupazione, Claudy vuole smetterla con la droga e per questo non vuole maneggiare soldi, vuole chiudersi in casa e Lorna porterà le chiavi con sé. E' molto determinato in questa sua decisione.
Lorna si muove freneticamente per tutta la prima parte del film, per le strade di una fredda cittadina, in mezzo alla folla , sugli autobus, tra la banca , posto di lavoro,parcheggi in cui avvengono ripetuti incontri con Fabio, il malavitoso con cui ha deciso di portare a termine un altro affare che le consentirà , finalmente, di avere a disposizione tutti i soldi che le potranno servire alla realizzazione del suo sogno.

Fabio ha trovato un russo che vorrebbe ottenere la cittadinanza belga con un matrimonio e per questo ora Lorna dovrebbe divorziare da Claudy. I tempi per il divorzio sono lunghi ed il malavitoso ha già preso una decisione sbrigativa: ammazzare con un overdose Claudy, niente di più naturale e semplice per lui, quel ragazzo è solo un tossico!
Ma Lorna, non è come poteva sembrarci all'inizio del film, quando si sforzava di avere un atteggiamento distaccato e impersonale con Claudy, no, lei vuole sinceramente aiutare il ragazzo in questo suo momento particolarmente difficile e farà di tutto, per questo,teneramente e con amore, in certi momenti: lui ha solo lei.
Il suo sguardo si addolcisce e continua sicura per la sua strada, a poco a poco, senza quasi rendersene conto va contro tutto e tutti senza più dire nulla a nessuno, nemmeno al fidanzato.

D'ora in poi il suo silenzio ci accompagnerà fino alla fine del film in cui ci troveremo, come in un sogno, in un paesaggio completamente diverso.
Non più il caos cittadino, i traffici strani, il rumore delle macchine, le urla dei discorsi concitati e nervosi, ma un bosco tranquillo e pieno di verde con una piccola baita di legno che lei prepara per la notte.
Una notte da sola, con se non ha nulla, non ha i soldi, non ha più nemmeno la borsa che portava sempre al braccio.

E' sola con se stessa.

Solo qui, in uno spazio al di fuori dal mondo reale, Lorna rompe il silenzio che le è servito per staccarsi completamente da un mondo che non sentiva più come suo, un mondo crudele e disumano in cui aveva rischiato di venire risucchiata, e comincia a parlare accarezzandosi il ventre.
Parlando in terza persona, da forza e coraggio a se stessa. Forse una vita diversa è possibile anche per lei.

Il film è dei fratelli Jean- Pierre e Luc Dardenne

Torna all'indice


La vita segreta delle api


disponibile su IBS

Qualche anno fa, come lettura estiva, un'amica mi aveva consigliato un libro di Sue Monk Kidd, una scrittrice nata in una cittadina della Georgia, dal titolo, La vita segreta delle api, che mi aveva fin da subito incuriosito. Mi ero così ritrovata in una piccola comunità di donne nere, August, June e May nell'America del sud, tre sorelle apicultrici, che producevano il miglior miele in circolazione e vivevano in una enorme casa dipinta di rosa, in mezzo ai campi, circondata dal ronzio delle api in una calda estate appiccicosa e profumata di miele.

Il libro apre ogni capitolo con piccole citazioni riguardanti la vita delle api perché come ripete August, la sorella più anziana: “la gente spesso non ha idea di quanto sia complessa l'esistenza all'interno di un'arnia. Le api hanno una vita segreta di cui non si sa nulla”.

Sono entrata così, a poco a poco, nel mondo di questi piccoli insetti, ai più sconosciuto, per scoprire le profonde analogie tra i comportamenti di ogni singolo elemento di questa piccola e operosa comunità, in cui la regina è la forza unificatrice e la presenza del maschio è veramente marginale, con la comunità delle tre sorelle operose e delle altre donne che ruotano intorno a loro.
Da questo libro è stato poi tratto il film con lo stesso titolo, film che ha saputo mantenere l'uguale coinvolgimento emotivo che mi aveva regalato la lettura.

Siamo nel 1964, l'anno in cui il presidente degli Stati Uniti, Johnson , aveva firmato l'Atto sui Diritti Civili che metteva fine, sulla carta, alla discriminazione nei confronti della gente di colore.
Se negli stati del Nord la convivenza di bianchi e neri era sempre stata più facile, nel Sud i cambiamenti erano lenti e difficoltosi, i pregiudizi molto più difficili da sradicare. Qui la gente continuava a pensare di potersi fare giustizia da sola con i ‘negri‘, rimettendoli al loro posto, sempre.

La protagonista è Lily, ragazzina di quasi quattordici anni che abita con il padre, uomo manesco, violento e prepotente con cui non riesce ad avere nessun rapporto, nella piccola fattoria dove vivono coltivando pesche.

E' accudita da Rosaleen, la donna nera che, alla morte tragica della madre, si è presa cura di lei.

E' la madre che Lily cerca nei pochi ricordi che le restano, negli oggetti suoi che è riuscita a nascondere agli occhi del padre, oggetti che tiene tra le mani e riguarda nelle notti insonni quando, perseguitata dal senso di colpa lacerante di essere stata lei la causa della sua morte, si sente agitata e non riesce a dormire.
Pochi i ricordi di allora che la angosciano: i due genitori che litigano, lei nascosta, una pistola a terra. Poi lo sparo e la sua vita cambiata all'improvviso.
Con Rosaleen, unica figura positiva che le è sempre stata accanto in quegli anni, Lily vivrà l'esperienza più coinvolgente ed emozionante della sua vita. Decidono la fuga, insieme, per motivi diversi: Lily, dopo l'ennesimo atto violento del padre nei suoi confronti; Rosaleen, dopo i soliti soprusi della gente del villaggio e così lasciano la piccola cittadina in cui sono sempre vissute e partono senza una meta precisa, apparentemente.
Nella tasca di Lily solo un 'etichetta con l'immagine della Madonna nera trovata tra gli oggetti appartenenti a sua madre e dietro il nome di un luogo: Tiburon, nella Carolina del Sud.

Qui le due ragazze arrivano sfinite e trovano la casa rosa abitata dalle tre sorelle che le accolgono e si prendono cura di loro. Un piccolo mondo accogliente dove il tempo è scandito dalla magia della natura.
Qui, per Lily, il contatto con un mondo nuovo in cui la serenità è di casa, qui può ascoltarsi e tentare, per la prima volta, di dare voce alle sue paure perchè c'è chi le può accogliere e contenere.
E noi possiamo seguire, così, la storia di una meravigliosa formazione interiore e siamo partecipi di ogni emozione nuova e violenta attraverso cui Lily riuscirà a liberarsi dalle catene del passato e della colpa.

August darà a Lily tutte le informazioni necessarie per diventare a sua volta una brava apicultrice, stando al suo fianco e insegnandole tutti i segreti della vita delle api e spingendola ad una osservazione attenta di questi piccoli insetti così come di se stessa e delle persone che la circondano, questo perché per August: ”… il mondo è un grande alveare …e lì c'è molto da imparare.

Ora, Lily per affrontare il delicato e doloroso passaggio dall'infanzia all'età adulta ha intorno a sé tante madri: ”Ho più madri io che qualsiasi ragazza in circolazione", che le sono vicine e condividono e sostengono il suo cammino e la sua ricerca e questa è la sua vera e grande ricchezza.

Con loro impara a capire che: “… rallegrare il cuore di qualcuno…insomma, questo sì che conta davvero. Il problema, con la gente, è che sa quel che è importante, ma non lo sceglie.

Imparerà col tempo a perdonarsi, imparerà anche a scegliere per se stessa e per il suo bene e quello delle persone che la amano e desiderano per lei una vita piena, autentica e libera dalle paure e dalle angosce che l'hanno tenuta prigioniera fino ad allora.
Anche noi ci sentiamo avvolti dal ronzio delle api che diventa il motivo conduttore del film, e sentiamo il profumo dolce e appiccicoso del miele denso e dorato che è diventato anche il profumo avvolgente delle donne che vivono insieme e aiutano Lily nel suo difficile percorso di crescita.

Lei non è più sola e, come avviene negli alveari in cui “…una comunità priva di regina è una comunità assai triste e malinconica, a volte si sente addirittura una sorte di lamentoso gemito. Lasciata a se stessa la colonia muore.. Ma se si introduce una nuova regina, si assiste a un cambiamento prodigioso “, così sta avvenendo anche nella vita di Lily.

Regista del film è Gina Prince-Bythewood e tra le bravissime interpreti di questo film di solidarietà e affetto tra donne, una delle tre sorelle della grande casa rosa, è la musicista e cantautrice Alicia Keys, che ci regala pezzi molto belli.

Torna all'indice


La felicità porta fortuna


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

In una Londra straordinariamente soleggiata e senza giornate piovose, incontriamo Poppy, con i suoi vestiti variopinti dagli abbinamenti di colore improponibili, i suoi rumorosi e numerosi braccialetti, i suoi sorrisi contagiosi, le sue buffe smorfie e l'andatura dinoccolata resa precaria dagli stivali col tacco, che non lascia mai. E' una ragazza esuberante, eccessiva nei suoi comportamenti e sempre allegra.

Le prime scene del film non mi hanno entusiasmato: troppo di tutto, troppa esuberanza, troppa allegria. Ma, scena dopo scena, mi sono avvicinata a lei superando il primo impatto negativo e mi sono lasciata catturare perché Poppy è uno spirito libero che sorride alla vita, sempre, non è superficiale e frivola, semplicemente lei ha il suo 'centro' e può permettersi di essere in quel modo, senza finzione e senza recite per apparire, lei è così, con se stessa e con gli altri, le amiche con cui ha rapporti molto intensi e le persone che non conosce, ma che vorrebbe conoscere, se e quando queste glielo permettono.

Il film, non ha una vera e propria trama, scorre leggero e le scene rincorrono Poppy nei suoi spostamenti da casa alla scuola ,alla discoteca, ai suoi salti sulla pedana elastica, alle lezioni di flamenco,alle lezioni di guida, lei, con la sua gioia di vivere e di mettersi costantemente in gioco.

Poppy è una giovane trentenne, maestra, che divide l'appartamento con Zoe, anche lei insegnante in una scuola elementare. E' piena di vita, entusiasta del suo lavoro con i bambini che affronta con creatività e passione, gioca con loro e riesce a coinvolgerli molto facilmente perché ama i bambini e si diverte davvero creando situazioni stimolanti e coinvolgenti.
Cerca quotidianamente di affrontare la vita con leggerezza e positività, con ironia e spontaneità ed i rapporti con le altre persone sono empatici. Lei vede l'altro, ama lo sguardo diretto, occhi negli occhi e sente l'altro, sa ascoltare e mettere l'altro a proprio agio, senza difese inutili, conducendolo là, vicino al problema, alla sofferenza che fa male e sa fermarsi con l'altro fino a che la ferita è scoperta.

