ritorna ai tesori nascosti

“Come in una gabbia, quante altre volte mi rigirai così tra quattro pareti? Nel mondo, e dove sole e dove nebbia. Nessuna casa è la mia, sebbene ogni stanza ove io passi s'impregni per sempre di me . E le fermate di notte sotto le tettoie di ferro, nomi diversi, nord o sud , uno stesso lontanar di fiumi rossastri, uno stesso sgancìo netto di catene.
Le prode dei campi; quant'altri inverni? Umide, sotto uno svariar di nuvole, con querce gialle su un filo d'orizzonte, o presso ombrie folte d'agrumeti: la terra è dappertutto, nera di novembre.“


Sibilla è una donna ‘senza nome ne terra‘ errabunda, come a lei piace definirsi, con la smania continua di partire, passando da una stanza d'affitto all'altra, da una pensione, quando c'erano i soldi, ad un'altra, in città sempre diverse, sola o ospitata da amici: “ …non era capace di star ferma più di trenta giorni in un sito, nemmeno nella soffitta. Girava su e giù sbattendo il collo dall'inquietudine… eccola coi bagagli attorno come un santo fra gli ex voto, raggiante. Non si sapeva ancora dove andava, a sud a nord, da un' amica o un vecchio conoscente o un ammiratore…”

Nei suoi bagagli porta con se carte, scritti, fotografie, suppellettili varie, tutto quello che ha e che possa fare di ogni luogo la sua casa.

“…Ho una stanzuccia di tre metri per quattro, dal soffitto basso, sotto il tetto, non importa. Sul tavolino la mia cartella di cuoio, il Buddha dai riflessi d'oro, qualche altro oggetto minuto che brilla,creano qui come in qualsiasi altra dimora la mia atmosfera. Sono essi la mia casa. Il ritrattino in una sola cornice, di mia madre e di mio padre, giovani, bellissimi. Li hai veduti?. E quello di mio figlio, quand'era bambino.”

Avrà una casa solo dopo i cinquant'anni, in via Margutta, una soffitta molto bohemienne.

Rina Faccio, questo il vero nome, nasce in Piemonte, ad Alessandria nel 1876, poi i suoi si trasferiscono, prima a Milano e successivamente nelle Marche.
Figlia maggiore, dopo di lei due sorelle ed un fratello, in una famiglia benestante: il padre dirige la propria azienda, è uomo molto autoritario e affascinante:
”…L'amore per mio padre mi dominava unico. Per lui avevo un' adorazione illimitata …era lui che mi rappresentava la bellezza della vita: un istinto mi faceva ritenere provvidenziale il suo fascino. Nessuno gli somigliava: egli sapeva tutto e aveva sempre ragione…accanto a lui mi sentivo lieve come al di sopra di tutto… ero disposta a credere che mio padre avesse sempre ragione…anche quando prorompeva in una di quelle crisi di collera che ci facevano tremare tutti e mi piombavano in uno stato d'angoscia, rapido, ma indicibile.”
La madre è una donna fragile e debole che subisce il marito “…sovente davanti al babbo ha un'espressione umiliata. Reprime le lacrime e si nasconde in camera.”
Per il bene dei figli e solo per loro, sopporta un matrimonio difficile ed i tradimenti continui del marito che le impone un' amante alla luce del sole, esibita pubblicamente nella piccola comunità in cui vivono. Soggetta a crisi depressive tenta il suicidio, viene salvata, ma non riesce più a vivere in una realtà che non può accettare, troppo umiliante tutto, per lei, e così viene ricoverata in un manicomio.

Rina studia e scrive, solo per se, poesie e pensieri ed aiuta il padre nell'azienda, le piace questa occupazione.
E proprio qui, nella stanza dell'azienda in cui lavora, una sera, ancora adolescente, viene violentata da un operaio della fabbrica. E'costretta ad un matrimonio riparatore.
“Il primo grande dolore che avevo provato mi era venuto da mio padre, dalla scoperta della debolezza d'un uomo che m'era parso un dio. Io avevo bisogno di ammirare innanzi di amare. Accettando l'unione con un essere che m'aveva oppressa e gettata a terra, piccola e senza difesa, avevo creduto di ubbidire alla natura, al mio destino di donna che m'imponesse di riconoscere la mia impotenza a camminar sola”.
Lei ha solo 16 anni.
Rimane incinta, ha un aborto, poi, in seguito, avrà il figlio che tanto amerà, Walter. “Quando, alla luce incerta di un alba piovosa di aprile, posi per la prima volta le labbra sulla testina di mio figlio, mi parve che la vita, per la prima volta assumesse a ‘miei occhi un aspetto celestiale…io stringevo tra le mie braccia la mia creatura viva, viva, viva!...ella era tutta me stessa.”

E' il figlio che le da la forza necessaria per cercare di dimenticare la violenza subita che l'ha segnata interiormente, facendo l'ultimo tentativo di cercare disperatamente di amare quell'uomo che è stata costretta a sposare, un uomo gretto, violento che cercherà in tutti i modi di schiacciarla e soffocarla portandola alla fine, dopo un tentativo di suicidio, alla decisione più difficile da prendere, per una donna, tra mille pene, dolori e rimorsi, quella di lasciare la propria famiglia abbandonando il figlio tanto amato, per cercare di salvarsi.
“Buona madre non è una semplice creatura di sacrificio: deve essere innanzitutto una donna, una persona umana". E allora a lei non rimane che: “Partire, partire per sempre. Non ricadere mai più nella menzogna. Per mio figlio più ancora che per me! Soffrire tutto, la sua lontananza, il suo oblio, morire, ma non provar mai il disgusto di me stessa, non mentire al fanciullo, crescendolo, io, nel rispetto del mio disonore! “.

