ritorna ai tesori nascosti

“Combattevano in lei un'anima leggera e sognatrice e una invece saldamente e costantemente ancorata alla realtà…La leggerezza brillava nei suoi occhi nonostante i modi spesso rigidi, e sempre sobri e austeri. Era una leggerezza che i fatti avevano soffocato, e di cui tuttavia lei conservava una memoria lieta, piena di gratitudine. Lo penso ricordando il sorriso aperto, ingenuo in cui a volte si apriva, offrendo a chi ne era spettatore lo stesso calore di un abbraccio inaspettato; lo penso ricordando le risate a cui sapeva abbandonarsi, liberamente. Ci si sentiva immersi standole vicino, in un universo, dove le regole del mondo riuscivano a legarsi a una libertà ariosa, a un respiro che riusciva sempre ad essere più lungo di quello degli avvenimenti…"


Così scrive di nonna Natalia, la nipote Lisa nella prefazione del libro "E' difficile parlare di sé":
“…era una leggerezza che i fatti avevano soffocato…
” fatti che drammaticamente avevano segnato la vita di Natalia Ginzburg : il fascismo, il confino, le persecuzioni razziali , le morti tragiche delle persone care e dei tanti amici, compagni di un cammino difficile,avevano reso la sua vita tortuosa e sofferta.

Nasce a Palermo il 14 luglio 1916 da una famiglia ebraica di origine triestina, colta e istruita :il padre, Giuseppe Levi, professore universitario, soprannominato, dai figli, pomodoro, per i suoi capelli rossi, la madre, Lidia Tanzi, figlia di Carlo Tanzi, avvocato socialista, amico di Turati, e cinque fratelli.
Si stabiliscono a Torino, lei ha tre anni, e qui trascorre l'infanzia e l'adolescenza abituandosi, ben presto, ai continui controlli della polizia, e a grandi sofferenze: l'internamento del padre e dei fratelli, imprigionati e processati per antifascismo.

Natalia è una bambina non molto vivace, poco loquace e chiusa che ama molto leggere, non frequenta le scuole elementari ,ma studia privatamente e si prepara a casa, da grande pensa di fare la scrittrice o il medico.
Scrive poesie e racconti, “…la prima cosa seria che ho scritto è stato un racconto. Un racconto breve, di cinque o sei pagine: m'è venuto fuori come per miracolo, in una sera e quando sono andata a dormire ero stanca, stordita e stupefatta…quel racconto mi sembrava bello da qualunque parte io lo guardavo: non c'era nessuno sbaglio: tutto succedeva a tempo, nel momento giusto… …allora desideravo terribilmente di scrivere come un uomo, avevo il terrore che si capisse che ero una donna dalle cose che scrivevo. Facevo quasi sempre personaggi uomini, perché fossero il più possibile lontani e distaccati da me…”.

Trova, fin da subito, nella scrittura, la propria salvezza :la scrittura le da la forza per vincere l'abbandono e la disperazione.
La scrittura sarà la vera vocazione di Natalia, una vocazione che cercherà di seguire ogni giorno:
Quando mi metto a scrivere , mi sento meravigliosamente bene: adopero gli strumenti che mi sono noti e famigliari e li sento fermi nelle mie mani… il mio mestiere è scrivere delle storie, storie inventate e storie che ricordo della mia vita, ma comunque storie, cose dove non c'entra la cultura, ma soltanto la memoria e la fantasia.

A diciassette anni termina il suo primo vero brano narrativo,Un'assenza e l'anno dopo il giornale fiorentino Solaria pubblica il secondo racconto, "I Bambini".
E' grazie a questi due racconti, che il fratello Mario decide di mostrare ad un amico, che avviene l'incontro con Leone Ginzburg,un giovane russo, molto intelligente e colto che per Natalia è' una testa beffarda e misteriosa ‘.Ha sette anni più di Natalia e da quel momento i due cominciano a frequentarsi , è lui che dopo aver letto i suoi racconti decide di farli pubblicare .