E non si può non amare facendoci conquistare dal suo sorriso fino alla scena finale del film in cui ci culliamo piacevolmente insieme a lei e all'amica Zoe su una barchetta che scivola leggera sul fiume, c'è serenità tra loro e l'amica si rivolge a lei dicendo: “Non puoi rendere felici tutti” e Poppy candidamente risponde “sì, ma che male c'è a provarci, a portare il sorriso nel mondo”. Accompagna la frase con il suo solito sorriso e continuano a remare guardandosi negli occhi .
“Fammi sapere quando arriviamo” "Tranquilla te lo dico io(...) tu continua a remare e io continuo a sorridere”. E noi sorridiamo con lei.

Il film è scritto e diretto da Mike Leigh

Torna all'indice


L'ospite inatteso


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Così, proprio per caso, ed in modo davvero inusuale, inaspettato e imprevedibile, nasce l'amicizia tra Walter e Tarek. Due persone completamente diverse: Walter è un professore universitario di economia sessantenne, americano e vedovo da alcuni anni, che conduce una vita monotona, con un lavoro ormai diventato ripetitivo e privo di stimoli; Tarek è un giovane immigrato siriano che convive con Zainab, una ragazza senegalese incontrata in America e come lui clandestina.

Walter vive solo, in una bella casa in cui tutto sembra essersi fermato quando la moglie, pianista e concertista, è morta. Si sente inutile, chiuso nei ricordi del passato, senza più legami e interessi capaci di coinvolgerlo emotivamente.
In casa c'è il pianoforte che suonava la moglie e Walter si ostina a prendere lezioni pur trovando difficoltà enormi, nel tentativo, forse, di mantenere, in questo modo, il legame col suo passato. E' il passato, per lui, l'unico spazio sicuro in cui trovare confini che lo rassicurano, ma in realtà, nulla sembra ormai servire ad attenuare la pesantezza quotidiana delle sue giornate.

Tarek ama la musica e vive di musica suonando i tamburi africani in un gruppo jazz. Due mondi, i loro, completamente diversi. Il loro incontro segnerà positivamente la vita di Walter determinandone la svolta ed il cambiamento e per Tarek significherà la fine del suo sogno americano.
Il tutto sottolineato e commentato dalle percussioni ritmate dei tamburi africani di Tarek che contribuiranno a stimolare e favorire un nuovo e coinvolgente ritorno alla vita del professore.

Water accetta di malavoglia il trasferimento a New York, in sostituzione di una collega, per la presentazione di un saggio ad una conferenza ed è proprio da questo viaggio che avranno inizio per lui una serie di avvenimenti che, in breve tempo, lo faranno sentire diverso e più ricettivo nei confronti della vita e delle occasioni che si possono presentare inaspettatamente. A New York scopre che il suo appartamento è occupato da una coppia, lei è Zainab e lui è Tarek.
I due hanno avuto l'appartamento in affitto con un inganno da un impostore e quando vedono entrare Walter, dopo il primo momento di grosse difficoltà e tensioni, si sentono sinceramente dispiaciuti e imbarazzati per l'accaduto e decidono di lasciare immediatamente la casa. Dopo essersi ripreso dal disorientamento iniziale Walter decide di lasciarli rimanere per la notte e fino a che non troveranno un'altra sistemazione.

Da questo momento assistiamo alla graduale trasformazione del compassato e metodico professore che, scoprendo, a poco a poco, il mondo di Tarek, si arricchisce di vita e di nuovo entusiasmo. I due, profondamente diversi, riescono a trovare un terreno d'incontro.
E' la musica ad unirli. Il giovane siriano insegna a Walter le percussioni, come muovere le mani sui tamburi lasciando la mente libera dai pensieri e sarà la musica a dare nuovi ritmi e nuovi colori alla sua vita regalandogli leggerezza, coraggio e nuova energia.

Tarek non ha il permesso di soggiorno e viene fermato dalla polizia, arrestato e condotto in un centro di detenzione.
"Voglio trascorrere la vita qui a suonare la mia musica, che male c'è?". Questo era l'unico sogno-desiderio di Tarek, interrotto bruscamente e senza motivi precisi ed è per questo che l'accanimento di Walter per trovare una soluzione a questa ingiustizia diventa così forte.
Solo lui potrà avere contatti con il giovane perché anche Zainab è un immigrata irregolare e lui si occuperà dell'amico fornendogli e pagando un avvocato , visitandolo in carcere e offrendo ospitalità anche a Mouna, madre di Tarek, che è arrivata a New York pochi giorni dopo l'arresto del figlio.

Anche questo nuovo incontro per Walter sarà molto importante, Mouna è infatti una donna molto dolce, sensibile e attenta, disposta a tutto per aiutare il figlio. Mouna è vedova, il marito, giornalista, è morto, in Siria, dopo molti anni passati in carcere per i suoi articoli considerati scomodi dal potere.
Insieme cercheranno di affrontare le desolanti realtà del sistema di immigrazione americano con tutte le contraddizioni assurde che man mano si verificheranno.

E' un film dai toni pacati che ci parla di accoglienza, comprensione, partecipazione e amore tra persone profondamente diverse per provenienza e cultura, pieno di umanità e di rispetto per l'altro. E' una bella storia di incontri, voluti dal caso, e diventati importanti per il naturale bisogno di autenticità, umanità e amore dei quattro personaggi che la animano.
I loro sono legami forti, destinati a durare e a rafforzarsi nel tempo, costretti, solo, a lottare contro l'arretratezza e la rigidità di un sistema di leggi che tende a dividerli.

L'ospite inatteso è di Tom McCathy

Torna all'indice


La famiglia Savage


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

E' un film coinvolgente che con delicatezza ci porta nei luoghi malinconici e tristi dove i vecchi trovano l'ultimo rifugio, prima di spegnersi per sempre e ci accompagna nei sentimenti contrastanti che le persone coinvolte provano momento dopo momento.
E' in un posto come questo, uguale a tanti altri, che i fratelli Wendy e Joe decidono di portare il vecchio padre affetto da demenza senile.

Così, all'improvviso, come spesso accade, la situazione precipita e le decisioni da prendere devono essere veloci e tempestive, accompagnate dalle emozioni forti che si scatenano insieme ai sentimenti più contrastanti, al senso d'impotenza, al passato che riemerge creando ancora lo scompiglio interiore di allora e portando con sé lo smarrimento totale che lascia con lo sguardo perso nel vuoto.
Si risponde a questionari, si firmano, meccanicamente, documenti, le mani si muovono nervosamente, impacciate, e tutto è fatto.
Si apre una porta e si entra in una stanza uguale a tante altre, un piccolo letto, un comodino e lì si lascia il proprio genitore in custodia a degli estranei che si prenderanno cura di lui fino alla sua morte.
Quando tutto avviene in modo così repentino e, spesso è così che succede, lo scorrere normale della vita delle persone coinvolte si modifica vertiginosamente, cambiano le prospettive e le priorità e ci si ritrova in una nuova dimensione che, all'inizio, sembra proprio non avere confini: ci si sente, senza confini, e si vive in questo modo, così, spinti da quello che man mano succede.

Nel film Wendy e Joe non si vedono da tempo, ognuno preso dalla propria vita, lei è drammaturga nell'East Village e lui è professore di teatro, li accomuna un'infanzia difficile, che li ha segnati nel profondo, con un padre autoritario e violento.
Ora questo padre ha bisogno di loro ed a lui si dedicano completamente accompagnandolo fino alla morte.
Si sostengono a vicenda con tenerezza e da questo momento complicato, difficile e doloroso, il loro rapporto ne esce rafforzato.
Tutti e due imparano ad uscire dall'isolamento in cui si sono rinchiusi da tempo e cominciano a pensare con più maturità alle loro vite.

E' un film semplice, diretto e vero della regista Tamara Jenkins.
Torna all'indice


Ti amerò sempre


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Philippe Claudel, giovane scrittore francese, diventa per la prima volta regista, con questa storia scritta da lui e proprio per questo ci regala immagini così intense ed emozionanti per la sua capacità di cogliere ogni variazione emotiva, anche la più impercettibile, degli sguardi, dei movimenti delle labbra, delle espressioni minime del viso di Juliette, protagonista del film, e di Lea.

Le due sorelle, di cui Juliette è la maggiore, sono state molto unite da piccole ed il loro è stato un rapporto molto intenso.
Poi tutto si è interrotto bruscamente: la famiglia, tutta, non ha più voluto sapere niente di lei, niente notizie, niente ricordi, per tutti Juliette non esisteva più.
Dopo quindici lunghi anni le due si ritrovano ed è proprio Lea ad ospitare la sorella dopo un lungo periodo di detenzione in carcere passato completamente da sola.

E' difficile per le due incontrarsi anche se i ricordi che riaffiorano man mano riportano alla luce momenti passati pieni di affettività.
Juliette cerca di ricostruirsi una vita, ma tutto è così difficile, lì fuori tutto è andato avanti senza di lei, le persone la guardano con timore e con troppa curiosità, alla fine riesce a trovare un lavoro e questo è il primo grande passo.

Le tensioni, a lungo trattenute nel corpo si allentano ed il suo sguardo a poco a poco si addolcisce ed il viso si distende.
Assapora che tornare alla vita è possibile, lei lo verifica giorno per giorno.
Solo poco a poco conosciamo il dramma interiore di Juliette che ha avuto una famiglia e un figlio che nessuno sapeva essere gravemente malato.

Entriamo nel suo dolore cogliendone tutte le sfumature che si disegnano sul suo viso su cui il regista si sofferma con primi piani lenti di incredibile intensità.
Il viso di Juliette, pallido, con le labbra serrate nella morsa della sofferenza con cui si ripresenta al mondo, all'inizio del film, fino alla luminosità dei suoi occhi pieni, di nuovo, di vita e di speranza, intensi e partecipativi al tutto.

E siamo vicini a questa piccola donna che con grande forza interiore riesce a rinascere dopo un evento tragico.

Torna all'indice


Stella


Titolo presente nella videoteca di Ibs.it

Anni '70, periferia francese, Stella, ragazzina di undici anni, vive con i suoi genitori che gestiscono un bar ritrovo di ubriaconi, emarginati e senza fissa dimora che occupano le stanze annesse al locale. Gente che urla, litiga, gioca a carte e si stordisce ogni sera, senza regole da seguire, nel caos totale.
Stella si muove in mezzo a loro, ha per tutti una frase, un sorriso, osserva, partecipa ai giochi, tutti, a modo loro, le vogliono bene.
Quando è stanca, sale le scale e raggiunge la sua cameretta, ma anche qui arrivano le urla e il vociare concitato: la sua vita è questa, è sempre stata questa, il mondo che conosce è questo, un mondo di adulti incattiviti e frustrati.

Viene iscritta, per caso, ad una scuola nel centro parigino e qui inizia la sua avventura.
Non conosce nessuno, tutti la evitano, lei si muove timidamente stretta nel suo giubbino di pelle con il collo di coniglio e tiene gli occhi abbassati, ma niente le sfugge.
Quando qualcosa la ferisce ha una tecnica tutta sua, imparata negli anni: pensare ad altro e dimenticarlo subito dopo .

