“Perché è così difficile scrivere con semplicità? E non solo con semplicità, ma "sottovoce", se capite cosa intendo dire. È così che vorrei scrivere. Nessuna ricerca di effetti, nessuna bravura, ma la nuda verità, come soltanto un bugiardo può dirla." |
Per Katherine scrivere è una necessità interiore, “ una misteriosa spinta“ e la vera letteratura è” un avventura dell'anima” . “…a che cosa serve un pensiero che non derivi dal sentimento?. Devi sentire prima di pensare, devi pensare prima di esprimere te stesso. Non è sufficiente sentire o pensare. La vera espressione è l'insieme delle due cose…deve esserci un'emozione iniziale provata dallo scrittore, poi tutto ciò che vede si imbeve di quella qualità emotiva , solo essa può dare incidenza e sequenza, carattere e ambiente, unità profonda e intima…la forza di una scrittrice dipende dall'essere consapevole delle sue particolari visioni.” Avevo letto i suoi racconti, raccolti in una edizione dal color violetto, molti anni fa e, di recente, mi sono capitati tra le mani, così ritrovo Katherine Mansfild, davanti a me, con il caschetto di capelli scuri come usava negli anni venti e lo sguardo malinconico di chi non ha avuto una vita facile. A vent'anni lascia la sua terra, la Nuova Zelanda, e la famiglia: il padre, facoltoso uomo d'affari, la madre che per lei è "un essere squisito e perfetto al massimo grado: qualcosa fra una stella e un fiore", il fratello, Leslie, che morirà in guerra nel 1915 gettandola nello sconforto e nella disperazione. E' la vita che Katherine ama, tanto da farle dire che ‘la vita le era infernale tanto l'amava', non riuscendo mai ad abituarsi alle sue bellezze che sempre non finivano di meravigliarla. La Woolf, a differenza sua, non riuscì mai a godere della vita arrivando alla decisione di suicidarsi. Sibilla Aleramo in una rivista letteraria scriveva : Scrive essenzialmente racconti nei quali la vita è tratteggiata e ripresa nel suo quotidiano con la grande capacità, tutta sua, di andare in profondità, nel tratteggiare i personaggi che animano le sue storie, stanca della superficialità che vede intorno a se: la sua tensione sta nel sondare l'animo umano, con amore e determinazione. Questo è il suo impegno e riesce a mantenere fede a se stessa anche nella malattia. Lei, Katherine, ha una vita molto faticosa, è soprattutto la tubercolosi, più degli altri problemi fisici, che la condiziona pesantemente. Proprio per le cure particolari che le sono necessarie lascia presto Londra per stabilirsi al sud della Francia e in Italia, sola, isolata e lontana dal suo secondo marito, il critico letterario John Middleton Murry. Conosce la sofferenza e ne scrive nel suo Diario: “Vorrei che queste righe fossero accolte come la mia confessione. Non c'è un limite alla sofferenza umana. Quando si pensa: “ Ecco, ho toccato il fondo del mare, ora non posso andare più giù”, nondimeno si va ancora più giù. E così sempre. L'anno passato, trascorso in Italia, pensavo: “Una ombra di più e sarebbe la morte”… Quest'anno, invece, è tanto terribile, che il mio pensiero ritorna con affetto alla “Casetta”! La sofferenza è senza limiti, la sofferenza è paragonabile all'eternità. Una sola angoscia è una tortura eterna. La sofferenza fisica…è un gioco da fanciulli. Avere il respiro come schiantato da un grande macigno … sarebbe ancora cosa da ridere! Katherine scrive, quando la malattia le lascia spazi di ‘normalità', quando la difficoltà del respiro non è troppo opprimente, riuscendo a sfruttare fino in fondo ogni piccola energia, sempre in bilico tra disperazione e fiducia, accogliendo il dolore, per tendere sempre alla purezza interiore , condizione essenziale dell'anima, per lei. Scrive fino allo sfinimento, d'impeto, con lucidità straordinaria, anche per tutta la notte fino a che la stanchezza non la prende. Si ritira a Fontainbleu, per una cura molto particolare a cui viene sottoposta, nell'ottobre del 1922. Qui muore nel gennaio del 1923 a soli 34 anni e viene sepolta nel cimitero comunale di Avon, vicino a Fontainbleu. Sulla sua tomba sono incise le parole di Shakespeare, che lei stessa aveva scelto per il frontespizio di una raccolta di racconti : “ Ma io vi dico, signor mio idiota, che di tra quel cespo di ortiche che è il pericolo, noi cogliamo quel fiore che è la salvezza. “ Di lei possiamo leggere
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