Ora non possiede più nulla, solo se stessa.

Lei non ha niente, corregge bozze per riviste e traduce volumi, vivendo con poco. Inizia a scrivere articoli di costume e articoli sulla questione femminile e inizia anche a scrivere il suo primo romanzo: "Una donna".
Un romanzo autobiografico, la vita di Rina, dagli anni dell'infanzia fino alla maturità, ricca testimonianza della condizione femminile. Una donna è considerato il primo libro femminista apparso e pubblicato in Italia con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo. Grande è, fin da subito, il successo ottenuto, siamo nel 1906 .
Negli anni '70 non c'era gruppo femminista che non avesse tenuto tra le mani, letto e commentato questo libro pieno di forza in cui non si parla, con grande coraggio, solo della vita di una donna, ma di tutte le donne, del testimone che viene passato inesorabilmente da madre in figlia, di generazione in generazione.

Il destino di Rina era segnato così come quello della madre e della madre della madre, destini di donne identici, tutti imprigionati, giorno dopo giorno, dal matrimonio senza amore, dalla gelosia, dai tradimenti, dalla violenza fisica e psicologica, dalle continue umiliazioni subite passivamente solo ed esclusivamente per il bene dei figli.

Si chiede: “ Perché nella maternità adoriamo solo il sacrificio?, dov'è scesa a noi questa inumana idea della immolazione materna?. Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. E' una mostruosa catena…Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici, ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili e dannose: quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla paurosa grandezza del mostro da abbattere.”

La donna è considerata una 'minorata a vita': ”…e come può diventare una donna se i parenti la danno ignara, debole, incompleta, ad un uomo che non la riceve come un' eguale, ne usa come di un oggetto di proprietà; le da dei figli coi quali l'abbandona sola, mentre egli compie i suoi doveri sociali.”

Spera di ottenere l'affidamento del figlio, ed inizia la sua battaglia, ma tocca con mano quello che nel suo piccolo ambiente familiare e sociale aveva da sola verificato: le donne non hanno alcun diritto perché la donna come soggetto non esiste. E si persuade sempre più che ”spetta alla donna di rivendicare se stessa, ch'ella sola può rivelar l'essenza vera della propria psiche, composta, sì, d'amore e di maternità e di pietà, ma anche, di dignità umana… La donna , moglie, non può disporre dei suoi beni , neanche del suo salario, se è operaia.”
Scrive, su fogli, piccoli taccuini in continuazione, ”una somma enorme di vita”, partecipa attivamente alla vita sociale, attiva sempre, partecipa nel 1908 al primo Congresso femminile nazionale. All'inizio degli anni venti sottoscrive un manifesto di intellettuali antifascisti, pur non prendendo mai una posizione decisa contro il regime, a cui si rivolgerà più avanti, in un momento di grande indigenza, per ottenere un aiuto economico.

Durante la seconda guerra mondiale matura la sua coscienza antifascista iscrivendosi al partito comunista a cui andrà come lascito testamentario, alla sua morte, tutto il carteggio delle sue numerose opere.
Ha molti amori che vive intensamente, l'amore fu la ragione della sua esistenza, e per questo viene giudicata e criticata aspramente. “Sibilla, lavatoio sessuale della letteratura italiana.”
Sono le parole di Prezzolini, per lei, donna intelligente, giovane, bella e, cosa preoccupante per i tempi, libera, da schemi e pregiudizi, completamente.
Rivedrà il figlio solo trent' anni dopo averlo lasciato, lui stesso si era rifiutato di incontrarsi con lei,sempre: ”della mamma avevo bisogno quand'ero piccolo”, questo era stato il suo commento alla richiesta della madre. Le scrisse una volta sola per informarla della morte del padre e, finalmente, nel 1933 ci fu l'incontro tra i due, incontro che lasciò Sibilla delusa e amareggiata.
Più tardi, una seconda occasione nel 1947 .

"Era molto commosso, abbracciandomi alla stazione iersera. Ha molto sofferto per la morte del figlio diciottenne, un anno fa. Non può dimenticarsene, se ben si faccia forza. L'altro figlio ha 22 anni...è invece calmo, un po' chiuso e timido, come il padre. Poco fa ha bussato all'uscio della stanza per portarmi il giornale del mattino e per la prima volta mi son sentita dire: 'Buon giorno, nonna!' "

L'ultima volta che si incontrarono fu al capezzale della madre morente, Sibilla aveva 84 anni, vicino al suo letto d'ospedale l'amico Palmiro Togliatti che le faceva visita ogni giorno. Sibilla, quel giorno, l'ultimo della sua lunga e intensa vita, alzò gli occhi ed incontrò quelli del figlio e poi morì. Era il 1960.

Eugenio Montale alla sua morte scrive: “Sopravvissuta a tante tempeste portava ancora in sé, e imponeva agli altri, quella fermezza e quel segno di dignità che erano stati la vera sua forza e il suo segreto”.

Dopo Una donna ha scritto:

  • Il passaggio
  • Momenti
  • Andando e stando
  • Amo dunque sono
  • I frustino
  • Gioie d'occasione
  • Orsa minore
  • Dal mio diario
  • Selva d'amore
  • Il mondo è adolescente
  • Aiutatemi a dire
  • Luci della mia sera

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