Sua compagna di banco è Gladys, figlia di ebrei argentini, molto brava in tutte le materie, le due diventano molto amiche e a poco a poco Stella entra con lei in un mondo nuovo dove la gente vive e si muove in modo diverso da tutti quelli che lei conosce.
Ne è affascinata, per la prima volta in vita sua, viene invitata a casa dell'amica e per la prima volta invita lei stessa qualcuno a casa sua, non senza paura, ma lo fa ed è felice per questo.
Gladys ama leggere e cerca di coinvolgere Stella nella lettura e lei, furtivamente, un giorno entra in una libreria e compera il primo libro della sua vita.

E' il momento del cambiamento, per lei.

Si appassiona alla lettura, è coinvolta da ciò che scopre leggendo e un nuovo mondo, completamente nuovo, si apre davanti a lei.
Anche a scuola qualcosa cambia e si rende conto di quanto sia importante per lei questa grande occasione che le è capitata: un modo diverso di vivere è possibile anche per lei, è quella la strada nuova che lei dovrà seguire.

Il film, della giovane regista Sylvie Verheyde, è una storia autobiografica.

La censura italiana in prima istanza ha vietato il film ai minori di quattordici anni per un episodio di attenzioni particolari di un cliente del bar nei confronti di Stella
La scena, girata con molta delicatezza da parte della regista, in realtà non creava proprio problemi, ma così si era deciso.
Successivamente tale censura è stata tolta.
Mi piace riportare qui di seguito un articolo di Marco Lodoli su La Repubblica del 4 dicembre 2008 intitolato: ”Stella, la mela acerba, scopre la vita“.

Lodoli consiglia la visione del film soprattutto agli studenti.

ROMA - Stella ha undici anni, "l' age bête" dicono i francesi, quel tempo di metamorfosi dolorosa in cui le ossa e i pensieri si allungano e tutto sembra incomprensibile. È ancora una bambina e non è più una bambina, la protagonista di questo bel film di Sylvie Vertheyde presentato all' ultimo Festival di Venezia e che da domani sarà nelle sale di tutta Italia. E speriamo che lo vedano in molti, anche se non ci sono attori famosi, anche se non ha nulla di violentemente spettacolare, perché Stella ha una qualità rara, sa entrare in quella zona misteriosa della fine dell' infanzia che quasi nessuno ha osato raccontare. È il tempo delle mele acerbe che precede di un soffio l' epoca delle comitive, delle mode condivise, dei linguaggi cifrati e compresi solo dalla tribù: questa è la breve e decisiva era della sofferta solitudine, in cui tutto scorre vertiginosamente e nulla ancora ha trovato la sua forma. Siamo negli anni Settanta, e Stella viene da una famiglia popolare, da due genitori belli e un po' dannati che gestiscono un bar nella banlieue parigina, un localaccio con i suoi clienti fissi che scompaiono accoppati dalla cirrosi epatica e dal disordine esistenziale. È l' altra faccia dei prestigiosi caffè intellettuali di Saint Germain: qui ci si ritrova per giocare a carte, flipper, calcio balilla, per bere come spugne, per intrallazzare con femmine procaci e disponibili, per consumare le serate nello stordimento. È un luogo vorace e caotico, intriso di violenza, dove tutti urlano, dove nessuno ascolta nessuno. Padre e madre, due esseri infelici, pronti a tradirsi ogni momento, non hanno la pazienza per ascoltare la loro bambina, per seguirla nella sua trasformazione. Ma per lei c' è un altro ambiente, la nuova scuola media, tormento e possibilità, pressa e catapulta. È una scuola più centrale, dove i professori pretendono molto e stangano ancora di più: per la maggior parte sono donne e uomini insensibili, un po' frustrati, e non hanno alcuna voglia di soffermarsi sull' anima incerta dei loro studenti. Non sembra un luogo felice, anche qui Stella subisce umiliazioni e soprusi, eppure questa ragazzina simile a un palloncino sempre pronto a volare via nel cielo piccolo dei suoi pensieri, istintivamente comprende che solo la scuola potrà salvarla. Questo è un film che andrebbe fatto vedere a tutti i ragazzi delle periferie italiane, quelli ai quali provo a insegnare qualcosa ogni mattina e che soprattutto devo convincere in ogni modo a non abbandonare aule e libri, perché se mollano è la fine, per loro fuori ci sarà solo desolazione e miseria, anche se sono convinti del contrario. È una difficile opera di persuasione: loro guardano la televisione, le pubblicità, credono che la scuola li separi dal mondo reale, da quelle illusioni fasulle. A loro lo studio sembra una perdita di tempo, sognano denaro, oggetti preziosi, una felicità regalata dal gatto e dalla volpe. Dovrò assolutamente portarli a vedere questo film, la storia complessa eppure semplice di Stella. Con innata saggezza, lei comprende la pena dei genitori e la chance che la scuola le offre, anche attraverso il percorso misterioso del caso. La compagna di banco legge i romanzi di Balzac e della Duras, nomi che per Stella non significano niente: eppure Stella non chiude la porta, anzi, incuriosita e intimorita entra in una libreria e compra il suo primo romanzo. Da quel momento per lei qualcosa cambia, come è cambiato per me tanti anni fa e ancora oggi per qualche studente che non si arrende alla prepotenza della realtà. Comincia a leggere, a riflettere, trova un altro mondo ancora, dove regnano intelligenza e bellezza, sentimenti grandi e pensieri profondi, e partendo da lì trova il modo per reagire al degrado familiare e al disagio della sua età. E alla fine sarà promossa, perché i suoi professori in fondo non sono le carogne che a volte sembrano, e sarà più felice, perché ora sa qual è la sua strada. Nessuno mai regala niente, ma ogni ragazzo può farcela se per un poco chiude le orecchie ai richiami melliflui delle sirene assassine, se prende in mano un libro, se per un' ora sceglie la solitudine, se si fida delle parole dei veri maestri. -

MARCO LODOLI

Torna all'indice


Uomini che odiano le donne


disponibile su IBS

Di questo film non avevo volutamente letto nulla, sapevo che era un trhiller tratto dalla trilogia Millenium di Stieg Larsson, autore di gialli molto famoso in Svezia e molto letto anche in Europa e purtroppo morto prematuramente a soli 50 anni.
Sapevo che trattava la violenza sulle donne.
Così sono entrata direttamente nell'atmosfera, all'inizio, incalzante e molto coinvolgente, della storia che ci porta nella sede della rivista Millennium in cui il giornalista Mikael Blomkvist è in crisi dopo aver perso il processo per un'inchiesta fatta dalle pagine del giornale in cui lavora su un noto imprenditore accusato di traffico d'armi.

Viene allontanato dal lavoro e riceve una richiesta particolare da un componente del clan dei Vanger, Henrik, ricco industriale che da anni è ossessionato dall'idea che la scomparsa della nipote Hariett, avvenuta 40 anni prima, sia da ricondursi ad uno dei membri della sua numerosa, ricca e potente famiglia.

A Maikel viene proposto di dedicarsi a tempo pieno alla ricerca di notizie al riguardo e lui accetta.
Da subito lasciamo la città ed entriamo nelle gelide atmosfere nordiche della campagna
Qui, tra spazi immensi e glaciali, isolata dal resto del mondo, c'è la residenza dei Vanger immersa nel silenzio. E lo stesso silenzio avvolge le persone che abitano la casa, un silenzio pesante che copre e nasconde agghiaccianti segreti.

Maikel avrà un appartamento per sé e da subito gli vengono portate tutte le fotografie di Hariett, i suoi diari, i libri più letti e lui entrerà in quel mondo per cercare di conoscere e capire.
Osserva, legge, trasforma le immagini al computer, analizza informazioni ricevute dalla polizia locale all'epoca della sparizione della giovane donna e, durante le sue ricerche, si accorge che qualcuno si è inserito nel suo pc.

Conosciamo la protagonista femminile della storia: Lisbeth Salander , è un hacker incaricata dalla compagnia per cui lavora di indagare su di lui.
È una giovane donna molto particolare, introversa, asociale, di poche parole e molto diretta, con un passato di terribili violenze subite e noi veniamo a conoscenza di questo in brevi momenti in cui la sua storia personale la invade negli incubi ricorrenti o nel suo quotidiano.
Nella sua vita, pur essendo molto giovane, lei di uomini che odiano le donne ne ha conosciuti tanti e ne è stata, di conseguenza, particolarmente segnata.

Maikel riesce a convincerla a lavorare con lui e con il suo aiuto riuscirà a portare a termine l'operazione riuscendo a portare finalmente alla luce segreti tenuti nascosti per anni dai componenti della famiglia.
L'attrice Noomi Rapace che interpreta Lisbeth in una intervista parla del suo personaggio “…lei non rinuncia mai a lottare, non si lascia andare alla autocommiserazione.
Invece di farsi annichilire dalla violenza reagisce e controbatte… anche se a livello razionale capisco che quella di Lisbeth non è la risposta giusta al problema, credo che sia comunque migliore che non reagire, che chiudersi in un dolore devastante
”.

Il dolore devastante che come la protagonista del film attanaglia molte donne vittime di violenza, se riescono a sopravvivere alla violenza stessa.
Non possiamo dimenticare che la Svezia non si differenzia dal resto del mondo, ogni quattro minuti una donna viene, infatti, violentata come in America e in altre parti. La violenza familiare in Europa e nel mondo è la prima causa di morte per le donne. I dati sono davvero agghiaccianti.

Il regista Niels Arden Oplev in una intervista dice: “Volevo fare un film con emozioni forti, personaggi forti e una storia controversa e intrigante. Questi elementi sono già il mio marchio di fabbrica, e nel libro c'erano tutti. Volevo che scenografie e immagini contribuissero a farne un film speciale, importante. E volevo che ci fossero tutti i dettagli e le sfumature del libro di Larsson – le vecchie foto attraverso cui rivive il personaggio di Harriet, i vecchi filmati di repertorio dell'incidente sul ponte, la memoria fotografica di Lisbeth.
Era importante che il film conservasse lo spirito tagliente del libro, che avesse il coraggio di mostrare il lato oscuro della società
.”

Torna all'indice


Louise Michel


disponibile su IBS

E' stata una doppia sorpresa per me vedere questo film, strano, un po' folle e con momenti davvero esilaranti, perché, oltre al piacere in sé, mi ha dato modo di sapere dell'esistenza di una donna che non conoscevo.

Louise e Michel sono i protagonisti a cui i registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern danno il nome e cognome di una anarchica francese, nata nel 1830, paladina dei diritti delle donne ed impegnata politicamente per tutta la sua vita.
Istitutrice di professione, crea una scuola libera ispirata ai principi della pedagogia libertaria, partecipa alla Comune di Parigi ed entra in contatto con gruppi che difendono e si battono per i diritti delle donne tra cui la Lega delle donne: uomini e donne devono avere la stessa educazione e lo stesso salario.
Instancabile propagatrice del pensiero anarchico, la sua attività politica è intensa e frenetica, si unisce ai disoccupati in lotta, viene arrestata e subisce una condanna di sei anni in carcere.