Di Leone Natalia scrive:” La cosa strana, con la persona giusta, è che ci sentiamo sempre così bene e in pace, con un largo respiro, con la fronte che era stata così aggrottata e torva per anni, d'un tratto distesa; e non siamo mai stanchi di parlare e di ascoltare. Ci rendiamo conto che mai abbiamo avuto un rapporto simile a questo con nessun essere umano; tutti gli esseri umani ci apparivano dopo un poco così inoffensivi, così' semplici e piccoli; questa persona, mentre cammina accanto a noi col suo passo diverso dal nostro, col suo severo profilo, possiede una infinita facoltà di farci tutto il bene e tutto il male. Eppure noi siamo infinitamente tranquilli.

E' amore per tutti e due.

Anche Leone e la sua famiglia sono di origine ebraica. Quando raggiunge la maggior età chiede la cittadinanza italiana ed inizia la sua militanza politica antifascista attiva fondando la cellula torinese di Giustizia e Libertà.
Nel 1938 si sposano, Leone è studioso, e consulente della casa editrice Einaudi, della letteratura russa. Da questo momento l'Einaudi diventa per Natalia una seconda famiglia, un luogo di amicizie e grandi affetti. Ha due figli e in questo periodo parlando della scrittura dice: “…adesso non desideravo più tanto scrivere come un uomo, perché avevo avuto i bambini e mi pareva di sapere tante cose riguardo al sugo di pomodoro e anche se non le mettevo nel racconto pure serviva al mio mestiere che io le sapessi…scrivevo il mio racconto molto in fretta, come con la paura che scappasse via…perché ho dei fratelli molto maggiori di me e quando ero piccola, se parlavo a tavola mi dicevano sempre di tacere. Così mi ero abituata a dir sempre le cose in fretta in fretta, a precipizio e col minor numero possibile di parole, sempre con la paura che gli altri riprendessero a parlare tra loro e smettessero di darmi ascolto…
Così, la scrittura veloce e asciutta, senza fronzoli, che caratterizza tutte le sue opere nasce da questo suo bisogno di catturare in poco tempo l'attenzione del lettore senza annoiarlo e senza che lui si stanchi troppo in fretta così come faceva da bambina per catturare l'attenzione dei suoi e dei fratelli, attenzione di cui , allora, aveva un bisogno vitale.

Nel 1940, con l' entrata in guerra dell'Italia, Leone, considerato elemento troppo pericoloso per la stabilità del regime, viene mandato al confino a Pizzoli in Abruzzo con la moglie ed i due figli.Qui, in Abruzzo ha il suo terzo figlio, una bambina. E' questo un periodo lungo e difficile di cui Natalia scrive in un suo racconto: ”Quando venni al paese di cui parlo, nei primi tempi tutti i volti mi parevano uguali, tutte le donne si rassomigliavano, ricche e povere, giovani e vecchie. Ma poi a poco a poco cominciai a distinguere Vincenzina da Secondina, Annunziata da Addolorata, e cominciai a entrare in ogni casa e a scaldarmi a quei fuochi diversi… Quando la prima neve cominciava a cadere, una lenta tristezza s'impadroniva di noi. Era un esilio il nostro: la nostra città era lontana e lontani erano i libri, gli amici, le vicende varie e mutevoli di una vera esistenza”.

