“Come in una gabbia, quante altre volte mi rigirai così tra quattro pareti? Nel mondo, e dove sole e dove nebbia. Nessuna casa è la mia, sebbene ogni stanza ove io passi s'impregni per sempre di me . E le fermate di notte sotto le tettoie di ferro, nomi diversi, nord o sud , uno stesso lontanar di fiumi rossastri, uno stesso sgancìo netto di catene. |
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Sibilla è una donna ‘senza nome ne terra‘ errabunda, come a lei piace definirsi, con la smania continua di partire, passando da una stanza d'affitto all'altra, da una pensione, quando c'erano i soldi, ad un'altra, in città sempre diverse, sola o ospitata da amici: “ …non era capace di star ferma più di trenta giorni in un sito, nemmeno nella soffitta. Girava su e giù sbattendo il collo dall'inquietudine… eccola coi bagagli attorno come un santo fra gli ex voto, raggiante. Non si sapeva ancora dove andava, a sud a nord, da un' amica o un vecchio conoscente o un ammiratore…” Nei suoi bagagli porta con se carte, scritti, fotografie, suppellettili varie, tutto quello che ha e che possa fare di ogni luogo la sua casa. “…Ho una stanzuccia di tre metri per quattro, dal soffitto basso, sotto il tetto, non importa. Sul tavolino la mia cartella di cuoio, il Buddha dai riflessi d'oro, qualche altro oggetto minuto che brilla,creano qui come in qualsiasi altra dimora la mia atmosfera. Sono essi la mia casa. Il ritrattino in una sola cornice, di mia madre e di mio padre, giovani, bellissimi. Li hai veduti?. E quello di mio figlio, quand'era bambino.” Avrà una casa solo dopo i cinquant'anni, in via Margutta, una soffitta molto bohemienne. Rina Faccio, questo il vero nome, nasce in Piemonte, ad Alessandria nel 1876, poi i suoi si trasferiscono, prima a Milano e successivamente nelle Marche. Rina studia e scrive, solo per se, poesie e pensieri ed aiuta il padre nell'azienda, le piace questa occupazione. E' il figlio che le da la forza necessaria per cercare di dimenticare la violenza subita che l'ha segnata interiormente, facendo l'ultimo tentativo di cercare disperatamente di amare quell'uomo che è stata costretta a sposare, un uomo gretto, violento che cercherà in tutti i modi di schiacciarla e soffocarla portandola alla fine, dopo un tentativo di suicidio, alla decisione più difficile da prendere, per una donna, tra mille pene, dolori e rimorsi, quella di lasciare la propria famiglia abbandonando il figlio tanto amato, per cercare di salvarsi. Ora non possiede più nulla, solo se stessa. Lei non ha niente, corregge bozze per riviste e traduce volumi, vivendo con poco. Inizia a scrivere articoli di costume e articoli sulla questione femminile e inizia anche a scrivere il suo primo romanzo: "Una donna". Il destino di Rina era segnato così come quello della madre e della madre della madre, destini di donne identici, tutti imprigionati, giorno dopo giorno, dal matrimonio senza amore, dalla gelosia, dai tradimenti, dalla violenza fisica e psicologica, dalle continue umiliazioni subite passivamente solo ed esclusivamente per il bene dei figli. Si chiede: “ Perché nella maternità adoriamo solo il sacrificio?, dov'è scesa a noi questa inumana idea della immolazione materna?. Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. E' una mostruosa catena…Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici, ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili e dannose: quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla paurosa grandezza del mostro da abbattere.” La donna è considerata una 'minorata a vita': ”…e come può diventare una donna se i parenti la danno ignara, debole, incompleta, ad un uomo che non la riceve come un' eguale, ne usa come di un oggetto di proprietà; le da dei figli coi quali l'abbandona sola, mentre egli compie i suoi doveri sociali.” Spera di ottenere l'affidamento del figlio, ed inizia la sua battaglia, ma tocca con mano quello che nel suo piccolo ambiente familiare e sociale aveva da sola verificato: le donne non hanno alcun diritto perché la donna come soggetto non esiste. E si persuade sempre più che ”spetta alla donna di rivendicare se stessa, ch'ella sola può rivelar l'essenza vera della propria psiche, composta, sì, d'amore e di maternità e di pietà, ma anche, di dignità umana… La donna , moglie, non può disporre dei suoi beni , neanche del suo salario, se è operaia.” Durante la seconda guerra mondiale matura la sua coscienza antifascista iscrivendosi al partito comunista a cui andrà come lascito testamentario, alla sua morte, tutto il carteggio delle sue numerose opere. "Era molto commosso, abbracciandomi alla stazione iersera. Ha molto sofferto per la morte del figlio diciottenne, un anno fa. Non può dimenticarsene, se ben si faccia forza. L'altro figlio ha 22 anni...è invece calmo, un po' chiuso e timido, come il padre. Poco fa ha bussato all'uscio della stanza per portarmi il giornale del mattino e per la prima volta mi son sentita dire: 'Buon giorno, nonna!' " L'ultima volta che si incontrarono fu al capezzale della madre morente, Sibilla aveva 84 anni, vicino al suo letto d'ospedale l'amico Palmiro Togliatti che le faceva visita ogni giorno. Sibilla, quel giorno, l'ultimo della sua lunga e intensa vita, alzò gli occhi ed incontrò quelli del figlio e poi morì. Era il 1960. Eugenio Montale alla sua morte scrive: “Sopravvissuta a tante tempeste portava ancora in sé, e imponeva agli altri, quella fermezza e quel segno di dignità che erano stati la vera sua forza e il suo segreto”. Dopo Una donna ha scritto:
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