Il film, che prende spunto da un fatto realmente accaduto, ci porta in una fabbrica tessile francese, una fabbrica di donne,dove lavora Louise. Il padrone, il giorno prima del fine settimana e della pausa lavorativa, regala a tutte un camice nuovo con il nome di ciascuna in rilievo.
Il lunedì mattina al rientro per tutte loro c'è una sorpresa: la fabbrica è stata smantellata, non ci sono più ne macchinari ne personale vario.
Alle operaie rimangono solamente duemila euro a testa di liquidazione per i quarant'anni passati in fabbrica.

Che fare?

Le operaie si trovano intorno ad un tavolo per decidere, insieme, il da farsi, valutano alcune ipotesi, ma scelgono quella lanciata da Louise: trovare un killer, e lei sa dove, e ammazzare il padrone.
Incontra, casualmente, Michel, lui, non è un professionista, ma accetta l'incarico e da questo momento ci muoviamo in situazioni davvero molto particolari che ci stupiscono di continuo cogliendoci di sorpresa perché in una multinazionale non è mai semplice capire chi è il vero padrone e le strade per arrivare a lui diventano sempre più tortuose.
I due insieme, iniziano il loro personale viaggio vendicativo, non hanno proprio nulla da perdere, loro, ciò che a noi sembra assurdo ed estremo, per loro è giusto e normale.

E' una storia al limite del surreale, Louise e Michel sono accomunati da un passato complicato e da una vita da sbandati, a cui tutto va storto, e destinati irrimediabilmente alla sconfitta. Lei ha conosciuto il carcere, allora si chiamava Jean Pierre, vestiva panni maschili e lui ha avuto un adolescenza molto difficile, si chiamava Cathy ed era una ragazzina corpulenta.
I due entrano in sintonia fin da subito accettandosi senza porsi domande e problemi, loro vanno oltre e insieme si ritrovano a vivere situazioni davvero paradossali che ci accompagnano ad un finale piacevolmente sorprendente.

Ed io mi sono sentita vicina a queste persone così singolari e fragili nelle loro assurdità che si incontrano, si conoscono e decidono di proseguire insieme, non più sole, il loro cammino sulla terra.

Torna all'indice


Il canto di Paloma


disponibile si IBS

"Dobbiamo cantare per dimenticare, per cancellare le nostra paure“

Queste parole si sono sempre dette madre e figlia e così, hanno sempre fatto, perché per loro il canto è un modo per esprimere tutte le emozioni trattenute e per esorcizzare le paure antiche che la vecchia madre ha trasmesso alla figlia con il latte che ha succhiato dal seno: il latte del dolore.

La madre, come moltissime altre donne peruviane, soprattutto indie, è stata violentata, quando già era incinta, e i terroristi le hanno anche ammazzato il marito.
Tante sono state le violenze contro le donne perpetrate negli ultimi venti anni del ‘900 durante la guerra civile in Perù tra i militari al potere e i guerriglieri ribelli. E' stata una vera crudeltà di massa contro le donne.
La cultura popolare andina chiama ‘teta asustada‘( seno impaurito) la grande sofferenza che le madri violentate trasmettono alle figlie con l'allattamento.

Il film inizia con il triste canto della madre sdraiata nel suo letto mentre Fausta, la giovane figlia la assiste con amore. Canta tutto il dolore della sua vita. Poi chiude gli occhi e muore.
Fausta, con la paura che la madre le ha trasmesso, ora è sola: il suo bellissimo viso è segnato dal terrore, si sente paralizzata, annichilita. Ha cercato in tutti i modi di difendersi dal terrore che le è stato trasmesso, quotidianamente, da quando è nata ed ha trovato un modo suo personale per difendersi da ogni possibile violenza maschile: si è introdotta nella vagina una patata.
E' un gesto sconsiderato, il suo, che le provoca molti disturbi fisici, gravi danni alla salute ma, questo, rappresenta uno scudo protettivo tra lei e il mondo.
Con la morte della madre Fausta si trova, all'improvviso, a dover affrontare direttamente le sue paure per cercare un modo nuovo di andare avanti. Deve aiutarsi da sola, trovare dentro di sé la forza e la sicurezza e sarà proprio nello sguardo mite e rassicurante di una persona che incontra a farle riacquistare, a poco a poco, la fiducia in se stessa e negli altri.

E' un bellissimo film di denuncia, questo, della regista Claudia Llosa che in un intervista afferma: “Molti psichiatri e psicanalisti riconoscono gli effetti della malattia ma non possono utilizzare i loro mezzi e strumenti per approcciare chi ne è affetto e quindi per entrarvi in contatto e poter sperare in una guarigione si deve ricorrere all'immaginario mitico… c'è un'effettiva possibilità di riprendersi dalle ferite? Si può ricominciare a vivere anche dopo aver vissuto/assistito a terribili violenze? La risposta che infine mi sono data è che sì, si può ‘guarire”.

E con il percorso personale di Fausta il suo messaggio di speranza ci arriva sicuramente.

Torna all'indice


Settimo cielo


Disponibile su IBS

Lei, la protagonista del film, Inge, ha più di sessant'anni e divide la vita con Werner che di anni ne ha parecchi di più. Il loro è un rapporto di profondo affetto, amore, rispetto e comprensione.
Quando trent'anni prima si erano conosciuti lei aveva una bambina piccola, era sola, e lui si è preso cura di entrambe ed insieme hanno formato una famiglia.
Sono arrivati a questo punto della vita dove ci sono più ricordi, più lentezza e piccoli gesti ripetitivi che servono a tranquillizzare e a dare serenità. Lei cuce, fa riparazioni con la macchina da cucire alla gente del quartiere che ne ha bisogno e così conosce Karl un settantaseienne.

Si accorge, fin dal loro primo incontro che lui la guarda in modo diverso e si accorge anche del piacere che prova ad essere guardata, di nuovo, in quel modo.
Qualcosa succede dentro di lei, è una sensazione molto piacevole quella che prova e risveglia in lei emozioni conosciute, ma dimenticate negli anni.
I due si incontrano di nuovo, è lei a cercarlo, con la scusa della consegna di una giacca riparata e fanno l'amore.
Due corpi in primo piano che si amano in una stanza illuminata dal sole. La macchina da presa si sofferma con delicatezza sulle mani rugose che si cercano e sui corpi che si toccano e sono i loro occhi, i loro sguardi che più ci colpiscono.
Sono occhi, vivi, acquosi, pieni di emozioni forti che li stanno travolgendo e li riportano indietro nel tempo.

Poi lei scappa.

Come se all'improvviso tutte le emozioni provate fossero troppo forti da gestire: la paura prende il sopravvento.
Ritorna alla sua vita, la casa, Werner, il coro parrocchiale, la figlia e i nipotini, ma sente di non essere più partecipativa, come prima, alla quotidianità, lei si sente altrove. I sentimenti che prova sono molto coinvolgenti, nulla può essere più come prima.
Inge si rivede con Karl perché i due non possono più farne a meno, ma sente il bisogno di aprirsi con Werner a cui confida il suo tradimento, non sarebbe riuscita a vivere nella menzogna.
E' una decisione, la sua, difficile da prendere, è sempre difficile, in qualsiasi rapporto, ma in questo caso la scelta da fare è davvero dura e particolarmente dolorosa, e lei ne è cosciente.

Tutto diventa difficile, complicato e alla fine drammatico.

Il film è molto ben raccontato dal regista regista tedesco Andreas Dresen ed è commentato solo dai rumori della vita reale, avvolto, in certi momenti, dai silenzi della solitudine e dal senso di sofferenza che ci accompagnano ad un finale raccontato con grande realismo.

“Volevo raccontare una storia d'amore come se i protagonisti fossero giovani, perché mi sembrava che l'argomento non fosse mai stato trattato al cinema. - commenta il regista in una intervista - Credo di non aver mai raccontato una storia in maniera tanto minimalista. Ci sono pochissimi fronzoli e quasi nulla di superfluo, sia riguardo all'estetica e il contenuto sia per quanto riguarda la drammaturgia.”

E proprio per questo, secondo me, il film riesce a coinvolgerci così profondamente.

Torna all'indice


Una soluzione razionale


Disponibile su IBS

Siamo in Svezia. Erland e May sono sposati da molti anni, con figli adulti che vivono per conto proprio, lui lavora in una cartiera locale e lei, pianista, insegna musica nella piccola scuola della cittadina in cui risiedono.
Tutti e due coordinano gruppi di coppie che si ritrovano settimanalmente per discutere di problemi coniugali in alcune stanze della chiesa pentecostale.

Lo fanno con molta partecipazione e coinvolgimento: la loro è una coppia ‘solida', si amano ed insieme dividono il tempo libero, molto serenamente, così si svolge la loro vita, tra la cartiera, la scuola, le gite in mare con gli amici, i momenti tranquilli nella bella casa che hanno ristrutturato ed arredato con amore.
May, fin da subito, sembra la più realizzata e appagata da ciò che, col tempo, è riuscita a costruire con il marito, si sente tranquilla e ciò che ha la rende serena e felice.

Alla cartiera Erland lavora con Sven Erik,una persona fragile che in passato ha avuto problemi, i due hanno rafforzato la loro amicizia dopo un tentativo di suicidio di Sven Erik, tentativo non riuscito proprio grazie all'intervento dell'amico.
Con la moglie Karin, che lavora come inserviente nella scuola di May, frequenta le riunioni settimanali alla chiesa pentecostale.
Ad una festa organizzata per il cinquantesimo compleanno di Sven Erik, Erland si trova a tu per tu con Karin e, inespattatamente, tra i due scatta qualcosa: si sentono, inspiegabilmente attratti l'una dall'altro. Come adolescenti non riescono a gestire le forti emozioni che sentono crescere dentro.
Com'è possibile gestire tutto questo senza ferire le persone che si amano, senza distruggere la propria vita matrimoniale e l'amicizia?

Una soluzione c'è ed è la soluzione razionale che Erland propone alla moglie, all'amico ed a Karin.
Bisogna affrontare la crisi tutti insieme, vivendo nella stessa casa, seguendo regole di comportamento precise, fino a che la passione dei due, col tempo, andrà, naturalmente esaurendosi e tutto tornerà normale, come prima.
L'esperimento inizia, ma tutto si trasformerà in un crudele gioco al massacro, in cui le emozioni, all'inizio trattenute e nascoste anche a se stessi, si trasformeranno in rabbia violenta, frustrazioni, rancore, il tutto vissuto in momenti diversi dalle quattro persone coinvolte.

Il film, veramente ben costruito e molto piacevole, è l'opera prima del regista svedese Jorgen Bergmark che ci cala nelle atmosfere conflittuali, soprattutto interiori, con grande capacità introspettiva: primi piani intensi su cui si dipinge, di volta in volta, l'emozione che la persona vive interiormente.
Qui le donne protagoniste, sono viste come persone e non solo come mogli e madri, persone intere e complesse, delle due, May, è sicuramente quella che più soffre e si dispera, naturalmente, senza annientarsi nel tentativo di non soccombere all'egoismo cinico del marito mascherato da mitezza, gentilezza e comprensione per tutti.
Lei si mette in gioco come tutti gli altri, non si sottrae, ma quando si rende conto della disumana forzatura dell'esperimento, trova la forza ed il coraggio di riprendere in mano la propria vita, da sola.
Non rinnega il passato, il loro è stato un rapporto d'amore molto intenso che lei non avrebbe mai interrotto perché ancora vivo e coinvolgente, ma è proprio a se stessa che pensa, alla sua interezza che va salvaguardata e difesa andandosene da una realtà soffocante e poco rispettosa della sua dignità.