Tornano insieme a Roma nel 1944 “ "Arrivata a Roma credetti che sarebbe cominciato per noi un tempo felice. Non avevo molti motivi per crederlo, ma lo credetti. Leone dirigeva un giornale clandestino ed era sempre fuori di casa. Lo arrestarono, venti giorni dopo il nostro arrivo; e non lo rividi mai più".
Leone viene arrestato e incarcerato, non uscirà più dal carcere e non rivedrà più ne la moglie ne i figli. Nella sua ultima lettera scrive: “Natalia cara, amore mio ogni volta spero che non sia l'ultima lettera che ti scrivo…La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri. Questi consigli ti saranno facili e irritanti… Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l'attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l'unico ponte di passaggio…Ciao, amore mio, tenerezza mia. Fra pochi giorni sarà il sesto anniversario del nostro matrimonio, Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi, morirei volentieri…
Ti amo, ti bacio, amore mio. Ti amo con tutte le fibre dell'essere mio. Non ti preoccupare troppo per me. Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, sopra tutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza ritorneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia ?...Sii coraggiosa
”.

Ridotto in fin di vita per i continui interrogatori, le torture e le percosse, Leone muore nella sua cella nel febbraio del 1944.
Alla sua morte lei scrive per il marito la poesia ‘Memoria'in cui il dolore che sta provando si tocca con mano ,ma con molta leggerezza, nelle immagini del vivere quotidiano. La poesia finisce con queste parole:

Allora quando piangevi
c'era la sua voce serena.
Allora quando ridevi
c'era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera
s'apriva, resterà chiuso
per sempre, e deserta
è la tua giovinezza.
Spento il fuoco,
vuota la casa.

…Siamo stati molto felici insieme… Leone era il contrario di me. Lui sapeva tutto, tutto di un paese, tutto di tutte le cose, come sono nella realtà'. Però gli piaceva molto stare con me. Si divertiva a parlarmi. Siamo stati tre anni al confino, durante la guerra, e lui non aveva amici, non aveva nessuno con cui parlare, ma diceva che non gl'importava niente di non avere amici, perche' io ero il suo amico, gli bastava, così siamo stati molto bene insieme.. Io ero felice ogni giorno. Quel tempo mi sembra tanto lontano. Quasi un'altra vita…Mi restano i bambini.”

Si trasferisce a Firenze:

Mi ritrovai con mia madre a Firenze. Aveva sempre, nelle disgrazie, un gran freddo ; e si ravviluppava nel suo scialle. Non scambiammo, sulla morte di Leone, molte parole. Lei gli aveva voluto molto bene ; ma non amava parlare dei morti, e la sua costante preoccupazione era sempre lavare, pettinare e tenere ben caldi i bambini”.

Natalia entra nel silenzio e nel vuoto, l'uomo che aveva amato di un' amore straordinario e pieno di rispetto,non c'era più.
Smette di scrivere, per lei, ora, nulla ha più significato e, quando intervistandola qualcuno le chiede: "Cosa fa ora?", lei, con un triste sorriso, risponde - niente-.
Nell'estate del '45, Natalia, a Roma inizia un percorso di analisi con lo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard, ma il rapporto con lui si incrina dopo poco tempo. L'analisi dura solo pochi mesi.
L'atteggiamento di Natalia è costantemente sulle difensive, non riesce a lasciarsi andare: "Mi parve di essere a scuola,in presenza di un professore, quando chiedevo spiegazioni e poi mi perdevo a pensare ad altro…. avrei dovuto sentirmi come una malata con un medico, ma non mi sentivo malata, solo piena di colpe oscure e di confusione… lo guardavo con gli occhi dei miei genitori… a loro non sarebbe piaciuto, non assomigliava in nulla alle persone che loro frequentavano. Il pensiero che stavo facendo una cosa che avrebbe spaventato i miei genitori mi rendeva l'analisi affascinante e ripugnante insieme… Non mi chiesi mai allora se fosse intelligente o stupido, ma ora mi rendo conto che la luce della sua intelligenza splendeva acutamente su di me. Fu la luce della sua intelligenza ad illuminarmi in quella nera estate. Tutte le cose che gli raccontavo di me le sapeva da lungo tempo perché altri le avevano sofferte e pensate…. questo mi irritava, ma mi dava anche un grande sollievo perché quando avevo pensato a me stessa in solitudine, mi ero trovata a volte troppo strana e sola per avere qualche diritto di vivere… La mia analisi era senza dubbio imperfetta… avevo sempre la sensazione che l'essenziale era ancora da dire… Parlai tanto e non giunsi mai a dire l'intera verità su di me.