Non ci possono essere scorciatoie in una simile situazione, la direzione da seguire è una sola ed è quella che sente e che muove le sue decisioni così come ha sempre fatto nella sua vita.
Il suo sguardo, alla fine del film riprende la sicurezza di un tempo, il dolore c'è, è ancora dentro di lei, ma la vita, lì fuori le riserva ancora qualcosa .

Torna all'indice


Il nastro bianco


Disponibile su IBS

Entriamo in una piccola comunità al nord della Germania, siamo nel 1913, proprio alla vigilia della prima guerra mondiale.
La strada principale del borgo di campagna è attraversata da una sottile figura femminile, vestita di nero, gruppi di ragazzini biondi passano vicino a lei: c'è stato un incidente ed il medico del paese è rimasto ferito.
Una corda, tesa da qualcuno, tra i due lati della strada, ha fatto cadere il cavallo provocando una rovinosa caduta al medico che lo cavalcava.

Siamo subito avvolti da una sottile tensione che man mano andrà crescendo, catturandoci fino alla fine. Il bianco e nero delle scene aggiunge drammaticità e senso di oppressione alla storia che ci cattura. Il luogo è austero così come gli interni delle abitazioni, le donne camminano a testa bassa, i bambini sembrano solo impauriti, primi piani sui loro visi bianchi e lisci, figure sottili, scure e ordinate, nulla è fuoriposto in loro.
E' una vita dura quella che si svolge nella campagna circostante dove i contadini lavorano le terre del Barone e alla domenica lindi e puliti si ritrovano, con la famiglia in chiesa ad ascoltare, in silenzio, i sermoni del Pastore.

Le donne rigide e silenziose subiscono, senza nulla osare, fare o dire, la violenza dei mariti sui figli, nel quotidiano, e la violenza psicologica, verbale e fisica su loro stesse.
Tutti devono obbedire in silenzio e chinarsi davanti al ‘signor padre‘ che impone di indossare sempre un nastro bianco, come monito alla purezza, all'autorità religiosa e sociale: l'obbedienza va inculcata a forza nei bambini, sempre, I bambini vanno dominati e piegati, in ogni momento della giornata, durante le cene silenziose dove tutti mangiano con gli occhi bassi sul piatto e durante le giornate sempre uguali sotto gli occhi vigili delle madri impotenti.
Il dolore è muto, non ci sono grida, non ci sono pianti nemmeno dopo le punizioni corporali nel chiuso delle camere dei bambini.
Sembra che tutto sia così da sempre e, cosa più orribile, che tutto sia destinato ad essere così per sempre.

Non c'è spazio né per la ribellione né per la fuga e nell'animo si sviluppa e trova ampi spazi la crudeltà.
Le violenze subite e introiettate sono lì, dentro gli animi, pronte ad uscire, e la piccola comunità silenziosa viene sconvolta da episodi che lasciano tutti annichiliti. Gli unici due visi sorridenti che ho negli occhi, a film finito, sono quelli del maestro, voce narrante, e della giovane ragazza, la bambinaia del barone, che si incontrano e scoprono di amarsi, unico sprazzo di ‘umanità' che il regista austriaco Haneke disperde all'interno di una atmosfera gelida e opprimente.

Il film è di Michael Haneke

 


Welcome


disponibile in ibs

Siamo a Calais in una giornata invernale grigia e fredda, una giornata uguale a tante, in cui arrivano di continuo, enormi tir su cui trovano nascondiglio, stipati tra le merci,gruppi di clandestini, stremati, impauriti, infreddoliti e affamati, accolti dai volontari che offrono loro un pasto caldo e coperte, di nascosto, perché in Francia come altrove , aiutare i clandestini, gli irregolari, è reato.
Tra loro c'è Bilal, ragazzo diciassettenne curdo, che è arrivato in Francia dall'Iraq, dopo tre mesi di viaggio tra difficoltà incredibili, quelle che tutti i clandestini affrontano .

Lui è determinato, vuole andare a Londra,dalla spiaggia vede la costa inglese, gli sembra di poterla toccare, lì c'è Mina, la ragazza che ama e che lo aspetta da tempo. Dopo tentativi andati a vuoto che ci fanno toccare con mano la drammaticità della situazione quotidiana che gli irregolari sono costretti a vivere, Bilal decide che ha solo una possibilità per realizzare il suo sogno, attraversare a nuoto la manica. Per questo inizia a frequentare una piscina: deve imparare a nuotare bene, deve allenarsi il più possibile.

Qui incontra Simon, un istruttore di nuoto cinquantenne che lo segue nelle giornate in piscina, c'è molto da fare. Fin da subito l'atteggiamento del ragazzo lo colpisce, è molto determinato e deciso.
Simon vive solo, si sta separando dalla moglie che ancora ama,il periodo difficile che sta vivendo lo rende triste e demotivato, ma l'incontro con il giovane curdo, sembra dargli una nuova ragione di vita: la tenacia del giovane, la forza e la determinazione che mette in quello che fa lo colpiscono profondamente e lo stimolano positivamente facendogli trovare nuova forza interiore.

Invita Bilal ed un amico per una pizza a casa sua. Nasce un amicizia, un rapporto sincero e intenso: Simon conosce i sogni del ragazzo curdo, i sentimenti forti per la ragazza che ama, ed il vero motivo che lo ha spinto a frequentare la piscina.
E' per raggiungere il suo amore che deve allenarsi e deve farlo, nuotare per ore, diventare bravo e capace di resistere in acqua ore ed ore, il tragitto che dovrà percorrere è lungo, ci sono punti in cui le correnti sono forti e la temperatura dell'acqua nella stagione invernale è molto fredda, ma ogni giorno Bilal è lì, in piscina e nuota, nuota per ore.

Lui, Simon, quando la moglie se n'è andata non è stato nemmeno capace di rincorrerla al di là della strada e fermarla. Ed ora decide che lui sarà al fianco del ragazzo in questa impresa, lo ospita in casa scatenando le reazioni dei vicini del condominio in cui abita che vivono dietro le loro porte chiuse con davanti lo zerbino classico con la scritta Welcome a caratteri cubitali.
Impauriti, terrorizzati da questa presenza inquietante, lo denunciano, ma non riusciranno a fermarlo, troppo coinvolto dalla storia di Bilal che ora è anche la sua storia, ora non può più far finta di niente, non può girare la testa dall'altra parte.

Il regista francese Philippe Lioret, all'uscita del suo film, in una intervista ha dichiarato: Se volete aiutare una persona che non ha i documenti, potete essere denunciati per aiuto a una persona in situazione irregolare…. In quale paese viviamo? Ho l'impressione che siamo nel 1943, con un ebreo nascosto in cantina”.

Le sue parole hanno scatenato molte e diverse reazioni . Sulle sue dichiarazioni è intervenuto anche il ministro dell'immigrazione e dell'identità nazionale, Eric Besson, giudicandole insopportabili.
Il suo è un film duro come dura è la realtà che sono costretti a vivere gli immigrati in tutte le diverse situazioni con cui vengono a contatto nel loro peregrinare da una terra all'altra, tra l'indifferenza, l'odio, la crudeltà, la violenza, ma è anche una bellissima storia d'amicizia intensa tra due persone che si sono lasciate coinvolgere l'una nella vita dell'altro con la voglia di vera apertura, accoglienza e partecipazione .

Curzio Maltese nella recensione fatta a Welcome su Repubblica del 10-12-09 scrive:

Non è un film di buoni e cattivi. È un film di uomini e donne soli, gente comune e migranti, poliziotti e vicini di casa, burocrati e commercianti, né buoni né cattivi, ma deboli e piccoli di fronte a un sistema che ha deciso di usare le paure e l'alibi della sicurezza come nuova forma di controllo autoritario della società e degli individui.

Ed è con queste parole che mi piace finire il mio commento ad un film che mi ha emozionato ed al quale è impossibile rimanere indifferenti.

Torna all'indice


A Serious man


disponibile in DVD

“ Accogli tutto ciò che accade con serenità”

Questa la citazione iniziale del film, un film che mi ha lasciato disarmata così come disarmato, attonito, incredulo, spaventato e annichilito, rimane Larry, il protagonista, che impronta tutta la sua vita alla realizzazione di uno scopo ben preciso: diventare ed essere un mensch, un uomo serio, secondo la tradizione ebraica.

Siamo alla fine degli anni sessanta, in una cittadina del Minnesota,in una piccola comunità ebraica: un quartiere di piccole case di legno, tutte uguali con un quadrato di giardino sul davanti.
Lui è un professore di fisica, precario, sposato con due figli e cerca in tutti i modi di essere un buon insegnante e un marito e padre premuroso.
Ma tutto, proprio tutto, in quel preciso momento della sua vita sembra andare contro di lui e rimanere distaccato non è possibile : la moglie Judit decide di lasciarlo per mettersi con un collega rimasto vedovo e Larry, con il fratello pieno di problemi, è costretto a trasferirsi in uno squallido motel.

Il figlio Danny frequenta, con cattivi risultati, la scuola ebraica e usa mariyuana, la figlia gli ruba soldi per rifarsi il naso, il fratello non ha un lavoro ed ha grossi problemi di socializzazione, un vicino violento si appropria di parte della sua proprietà, un suo studente coreano gli offre mazzette, che lui cerca invano di rifiutare, per ottenere la promozione, il consiglio di istituto della sua scuola che dovrebbe decidere se farlo diventare di ruolo, riceve quotidianamente lettere anonime che mettono in discussione la sua reprensibilità: nulla gli viene risparmiato. Anzi, proprio quando Larry crede e pensa di avere già troppi fardelli sulle spalle qualcosa di ancora più grave lo aspetta. Muore d'infarto, davanti a lui l'avvocato che segue le sue questioni legali ed ha un grosso incidente in macchina e nello stesso momento anche l'uomo di sua moglie ne ha uno e perde la vita.

“Io non ho fatto niente” continua a ripetersi Larry e, ricordandosi una frase che un conoscente a cui ha trovato il coraggio di confidarsi, in un momento di sconforto più grande degli altri, gli ripete: “ Siamo ebrei, quando le cose vanno male abbiamo il pozzo della conoscenza a cui attingere”, Larry è dai rabbini che decide di andare, per trovare lì le risposte e gli aiuti che gli servono per affrontare le difficoltà che lo stanno schiacciando.
“Mi occorre aiuto, ho avuto problemi matrimoniali, professionali, mi occorre aiuto, ho cercato di essere un uomo serio, di agire bene, di essere un membro della comunità… io voglio le risposte”.

Ma “ Dio non è tenuto a darle - si sente rispondere - … per favore, accetti il mistero.”