Poi, col tempo, lentamente, Natalia risale l'abisso del dolore. Grande è sempre stata la sua forza ed anche questa volta si risolleva e supera la disperazione, rialza il viso forte, lo sguardo triste e, 'con cappottino grigio e scarpotte tonde e basse' che le danno un aspetto dimesso, sua caratteristica principale da sempre, ritorna a Torino dove riprende il lavoro con la casa editrice Einaudi.
Non riesce a parlare ne a scrivere di Leone, questo per molto tempo, perché, come dirà a Oriana Fallaci in una intervista: "I dolori non guariscono mai: però a un certo punto si guardano con distacco. Io non riesco ancora a guardarvi con distacco".
E, anche più avanti negli anni, non racconterà la storia della morte di Leone, nemmeno in Lessico familiare, perché, come racconterà sempre ad Oriana Fallaci: "...non posso. Perché è troppo attaccata alla mia storia, perché è troppo vicina. Verrà un momento in cui la racconterò, questa storia, ma tra dieci, quindici, o due anni. Su Leone ho scritto solo una poesia.

Nel 1947 esce il suo secondo romanzo 'E' stato così'.

Per Natalia scrivere è un mestiere, un mestiere difficile e, ripete spesso che lei non avrebbe potuto fare che un mestiere, quello che " ho scelto e che faccio, quasi dall'infanzia".

Scrivere è " un mestiere che non tiene compagnia, non rappresenta una consolazione, né uno svago. Per scrivere cose che servono bisogna sentirsi stanchi; è lo scrivere in se stesso che deve stancare e deve rifuggire dall'evasione. E' necessario essere reticenti rispetto al proprio dolore privato (i sentimenti forti inquietano il cuore), per poter intervenire efficacemente sul 'dopo'."

Lei scrive "per mettere a nudo la sua verità" senza " truffare con le parole" e vuole scrivere "come un uomo, in modo che le sue frasi fossero per il lettore una continua e perenne frustata. Per lei la scrittura femminile , è priva di ironia,e le scrittrici: “sono sempre umide di sentimenti, ignorano il distacco".

Nel 1948 scrive un articolo intitolato Discorso sulle donne , apparso nel marzo-giugno sull'ultimo numero della rivista «Mercurio» dove parla della difficoltà delle donne ad essere attive nella storia.
"L'altro giorno m'è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po' male. Era piuttosto stupido: quel mio articolo parlava delle donne in genere… le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m'è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne… Le donne spesso si vergognano d'avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un'aria volitiva e sprezzante…. (...) Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perchè un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch'io per la prima perchè se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finchè sarà così popolato d'una schiera di esseri non liberi."

A Natalia Ginzburg risponde con una lettera Alba De Cespedes che scrive che è vero che le donne cadono nei pozzi e che in quei momenti possono anche compiere gesti estremi, ma è anche vero che i pozzi sono la forza delle donne. "Poiché ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano e nel riaffiorare portiamo con noi esperienze tali che ci permettono di comprendere tutto quello che gli uomini non comprenderanno mai".
E' nel pozzo che entriamo in "contatto immediato con la debolezza, i sogni, le malinconie, le aspirazioni e insomma tutti quei sentimenti che formano e migliorano l'animo umano…Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbono soltanto acquistare la consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà, oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese che si forma fra donne sconosciute l'una all'altra…Le donne sono esseri liberi e volontariamente accettano di essere spinte nel pozzo, delle sofferenze vorrei parlarti a lungo , perché tutte le sofferenze sono nella vita delle donne, ma allora, per essere perfettamente onesta, dovrei anche parlarti di tutte le gioie che esse trovano in loro. E di questo non posso parlarti oggi, perché mi trovo, come spesso, nel pozzo".