E nel suo vagare di rabbino in rabbino alla ricerca di risposte, a lui rimarrà un'unica e sola certezza: nulla di tutto ciò che avviene ha un senso, e questa e solo questa è l'amara verità.
Il film termina con un'inquadratura del viso di Larry. Un viso spaventato, di nuovo attonito, perché, proprio quando può sembrare che le cose si stiano mettendo a posto, finalmente, per lui si profila una nuova disgrazia all'orizzonte, mentre fuori il cielo si fa minaccioso: un tornado si sta formando e si avvicina sempre più al centro abitato. Anche la natura ci mette lo zampino

Il film è di Joel e Ethan Coen.

Torna all'indice


Il riccio


disponibile su IBS

Tre persone, apparentemente molto diverse tra loro, in un momento particolare della loro vita, si incontrano, si vedono, fin dal primo sguardo e, insieme, percorrono un tratto di vita molto intenso e coinvolgente.

Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell'alta borghesia, all'ingresso, la portineria dove vive Renè, la portinaia trascurata, sciatta, un po' grassa, dai modi bruschi, schiva e poco incline alla socializzazione, che svolge il suo lavoro molto diligentemente. Così appare alle persone che incontra quotidianamente e che, distrattamente, le rivolgono un saluto.
Renè è vedova da molti anni.

Uno degli appartamenti dello stabile è occupato dalla famiglia di Paloma, una ragazzina di undici anni molto attenta e intelligente che vive con il padre, ministro, presente, ma occupato e preoccupato solo del proprio lavoro, la madre intellettuale depressa, in analisi da anni che si riempie di antidepressivi e parla con le proprie piante riempiendole di cure e di attenzioni che non rivolge alla figlia, ed una sorella.
Paloma è molto ricca interiormente, piena di creatività che esprime nella sua stanza riempita di cose sue, disegnate sui muri e sui fogli, sta studiando il giapponese, è affascinata da quella cultura, ma è triste e si sente infelice, tutti sono troppo distanti da lei. Lei sa, per certo, che non vuole essere come i suoi e come le persone che conosce, non vuole per sé una vita così, se vita è quella continua finzione che vede intorno a sé.

“La destinazione finale è la boccia dei pesci. Una cosa è certa: io lì non ci vado. Il mio Everest è fare un film che mostri che la vita è assurda".

E Paloma decide che il giorno del suo dodicesimo compleanno sarà l'ultimo della sua breve vita e sarà lei stessa a porvi fine. Per il momento e fino ad allora la vediamo muoversi tra le stanze di casa con una cinepresa sempre in mano per riprendere e commentare la vita quotidiana delle persone che la circondano e fermare nelle immagini tutto ciò che le rende la vita intollerabile dando un senso alla sua decisione.

Nello stabile arriva un nuovo inquilino, Ozu, giapponese, molto elegante e raffinato, gentile e educato, vedovo e solo.
Queste tre persone si incontrano e si ‘sentono simili e vicine' fin da subito.
Tutte e tre nelle loro case hanno dei gatti, presenze silenziose e affettuose che si muovono per le stanze.

Renè non è una persona qualunque, non è quella che appare, e Paloma intuisce, fin da subito che lei è come un riccio che è pungente e goffo, fuori, ma dentro è estremamente elegante.

“Lei mi fa pensare ad un riccio, una vera fortezza, ma ho l'impressione che all'interno sia raffinata come quelle bestioline falsamente isolenti.”

In casa sua c'è una porta sempre chiusa, lì dietro, le pareti sono tappezzate di libri, moltissimi libri, uno sull'altro, un piccolo tavolinetto nell'angolo ed una lampada.
Questo è lo spazio segreto di Renè dove solo lei può entrare, qui c'è il suo mondo, la sua vera vita, qui lei può essere completamente e solo se stessa.
Questo è il suo nascondiglio segreto dove ci sono solo le cose che più ama, dove c'è tutto quello che da un senso alla sua vita, tutto ciò che rende la sua vita completa ed unica e lei una donna ricca e piena di sensibilità e profondità.

E Paloma che è alla ricerca per se stessa di un posto così perché sa quanto sia vitale avere un nascondiglio segreto in cui poter ‘essere', riparato da occhi indiscreti, sicuro, tranquillo, in cui trovare il silenzio di cui si ha bisogno continua a ripetere a Renè: “tu hai trovato il miglior nascondiglio“.

Anche Ozu, fin dal primo incontro con Renè ha intuito la ricchezza nascosta e segreta di questa donna brusca e schiva, e lei si è lasciata accarezzare dallo sguardo dell'uomo, senza ritirare il suo. Fin da subito la sensazione precisa di un anima simile e la voglia improvvisa di lasciare uno spiraglio aperto per facilitare la conoscenza e la vicinanza dell'altro.

E qualcosa di inaspettato per queste tre persone, così diverse tra loro, per età e cultura, ma così simili nel sentire, accade davvero.
Se ci si da la possibilità di sorprenderci, senza più paure, la vita può riservare ancora delle piacevoli sorprese e Renè, guardandosi allo specchio, dopo tanto tempo, si sente aperta e ricettiva a tutto ciò che di nuovo può accadere.

Paloma è in mezzo a loro, li osserva, li ascolta, li vede vivere, respira il rispetto, la discrezione e l'ascolto per l'altro e capisce che la vita è più complessa di quando lei crede e non è poi solo così assurda e tremenda come può sembrare.
Comincia a sentire che ci può essere la possibilità, per lei , di una vita diversa .

La conclusione del film è tragica e inaspettata, mi ha colto di sorpresa, sono uscita dall'atmosfera discreta e intima in cui mi ero lasciata trasportare nelle vite di queste tre persone particolari accompagnata dal commento pacato della ‘saggia' Paloma .

Regia di Mona Achache

Torna all'indice


A single man


Disponibile su IBS

Non conoscevo Tom Ford, ne come stilista, ne come regista, visto che A single man è la sua opera prima, fino alla sera in cui nel programma di Fabio Fazio ho potuto seguire la sua intervista.
Questo uomo raffinato, estremamente elegante mi è fin da subito piaciuto come mi sono piaciute e mi hanno colpito le scene del film proiettate in studio.
Un film, il suo, elegante, raffinato, molto curato in ogni piccolo particolare, che gli assomiglia.

Liberamente tratto dal romanzo, anni Sessanta, dello scrittore Christopher Isherwood, che il regista dice di aver letto quando aveva vent'anni rimanendo profondamente colpito “per la sua onestà e per la semplicità della storia”, il film ci porta nella vita di George,professore di origine inglese, da anni trasferito oltreoceano, che, improvvisamente, in un incidente, perde il compagno Jim, l'amore della sua vita, un amore forte che aveva regalato ad entrambi momenti molto intensi di pienezza e ci accompagna dentro il dolore lancinante e il senso di vuoto e di solitudine in cui George si sente sprofondare.

George, quando riceve la notizia per telefono, è seduto in poltrona, a casa sua, e sta leggendo, gli occhi, dietro gli occhiali, si velano appena, non ha altre reazioni e ringrazia anche quando lo informano che il funerale è solo per i parenti e la sua presenza non è contemplata.

Seguiamo George in questa sua giornata particolare in cui il dolore viene gridato una volta sola, con l'amica di una vita, Charlotte, poi le azioni quotidiane si ripetono uguali, da fuori, nulla sembra diverso dal solito. Dentro, per lui, la vita è finita, nulla può più avere un senso.

Siamo negli anni '60 e tutto è perfettamente disegnato con maestria, attenzione, sensibilità e discrezione estrema.
Con estrema delicatezza sono sfiorati i sentimenti e le emozioni, i turbamenti e le difficoltà del protagonista e delle persone che vivono intorno a lui.
Descrivo le giornate di un uomo che non riesce ad immaginare il proprio futuro e non ha alcun interesse al presente. E' una narrazione spirituale, che parla del riconciliarsi con la solitudine che proviamo, con le paure che si annidano in ognuno di noi. Nasciamo soli, moriamo da soli. Ma ad un certo punto George che insegna ai suoi alunni a vivere nel presente e a non avere paura nella vita perché ‘la paura mangia l'anima' come diceva Rainer Werner Fassbinder comincia a cambiare. Si sente vicino alla fine della sua esistenza e, a quel punto, capisce la bellezza della vita”.

Così Tom Ford risponde, in una intervista, a chi gli domanda come sia riuscito ad ottenere un risultato così perfetto nelle atmosfere del film e nella storia dove nulla è mai gratuito.
Noi siamo catturati, dentro ogni scena, quadri perfetti in cui nulla è lasciato al caso e la storia è una bella storia in cui ci sentiamo coinvolti dall'inizio alla fine.

Torna all'indice 


Julie & Julia


Julie, una giovane donna trentenne, felicemente sposata, ma fortemente insoddisfatta di se perché non riesce a fare della sua passione per la scrittura una professione, si trova, ad un certo punto della sua vita, davanti ad una prova finale che deve sostenere: cucinare un' anatra e, prima ancora, disossare un'anatra, cosa ancora più complicata. Tutto va per il meglio e Julie, per la prima volta nella sua vita, riesce a portare a termine qualcosa, un progetto che si era stabilita.

Tutto era successo esattamente un anno prima. Da un suo momento di scontentezza e disorientamento, l'idea del marito: aprire un blog su cui scrivere quotidianamente. Dalla sua passione per la scrittura, da una sua difficoltà reale, dal piacere che prova a cucinare nella sua cucina dopo una giornata di lavoro, nasce l'idea.
Il suo sarà un blog di cucina.

Tempo prima, dalla casa della madre, Julie si era portata un libro di cucina tra i più conosciuti ed apprezzati , un libro scritto da Julia Child dal titolo Imparare l'arte della cucina francese , scritto negli anni cinquanta, unico e particolare, nato dall'amore di Julia per il cibo.

Durante una lunga permanenza in Francia per il lavoro del marito, Julia scopre la cucina francese e si illumina al solo pensiero dei piatti francesi. La terra e la cucina francese la rendono raggiante e piena di felicità per ogni cosa che scopre.
Già esuberante per natura, nutrita a sazietà dai manicaretti di cuochi esperti, non pensa ad altro che al cibo, coinvolgendo anche il marito con cui ha un rapporto bellissimo di amore e complicità.
Ma lei vuole di più, ora che non ha più il lavoro di un tempo, impiegherà le sue giornate facendo un corso di cucina, diventando in breve, la migliore.
E poi decide di scrivere un libro, ma non il solito libro, lei vorrebbe insegnare agli americani, la cucina francese.

Julie, molti anni dopo, attraverso il libro di Julia, decide di realizzare 524 ricette in 365 giorni scrivendone, poi, ogni giorno sul suo blog. Un anno della sua vita impiegato nella realizzazione di questo progetto.

Ogni giorno, dopo il lavoro in ufficio, la spesa al mercato e poi in cucina prova a realizzare le ricette di Julia seguendo passo passo i suoi suggerimenti alla lettera. In breve il suo blog diventa seguitissimo e lei si sente completamente coinvolta in questa avventura che diventa la sua ragione di vita.
L'anatra arrosto conclude la lista delle sue ricette e lei è raggiante e soddisfatta di se.

Julia aveva imparato a cucinare perché amava il cibo e il marito e poi aveva trovato la gioia, anche lei, ora, finalmente ha trovato la gioia e la realizzazione di un sogno, scrivere un libro di cucina tratto dal suo lavoro di una anno intero sul blog.

Nora Ephron ha tratto questo film proprio dal libro di Julie Powell realizzando un divertente intreccio di vite di queste due donne che da un loro momento di disorientamento sono state entrambe piacevolmente salvate dal cibo.

Torna all'indice 


Bright Star


film non ancora disponibile su JBS

La cruna di un ago, in primo piano, un filo bianco che entra veloce, l'ago tende il filo e trapassa il tessuto che scivola leggero tra le mani di una giovane donna che cuce tranquilla davanti alla finestra da cui si vede uno squarcio della campagna inglese che circonda la casa in cui vive con la madre e i due fratelli più piccoli.

Fanny ha l'espressione serena, quasi beata, di chi sta facendo qualcosa che le piace veramente, che la soddisfa e la rende completamente soddisfatta di se. Il cucito è la sua passione. Ama i tessuti che fa scivolare tra le mani e questi le suggeriscono i modelli da realizzare.
Modelli ricercati pieni di plissettature fitte e leggere che formano colli importanti per arricchire gli abiti che poi le piace sfoggiare alle feste che frequenta e dove le piace ballare. Punto dopo punto, pazientemente, lei cuce e si compiace dei risultati ottenuti davanti allo specchio di casa.
Il cucito è la sua vita, in quei gesti quotidiani lei trova completezza e gioia, realizzazione di se. E' lei, da sola, che riesce a dare forma e vita alla sue idee con pazienza, dedizione, impegno e amore.

Le tende leggere alle finestre di casa svolazzano al vento tiepido di primavera e fuori la natura si colora, il paesaggio è stupendo, alberi carichi di fiori profumati, campi tempestati di turchese e di viola dei giacinti selvatici sembrano tappeti uniformi su cui distendersi e sognare.

E poi l' estate che esplode.

Vicini di casa di Fanny sono il giovane poeta John Keats ed un suo amico che nella loro stanza lavorano altrettanto pazientemente unendo le parole, una ad una, come in una danza leggera e ne fanno versi che si rincorrono nella stanza fino alla trasformazione finale in versi compiuti e pieni di emozioni palpabili.
Questi due mondi si incontrano sfiorandosi appena all'inizio tra sguardi e piccole battute e poi Fanny scopre l'amore e la poesia.

Lei è Bright Star, la fulgida stella a cui il poeta dedica versi profondi e il film è la loro storia d'amore, un amore intenso, vero, disperato e tormentato, raccontato con molta cura per i sentimenti e le emozioni forti e nuove per entrambi i protagonisti.
C'è molta cura e attenzione anche per l'ambiente, la fotografia è splendida a tratti emozionante per la bellezza di certi momenti in cui lo spettacolo della natura, catturato dalla regista, ci viene incontro in tutta la sua ricchezza di colori e di forme.

Siamo all'inizio dell' ottocento e per una ragazza di buona famiglia come Fanny non c'è la possibilità di realizzare completamente la propria storia d' amore con John, che ancora non è un poeta famoso ed ha una situazione economica molto precaria . Ha 23 anni e la sua è una famiglia numerosa, lui, il primo di cinque figli.

I due hanno pochi momenti insieme, assistiamo alla passione vissuta nella propria camera da una Fanny consumata e disperata per la lontananza di colui che più ama al mondo.
Al dolore lancinante e lacerante dell'ultimo periodo in cui la lontananza di John è più difficile da sopportare, quando gravemente ammalato, aiutato economicamente dagli amici più cari, si trasferisce a Roma per cercare di ristabilirsi fisicamente.
Solo lettere da aspettare con ansia, per Fanny, per lei solo l'attesa.

E poi la fine tragica.

Nervosamente si cuce un abito nero e così vestita a lutto cammina, sola, nella campagna grigia d'inverno recitando ad alta voce le parole scritte, per lei, da John, l'amore della sua vita, per sempre.

La regia è di Jane Campion

Torna all'indice 


A Dangerous Method


Delusa, profondamente delusa, così mi sono sentita dopo aver visto il film di David Cronenberg. Delusa perché in effetti mi aspettavo qualcosa di più o, forse meglio, mi aspettavo altro.

Sabina arriva a Zurigo, nell'ospedale psichiatrico dove Jung lavora, accompagnata dai genitori, ha 19 anni e il resoconto che Jung fa della prima visita evidenzia tutta la sofferenza in cui lei si era isolata mostrando un atteggiamento che oggi potrebbe essere diagnosticato come psicotico, con forte tendenza all'anoressia: è malata, molto seriamente.
È la prima paziente psicotica che Jung abbia trattato in maniera analitica, molto coraggiosamente, sperimentando con lei “la cura della parola” e la possibilità di “portarla via” dalla malattia con una dedizione particolare, attraverso uno scambio emozionale, molto intenso, che si sviluppa man mano tra i due.
È sicuramente molto dotata intellettualmente e particolarmente ricettiva emotivamente, doti che catturano completamente Jung.
Dopo otto mesi di ricovero e terapia continua, con Jung, rinasce e costruisce le basi di una nuova esistenza fondata sullo studio dell'essere umano conseguendo la laurea in medicina prima ed una specializzazione in psichiatria poi.

La strada dalla malattia alla guarigione di Sabina nel film è trattata superficialmente, troppo, rispetto a quanto risulta dagli studi sulla sua vita e dal suo contributo allo sviluppo e all'affermazione della psicoanalisi nei primi anni del ‘900, preferendo, il regista, marcare l'accento sugli aspetti più “torbidi” della passione intercorsa tra Sabina e il dottor Jung e questo è uno dei motivi per cui mi sono sentita spiazzata, durante tutta la proiezione.
Le sofferenze indicibili, il lungo cammino difficile e tormentato verso la guarigione non si vede, solo alcune scene iniziali ci mostrano una giovane donna chiusa su se stessa, con difficoltà a parlare per le contorsioni del suo corpo, i tremori che non riesce a controllare la fanno sobbalzare sulla sedia, poi, come si è detto, l'attenzione del regista si concentra sugli aspetti della loro sessualità agita in modo violento e sadico.

La figura di Sabina ne esce sminuita, non c'è alcun rispetto per lei e pur essendo di fatto la figura centrale, sembra rimanere sullo sfondo, valorizzata solamente nei momenti drammatici in cui si esprime tutta la sua emotività, passionalità e determinazione nel contrapporsi ai dubbi, alle meschinità, all'ipocrisia dell'agire di Jung, facendo passare in secondo piano l'importanza che ha avuto nella comprensione di aspetti della sessualità umana a completamento della nascente teoria psicoanalitica.
Infatti dopo la tesi di laurea sulla schizofrenia, che è la prima tesi fatta su questa malattia e che nel film passa quasi inosservata, Sabina lascia l'ospedale e comincia una sua vita autonoma.
Il rapporto con Jung si interrompe un anno dopo ed è egli stesso, in difficoltà, a chiedere aiuto a Freud che diventa supervisore di entrambi e in questa veste invita Sabina a ritirarsi senza fare alcun “rumore” per non creare scandali nella Società Pscicoanalitica e per non compromettere la promettente carriera di Jung.

Il film termina con un colloquio tra i due quando Sabine, sposata ad un medico russo, è incinta e lui le confessa il disorientamento e la crisi nella quale è sprofondato dopo la rottura con Freud e il distacco da lei. Lo sguardo di Jung che guarda la carrozza di Sabina che si allontana chiude l'ultima scena.

Dalla storia della sua vita. in realtà, si sa che Sabina, dopo quel colloquio, torna in Russia, appena uscita da una lunga guerra civile seguita alla rivoluzione bolscevica del ‘917 con la costituzione dell'Unione Sovietica, e inizia la sua nuova vita, entra nella società russa di psicanalisi dove svolge attività terapeutica e seminari nella nascente Società Psicoanalitica Moscovita . Apre il primo asilo (l'Asilo Bianco) ad indirizzo psicoanalitico che rappresenta il suo tentativo di sperimentare "un'altra educazione" per creare "altri bambini". L'inizio è entusiasmante e gratificato da numerosi successi e riconoscimenti, ma, pochi anni dopo, con l'avvento di Stalin, il progetto di far crescere bambini educati all'esercizio della libertà, della solidarietà e all'aperta espressione della creatività entra in conflitto con la rigidità, il dogmatismo del regime e l'Asilo Bianco viene chiuso. Sabina continuerà ad operare in Unione Sovietica trovando la morte per mano degli invasori nazisti nel 1942 a causa delle sue origini ebree.

Ma questo nel film manca.

È invece molto ben raccontato nel film “Prendimi l'anima” di Roberto Faenza, a mio parere, sicuramente più completo e che io, a differenza di questo, ho amato molto perché molto rispettoso di Sabina: una donna che con fermezza e dignità fu capace di mantenere fede a se stessa.
Riuscì a non perdersi, prima nella malattia, poi in un rapporto molto intenso e coinvolgente con Jung e nemmeno nel rapporto prevalentemente epistolare, spesso conflittuale, con Freud e la società psicoanalitica del tempo e infine continuando ad operare in patria, nonostante le difficoltà, fino alla morte. E tutto questo vissuto da una giovane donna che nei primi anni del '900 intraprese la professione di medico e di psichiatra contro tutti i pregiudizi che, soprattutto allora, precludevano quasi tutte le carriere intellettuali alle donne.

La regia è di David Cronenberg

Torna all'indice


Carnage


Inquadratura aperta su un parco cittadino incorniciata da due enormi piante secolari, in fondo un gruppo di ragazzini adolescenti discute, poi uno di loro si allontana dal gruppo con un bastone in mano, ritorna sui suoi passi, si riavvicina agli altri e ne colpisce uno in pieno viso.
Questa è una delle due scene del film girate in esterno, poi ci troviamo, fino a pochi minuti dalla fine, in un appartamento cittadino e da qui ci muoviamo nelle varie stanze insieme ai quattro protagonisti, due coppie, i genitori dell'adolescente colpito e ferito, Etan, e quelli del ragazzino che l'ha ferito, Zac.

Classi sociali diverse: avvocato e consulente finanziaria i genitori di Zac, venditore di articoli per la casa e ‘scrittrice' quelli di Etan, la casa che li ospita è quella di questi ultimi: uno spazioso appartamento che avremo modo di visitare nel corso del film.
I quattro genitori si sono trovati per cercare di risolvere, in modo civile, la questione: Etan per il colpo ha perso due incisivi ed è rimasto, a detta della madre, molto scosso, è importante che i due ragazzini si rendano conto dell'assurdità di un tale comportamento e che si incontrino per le doverose scuse, il loro impegno di genitori consapevoli e attenti, deve aiutare i due ragazzi in questo. E' Penelope, madre di Etan, a sostenere, fin dall'inizio questa tesi, il gesto fatto è intollerabile e ingiustificabile ed i genitori di Zac devono affrontare la cosa nel modo giusto.
Dopo le prime chiarificazioni tutti sembrano convinti e tranquilli, ma basta una frase buttata lì per caso che i quattro, ormai vicini alla porta d'ingresso e in procinto dei saluti di rito, si bloccano e ritornano in salotto.