Nel 1950 sposa Gabriele Baldini, critico e studioso di letteratura inglese,e per Natalia inizia un nuovo periodo di vita pieno e intenso per la sua scrittura, con lui avrà altri due figli. Nel 1952 pubblica 'Tutti i nostri ieri' e nel '57 il volume di racconti 'Valentino', nel '61 esce 'Le voci della sera', nel '62 'Le piccole virtù'.

E' nel 1963 che con 'Lessico familiare' vince il premio Strega.

Scrive di getto l'intero romanzo, rispondendo ad un suo forte bisogno interiore di tornare alle origini, troppe voci dentro di se chiedono, insistentemente, di essere ascoltate, forse ascoltando e seguendo queste voci potrà meglio comprendere la sua vita e capire dove stia andando.

"Lessico famigliare non può considerarsi una semplice autobiografia… è un insieme di ricordi, che il trascorrere del tempo può avere reso imprecisi, labili…Ho scritto soltanto quello che ricordavo. Perciò se si legge questo libro come una cronaca, si obbietterà che presenta infinite lacune. Benché tratto dalla realtà, penso che si debba leggerlo come un romanzo: e cioè senza chiedergli nulla di più, né di meno, di quello che un romanzo può dare".

Nel 1969 un altro lutto la colpisce: muore improvvisamente il marito.

Ancora una volta la scrittura viene in suo aiuto, questo è per lei un periodo molto intenso dedicato alla scrittura. Esce nel 1970 la raccolta di saggi 'Mai devi domandarmi' e il romanzo 'Caro Michele' nel '73, nel '74 la raccolta di saggi e articoli 'Vita immaginaria' e molti altri racconti. Traduce 'La strada di Swann' di Proust, è dell' 84 il romanzo epistolare 'La città e la casa' e del '90 il saggio 'Serena Cruz o la vera giustizia'.

E' autrice anche di commedie: 'Ti ho sposato per allegria' e 'Paese di mare'.

Nel 1983 Natalia viene eletta in Parlamento nelle liste del Partito Comunista Italiano, come indipendente, dove si impegna, animata da grande senso di giustizia e passione in cause umanitarie importanti.

Muore nell'ottobre del 1991, nella sua casa romana.

Qualche anno prima, in un articolo, aveva scritto:

"…pensiamo che la morte darà riposo. Immaginiamo allora la morte come un piccolo paese, o come una piccola casa, o una stanza. Qui abiteremo per sempre, con tutte le persone che abbiamo amato. Delle diverse idee che abbiamo sulla morte, questa è l'idea che più di tutte ci è cara. Il vero riposo è stare sempre con le persone amate. E perché non potrebbe essere così la morte? Chi l'ha detto che non sarà così?"

Enzo Biagi la descrive come una donna con "…un volto forte, occhi che ti fissano inseguendo un pensiero. Con lei puoi conversare senza imbarazzo; senti che in ogni caso, ci sarà una risposta sincera. Senti che è una donna che ha anche il coraggio della sua debolezza.". In un'intervista ad un certo punto le chiede: “signora Ginzburg, cosa conta quaggiù?"
"Nella nostra vita?... Conta per ognuno cercare di sbrigare nel miglior modo possibile quello che è stato chiamato a fare."
E, questa donna schiva e ritrosa, è questo che ha sempre cercato di fare. Lei che aveva amato tanto la vita e aveva scritto "Amare la vita e crederci vuol dire anche amarne il dolore, vuol dire amare il tempo in cui siamo nati e le sue voragini di terrore; e vuol dire amare, del destino, la sua oscurità e la sua tremenda imprevedibilità. E' tuttavia ancora vero che su un simile pensiero non si può costruire nulla ; non essendo per verità un pensiero costruttivo, ma una sorta di fuoco che ciascuno accende in solitudine e per conto suo."

 

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