Da questo momento, fino alla fine del film ha inizio il lento gioco al massacro verbale tra i quattro protagonisti.
Inizia con piccoli pretesti usciti dal conversare che al principio sembra pacato e rispettoso per poi sfociare in momenti in cui la collera non ha più freni e senza alcun ritegno ognuno sputa e vomita sull'altro e sull'altra il proprio rancore, la propria rabbia, l'invidia e il disprezzo.
Iniziamo a muoverci anche noi con loro, in modo concitato, dal salotto al bagno e di nuovo al salotto e poi verso l'ingresso per tornare di nuovo, poco dopo, al salotto dove si svolgono le ultime scene concitate e piene di livore.

Poi la cinepresa ritorna per strada, ci ritroviamo nel parco da cui siamo partiti e qui la sorpresa finale per tutti noi è.... una splendida giornata di sole e…

Attori eccezionali : Kate Winslet e Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly, per un' interpretazione altrettanto eccezionale, ci regalano un film particolarmente coinvolgente.

la regia è di Roman Polanski

Torna all'indice


Angele e Tony


Mi piacciono i film che ti fanno entrare nella storia narrata rispettando i tempi, le emozioni, i film che ti accompagnano rispettosi nelle vite degli altri senza forzature.
E' così che la regista francese Alix Delaporte ci fa conoscere Angele, giovane donna ferita dalla vita, e la storia della sua trasformazione graduale si delinea davanti a noi a poco a poco.

Angele è molto carina, ma il suo viso, indurito dalle difficoltà di una vita difficile che l'ha portata a difendersi da tutto e da tutti, rimane teso, senza mai un accenno di sorriso fino alla parte finale del film.
Si muove a scatti, nervosa, alla ricerca solo di situazioni ‘utili' per risolvere il problema che più le sta a cuore, ricongiungersi al figlio, ancora bambino che non vede da due anni.
Non guarda in faccia nessuno, è sfuggente, pedala nervosa su una bicicletta rubata fuori dalla fabbrica in cui lavora.

Siamo in un piccolo villaggio di pescatori in Normandia e qui Angele conosce Tony che lavora al porto dove, con la madre, rimasta vedova da poco, ed un fratello più giovane, manda avanti la piccola azienda paterna. Insieme svolgono il loro lavoro con difficoltà tra lotte con la polizia e rivendicazioni sindacali.
Per Angele, Tony è uguale a tutti gli altri, e con lui usa gli stessi mezzi, si offre sfacciatamente come è abituata a fare quando vuole ottenere qualcosa.

Ma così non è e di questo si renderà conto a poco a poco.

Il loro primo incontro finisce ancora sul nascere lasciandola di nuovo persa e completamente in balia degli eventi che non riesce a contrastare, di nuovo via sulla strada pedalando nervosa in cerca di possibili soluzioni ad un problema che sembra proprio non averne, tanto si sente impreparata a gestirlo con quel niente che ha a disposizione.
Si fa assumere nell'azienda di Tony e, con il tempo, proprio attraverso il suo sguardo attento e sensibile Angele comincia a percepire, per la prima volta nella sua vita, di avere confini precisi intorno, persone che l'accolgono e cominciano ad apprezzarla.

Tony riesce a vederla nella sua interezza cogliendo dietro la durezza del suo porsi al mondo, l'estrema dolce fragilità di chi desidera solo essere vista e amata per quello che è e può dare
Finalmente può lasciarsi andare, finalmente il suo viso si distende e Angele sorride e quello che sente dentro può uscire senza più paure ne difese, lì fuori ci sono le persone che ama e che la amano.

il film è di Alix Delaporte

Torna all'indice


Tomboy


Tomboy ( Maschiaccio )

Céline Sciamma, giovane regista francese, con sguardo attento ed a tratti pieno di poesia ci fa entrare a poco, a poco nel delicato momento di passaggio dall'infanzia all' adolescenza di Laure, quasi undicenne.
Siamo in Francia, periferia parigina circondata da boschi disegnati da sentieri che portano al fiume ed è qui che Laure si trasferisce con la famiglia: Jeanne, la sorellina più piccola, la mamma incinta a pochi mesi dal parto e il padre.
Una bella famiglia in armonia, serena e unita, genitori premurosi, mai invadenti.

Abitano nel nuovo appartamento di una palazzina che si affaccia su uno spiazzo ampio, territorio di gioco di tutti i bambini del quartiere.
Ci sono i colori e le atmosfere di un' estate che sta finendo, ma che ancora regala calde giornate di sole da passare all'aperto giocando a pallone e facendo gli ultimi bagni al fiume. A breve le scuole riapriranno.

Laure e Jeanne sono in sintonia perfetta, capaci di leggersi dentro e capirsi senza bisogno di parole, insieme inventano giochi, Jeanne, infila il suo tutù ed improvvisa passi di danza leziosi muovendosi armonicamente nella stanza con i lunghi capelli che ondeggiano, Laure la osserva, facendo finta di ignorarla, mollemente distesa sul divano.

Figura esile, capelli cortissimi su un viso quasi sempre imbronciato, calzoncini rossi e scarpe da ginnastica, così ama vestirsi. Dalla finestra di casa vede i suoi coetanei che in gruppo passano il pomeriggio giocando e decide di unirsi al gruppo, scende in mezzo a loro ed incontra subito una ragazzina coetanea con cui socializza.

Da questo momento per Lisa, la nuova amica , e per tutti gli altri del gruppo, decide di presentarsi per come vorrebbe essere: Mickael .

Che problema c'è, dopo i primi tentennamenti si butta nella mischia e gioca a pallone con gli altri ragazzini senza alcuna difficoltà, si muove con disinvoltura ed è sicura di sè, a torso nudo, imitando le normali gestualità degli altri maschietti che gridano, sputano per terra e si danno calci e spintoni: tutto le è naturale.

Così, come maschietto noi cominciamo a vederla muoversi nei suoi momenti esterni, con i nuovi amici da cui si sente completamente accettata . Non c'è alcuna differenza, questo sembra dirsi Laure guardandosi allo specchio una volta a casa nel suo ambiente quotidiano.

Il suo ‘gioco‘ quindi può continuare anche se, con il passare dei giorni le diversità reali cominciano a crearle qualche problema e per questo è costretta a ricorrere a piccoli stratagemmi che le permettono di continuare ad essere per tutti Mickael.

Ma Mickael è diverso dagli altri ragazzini ed è Lisa che se ne accorge ed è proprio per questo che Mickael le piace tanto ed insieme passano lunghi pomeriggi nel bosco. le piace tanto ed ama passare momenti da soli nel bosco.

Gioco, reale bisogno interiore?

Mickael riesce a custodire il suo segreto con la complicità di Jeanne che non chiede nulla pur avendo capito. Ma per poco, la scuola sta per cominciare e qualcosa succede, è inevitabile.

Nulla è scontato, per noi che abbiamo seguito la storia tratteggiata con grande delicatezza, c'è la quotidianità vissuta da una famiglia, in tutti i suoi momenti, ci sono gli sguardi ed i silenzi, c'è una presa di posizione netta e precisa da parte della madre a cui partecipiamo fino agli ultimi momenti del film con l'immagine, nuova per noi, di Laure con un' abitino blu, che si sente ed è anche per chi la vede, un po' goffa ed impacciata nel muoversi. I suoi occhi, però, sono vivi e attenti ed hanno un guizzo ironico nel momento in cui Lisa le chiede come si chiama, e lei guardandola risponde: ‘Io mi chiamo Laure'.

Il film è di Céline Sciamma

Torna all'indice


Emotivi anonimi


Appena terminato questo piacevolissimo film verrebbe voglia di gridare: "Emotivi anonimi unitevi" perché insieme a chi conosce e vive quotidianamente le stesse identiche emozioni e paure è più facile la comprensione e si può smettere la finzione che ha scandito le proprie giornate per assicurarsi uno ‘spicchio’ di normalità agli occhi degli altri.

Angelique e Jean-Renè sono completamente e totalmente felici, per la prima volta nella loro vita quando, nell’ultima scena corrono liberi, tenendosi per mano, lungo la strada che si snoda nell’ampia campagna francese che li porterà a vivere, finalmente, una vita insieme.

L’inizio della loro storia, però, è stato tragico e non avrebbe potuto essere diverso visto che entrambi hanno grossi problemi emotivi e vivono con difficoltà ogni momento della vita.
Angelique è una cioccolataia raffinata, unica nel suo genere, che ama, anzi amerebbe tanto ritrovare il lavoro che ha perso anni prima e che esercitava anonimamente per il terrore di dover ammettere davanti agli altri questo suo grande pregio.
Ora a distanza di anni desidera riprovare e si presenta in un piccolo laboratorio di cioccolatini che cerca personale, è così che incontra per la prima volta Jean-Renè, il proprietario, presentato dal personale come uomo estremamente burbero.

I due si piacciono subito pur recitando entrambi una parte che li salva dai troppi disagi emotivi e Angelique viene assunta come responsabile delle vendite, cosa difficile perché il laboratorio è in crisi e rischia la chiusura, i cioccolatini prodotti sono dozzinali e non hanno di sicuro niente di particolare per distinguersi dai tanti in commercio.
Il gioco è fatto ora tutto può cominciare e così potrebbe essere se i due fossero diversi da come sono, ma lei desidera soprattutto non essere vista, solo così pensa di poter sopravvivere senza svenire nei momenti più significativi in cui viene in qualche modo riconosciuta una sua qualità, un suo modo d’essere.

Per tutti questi problemi che limitano il suo vivere, da tempo frequenta un gruppo di emotivi anonimi dove, con altre persone come lei cerca di trovare soluzioni.
Lui, ossessionato da un padre depresso che per tutta la vita non ha fatto altro che ripetere: "Auguriamoci che non succeda niente” è terrorizzato da tutto, ogni minima decisione da prendere, una cosa da dire o da fare, una novità da affrontare, tutto è un problema irrisolvibile.
Si fa aiutare da uno psicoanalista che lo segue da tempo e che cerca, alla fine di ogni seduta, di suggerirgli una cosa, nuova, per lui, da fare.
E la prima cosa da fare ora è di invitare a cena Angelique e da qui altre cose nuove da fare sempre con lei con tutte le difficoltà che ne conseguono visto che la loro unica preoccupazione, quando sono insieme, pare essere quella di mascherare in tutti i modi le loro paure che non devono, per nessun motivo, venire allo scoperto..

Che fatica!

E’ un susseguirsi di fughe, ricerca di nascondigli in cui rifugiarsi, tentativi mal riusciti di avvicinamento… ma si amano davvero e per tutti e due questo è il primo rapporto importante che potrebbe davvero salvare e cambiare la loro vita.
E ben venga il finale positivo, ci voleva proprio in questa storia tenera così ben raccontata dal regista francese Jean-Pierre Améris che non ha fatto altro che portare sullo schermo le paure che per una vita lo hanno accompagnato. Lui stesso ha frequentato gruppi di emotivi anonimi per trovare aiuto.

E il sorriso che illumina i visi di Angelique e Jean-Renè è per la prima volta, di vera felicità e la loro corsa è voglia di correre incontro alla vita, insieme.

Torna all'indice